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Festival Čajkovskij a Santa Cecilia. La luce mistica di Iolanta
Per la prima volta a Roma all'Auditorium Parco della Musica, il direttore russo Valery Gergiev dirige l'ultima opera di Pëtr Il'ič Čajkovskij, Iolanta, alla guida dell'Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; il Coro è stato diretto da Ciro Visco; i cantanti, una compagine tutta russa e per lo più proveniente dal Teatro Marinskij, che Gergiev dirige dal 1978. Tre appuntamenti per Iolanta in forma di concerto, l'11, il 12 ed il 13 gennaio nell'ambito del Festival Čajkovskij, con l'esecuzione di tutte le sinfonie fino al 16 gennaio con l'Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo.
L'opera in un atto Iolanta ebbe la sua prima assoluta il 6 (18 nel calendario gregoriano) dicembre 1892 al Teatro Marinskij di San Pietroburgo, e fu successivamente diretta da Gustav Mahler ad Amburgo nel 1893 (che la citò nella sua Seconda Sinfonia, la Resurrezione). I cantanti scelti per questa versione dell'opera in forma di concerto è di prim'ordine: il soprano Irina Churilova riveste il ruolo di Iolanta; il basso Stanislav Trofimov per il padre Re René; nella parte di Vaudémont, solo il 12 gennaio in cui abbiamo seguito il concerto, il tenore Migrad Agadzhanian, tutti artisti del Marinskij di San Pietroburgo.
Il libretto di Iolanta, tratto da La figlia di re Renato del danese Henrik Hertz - ispirato alla vita romanzata di Yolande de Bar – fu commissionato da Čajkovskij al fratello Modest che, spronato, si innamorò del testo e ne rese una versione ricca di versi poetici, che vengono perfettamente calibrati dalla liricità della musica che espone l'accenno di una lullaby con archi e arpa subito dopo la brevissima introduzione, riferita da ribattute degli ottoni e dal melanconico corno inglese. Tutti questi fiati convergono verso l'enigma che si pone a Iolanta, che vive a metà nascosta in un castello in mezzo al bosco, ignara della sua cecità e convinta che gli occhi servano solo a produrre lacrime. In questa specie di gabbia d'oro in cui l'ha rinchiusa il padre René, che le nasconde di essere re di Provenza e lei una principessa, è attorniata da due amiche ed una niania (la tata): Brigitta, Laura e Marta, che le tengono compagnia e la guidano nei suoi percorsi in modo che non si accorga di essere cieca. Il magnifico arioso di Iolanta che apre al canto l'opera è caratterizzato da una leggiadra drammaticità, a sottolineare la purezza della fanciulla, che la voce flautata e flessuosa, con accenti mistici, del soprano Irina Churilova, conferisce in modo sintomatico alla voce, muove alla tenerezza ed alla dolcezza che evoca. La voce di Marta, il contralto Natalia Evstavieva, è vigorosa e stabile nel suo soccorso a Iolanta ed apre ad un fiorito canto corale delle fanciulle per chiudersi nella ninna nanna. Čajkovskij scrive intorno a questi florilegi melanconici le pagine più lievi e incastonate di colori pastellati della sua musica, dei raggi di luce che si aprono appena sul bosco immerso nella natura dove è nascosto il castello di Iolanta.
La cecità che caratterizza e viene nascosta a Iolanta, cela il suo senso oscuro e metaforico spiegato poi dal medico e santone moro Ibn-Hakia, venuto per guarirla e che spiega al padre come “lei dovrà conoscere il suo difetto, la cecità, per poter guarire: non esiste divisione tra mondo spirituale e materiale. Come tutto in natura, anche la vista non è una percezione solo fisica.“ Roman Burdenko, il baritono che interpreta Ibn Hakia, ha un fraseggio molto agevole nella romanza insieme al padre di Iolanta, René. Una voce lirica che pone cura e attenzione ad ogni nota e variazione nel ritmo, quella del René di Trofimov, che abbiamo apprezzato quest'estate a Salisburgo nella Lady Macbeth nel ruolo del Prete diretto da Mariss Jansons, ha una voce forte e ferma che, nel delineare il motivo più appassionatamente emozionante, è trascinante e superlativo nella dotazione canora e nell'infondere sentimento al suo canto.
Iolanta, in questa dimensione atemporale, fantastica, nella quale viene nascosta al mondo, potrà riacquistare la vista soltanto nel momento in cui la desidererà ardentemente per amore. E sarà l'incontro con il conte Vaudémont che glielo farà scoprire a poco a poco, con l'inquietante domanda sulla rosa rossa. Il duetto centrale tra Iolanta e Vaudemont, nucleo lirico per eccellenza di questo idillio drammatico, è come il destarsi da un sogno. Mentre Robert, il Duca di Borgogna amico di Vaudémont, cui è lei promessa senza saperlo, se ne va lasciandoli soli, di fronte al cavaliere si manifesta la visione di questa fanciulla come un desiderio finalmente materializzatosi. Alla calda e bella voce del tenore Migrad Agadzhanian che canta la sua romanza parte anche un applauso, e il duetto drammatico sulla rosa bianca (la purezza che gli offre Iolanta) e la rosa rossa (l'amore che chiede Vaudémont) è una delle perle di questa versione e dell'opera: il cavaliere, scoprendo la cecità della fanciulla amata, le descrive il dono più prodigioso di Dio, ossia la luce, così ammaliandola ed attraendola verso di sé e rivelando una parte della verità che si affermerà nel finale. Voce intangibile quella di Iolanta, come la sua purezza, che fa cantare di lei come “Angelo di luce” (in originale: "Нет! Чары ласк красы мятежной"): “No!Le carezze appassionate di una bellezza tempestosa non mi dicono nulla...L'amore in me si abbandona ai sogni/ E sogna un angelo immacolato,/di meravigliosa, celestiale bellezza,/un'apparizione di verginale santità,/ con lo sguardo di angelica bontà”. La morbida e accalorata voce di Migrad Agadzhanian trasmette tutto l'amore che merita tale fanciulla innocente che risponde alla lode di Vaudémont con ispirata accoglienza. L'innocenza e la luce traspaiono dalla stessa voce di Irina Churilova fin dall'inizio: ingenua, gradualmente diverrà coraggiosa per il cavaliere, affrontando la terapia del moro Ibn-Hakia,
Misticismo, trascendenza, luci ovattate che divengono chiare alla fanciulla che si sottopone alla cura per salvare l'amato Vaudémont, condannato a morte dal padre René per convincerla – inganno perpretrato a fin di bene – si traducono in chiarore rifulgente e di respiro in musica, amalgamando tutta la storia in un fatato ricongiungimento tra tutti. In un empito di leale generosità, il padre Renè concederà a Robert, Duca di Borgogna – l'intenso baritono Alekxei Markov – di liberarsi dalla promessa di matrimonio per sposare l'amata Matilde, e a Vaudémont concede l'agognata Iolanta, che riluce tra le note straordinariamente dirette dal moscovita Valery Gergiev, con grande supporto dell'Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del suo Coro diretto con la consueta organicità e destrezza dal Maestro Ciro Visco.