Festival Verdi di Parma. Il Macbeth in francese ed il potere secondo Verdi

Articolo di: 
Daniela Puggioni
Festival Verdi 2024. Macbeth Lidia Fridman e Ernesto Petti. foto Roberto Ricci

Al Teatro Regio di Parma, gremito in ogni ordine di posto, lo scorso 26 settembre per l’inaugurazione del Festival Verdi, è andata in scena la versione in francese del Macbeth di Giuseppe Verdi del 1865. Gli interpreti sono stati lungamente applauditi alla fine dello spettacolo. Il sottotitolo del Festival Verdi 2024 è Potere e politica e i titoli che sono proposti più meno rientrano in questo schema: Macbeth, Un ballo in maschera, La battaglia di Legnano e Attila.

Il Macbeth del 1847 è il decimo melodramma composto da Giuseppe Verdi, ed è un vero dramma in musica che rappresenta un punto di svolta nell'arco creativo del compositore. È molto aderente al Macbeth di Shakespeare, che fu scritto e rappresentato dopo la morte di Elisabetta I (1603) sotto il regno di Giacomo I Stuart ed è, non solo cronologicamente, legato a Re Lear e a Otello, ma anche per l'argomento, incentrato sul potere e sui suoi effetti sull'animo umano: il potere reale e quello della parola, come l’anglista Agostino Lombardo ha mirabilmente argomentato nelle introduzioni alle sue traduzioni delle tragedie.

Verdi ritenne sempre il dramma scespiriano uno dei vertici del teatro di ogni tempo e nutrì una immensa venerazione per il Bardo. Non è un caso che il compositore, che nel corso della sua lunga vita fu sempre affascinato dal tema del potere, già in questa fase giovanile degli "anni di galera" avesse pensato anche al Lear, anche se non giunse mai a concretizzare il progetto, vi riuscì invece con il Macbeth.

Costrinse, perciò il librettista Francesco Maria Piave, ad attenersi scrupolosamente alla sinossi preparata da lui stesso, probabilmente con la collaborazione di Andrea Maffei, futuro autore di una nuova traduzione, e al testo scespiriano, alcune frasi del libretto, infatti, sono la traduzione letterale dall’inglese. Non ne fu soddisfatto e pregò Maffei di aiutarlo, per questo il nome di Piave non comparve sul libretto della prima a Firenze il 14 marzo 1847 al Teatro La Pergola, che riscosse un trionfale successo.

Proprio perché credeva nel valore di questa sua opera, la propose per Parigi e curò la revisione, che andò in scena nel 1865. Il Macbeth francese del 1865 deriva dal precedente del 1847 con alcuni cambiamenti, ma molta della musica della prima versione rimane come anche gran parte del libretto che, tradotto in francese, ha un testo che si rivela più debole dell’originale e presenta problemi in quanto le parti musicali del 1847 sono composte sul testo italiano.

Quello che affascinava Verdi era il tema: il potere e la sua capacità di corrompere gli uomini anche nobili e valorosi, l'esplorazione del lato oscuro dell'inconscio dell'animo, la drammaturgia incalzante e sintetica della tragedia più breve che ci è giunta da Shakespeare, e la formidabile efficacia nel delineare i personaggi principali, che come scrisse il musicista a Escudier, sono tre: Macbeth, Lady Macbeth e le streghe, che sono le proiezioni dei desideri inconsci e tenebrosi dei due personaggi.

La tragedia con le scene delle apparizioni delle streghe e del fantasma, così vicine alla sensibilità romantica affascinavano e coinvolgevano il pubblico, come dimostrò nel 1831 il travolgente successo perdurato negli anni di Robert le Diable di Meyerbeer, e questo fu un altro aspetto, tutt'altro che secondario, nella scelta del testo. Verdi creò un vero dramma in musica, una musica cupa e aspra aderente allo svolgimento degli avvenimenti e ai profondi abissi delle violente e cupe passioni dei personaggi principali.

La versione di Parigi comportò la composizione dei ballabili secondo la consuetudine francese. In questo caso però Verdi li ritenne necessari per delineare il terzo personaggio principale: le streghe, impose e tracciò lo svolgimento del balletto assumendo quasi il ruolo di coreografo, un esempio è il ruolo di Ecate, per cui indicò che dovesse essere svolto non con la danza ma con la pantomima. Questo inconsueto approccio è ben spiegato da Knud Arne Jürgensen in The Verdi ballets edito dall’Istituto Nazionale di Studi Verdiani.

Se l'entrata del re Duncano è convenzionale, funzionale al tempo necessario al corteo regale per attraversare il palcoscenico, il successivo recitativo di Macbeth è un esempio della profonda innovazione musicale. Il recitativo, che corrisponde al "monologo del pugnale" e precede il regicidio è una delle parti già composte nel 1847 e anticipa il "Cortigiani vil razza dannata" di Rigoletto. La forma innovativa del recitativo e la strumentazione: flauto, corno inglese, clarinetto, corni, fagotti, timpani e archi in sordina creano un'atmosfera di angosciosa e cupa tensione.

Drasticamente innovativo è il modo di cantare richiesto da Verdi agli interpreti, che giunse a scrivere in una lettera, che pensava che la Tadolini non fosse adatta per la Lady, in quanto era una cantante con una bella voce, e avrebbe preferito una con un timbro aspro, parole che fanno comprendere senza alcun dubbio le sue intenzioni drammaturgiche. Allo scopo di rendere efficacemente i personaggi e la drammaturgia, in alcuni momenti sono indicative le prescrizioni di Verdi ai cantanti. Un esempio è nel duetto dopo l'assassinio del re, dove indica un canto parlato e scrive ppppp per avere un suono flebile quasi soffocato, poi con improvvisi scoppi di voce in fortissimo, tutte caratteristiche che rendono la parte del baritono (Macbeth) ma soprattutto quella del soprano (Lady Macbeth) di ardua difficoltà.

La parte della Lady ha, infatti, scogli molto difficili da superare, già dalla formidabile entrata in scena, poi nell'aria aggiunta nel 1865 La luce langue, nella scena dell'apparizione del fantasma di Banco e nel sonnambulismo. Prevede, infatti, un'estensione vocale fuori dal comune: note gravi da mezzo soprano per giungere al re sopracuto alla fine della scena del sonnambulismo, un sopracuto con un fil di voce, allucinato, paradossalmente più vicino all'espressionismo vocale, che al belcanto. A questo si aggiungono gli abbellimenti piegati alle esigenze drammatiche e quindi più ardui da rendere, i parlati soffocati, le terrificanti impennate vocali e la dinamica espressiva.

Il Macbeth a lungo trascurato, è stato riscoperto nel secolo scorso e la versione che è poi l'edizione usualmente messa in scena è quella del 1865 ritradotta in italiano ma senza balletti o con brevi tracce di essi, nonostante Verdi li considerasse importanti nello svolgimento del dramma.

La regia di Pierre Audi si è concentrata sulla coppia Macbeth - Lady ossessionata dal potere e dal non avere discendenza, con Macbeth dominato dalla moglie, una visione che è stata anche tema dell’efficace coreografia di Pim Veulings, che ha descritto questo rapporto perverso e soffocante trasformando la Lady in tre presenze femminili dominanti su Macbeth. Una regia, dicevamo, attenta a delineare il rapporto perverso della coppia e ha lavorato molto sugli interpreti, ma non del tutto convincente, perché alla domanda "chi sono le streghe?", le definisce come la superstizione dei protagonisti, non creature fantastiche dunque, né proiezioni dei desideri inconfessabili della coppia, ma una inutile presenza ingombrante da relegare da parte, seduta per lo più su sedie, determinando l’assenza drammatica del terzo personaggio protagonista voluto da Verdi.

Da dimenticare la coreografia degli spiriti aerei evocati dalle streghe per far riprendere Macbeth dal deliquio in cui è caduto dopo l’apparizione della stirpe di Banquo che salirà sul trono di Scozia, che il fantasma di Banquo irridente gli mostra con lo specchio. Quanto alla tradizione francese evocata dal regista nella presentazione della sua regia, possibile che non sia consapevole dell’importanza della danza in funzione drammatica nella cultura francese?

Se è assurda la scena della tortura di Banquo e del figlio prima dell’agguato, le soluzioni teatrali adottate sono state già viste: la sala del teatro come simbolo della messa in scena della coppia criminale, che crolla dopo le apparizioni del fantasma di Banquo, mentre appaiono sbarre che simboleggiano come ormai la coppia sia imprigionata in una logica feroce. Le scene di Michele Taborelli sono state funzionali alle intenzioni della regia e così le luci Jean Kalman e Marco Filibeck, raffinati i costumi soprattutto quelli femminili e in particolare quelli della Lady di Robby Duiveman.

Ernesto Petti al suo debutto nel ruolo è stato Macbeth, lo avevamo già ascoltato come Carlo V in Ernani, e avevamo notato “la bella voce di baritono pastosa e morbida ma che all’occorrenza diviene anche assertiva”. In questa occasione abbiamo constatato una notevole maturazione vocale, che gli ha permesso di affrontare recitativi ben più impegnativi, ariosi e ardue prescrizioni vocali senza che venisse meno una limpida emissione del suono. A questo è da aggiungere l’ottima interpretazione del personaggio che, per le diverse sfaccettature è una grande prova drammatica che richiede padronanza scenica. Tra l’altro dal vivo e in scena è stata sua la voce della lettera, che ha declamato con sicurezza, anche se questa soluzione registica ha vanificato l’effetto teatrale previsto da Verdi.

Nel marzo scorso avevamo ascoltato a Jesi in pagine di Spontini, Lidia Fridman di cui avevamo notato “ la corposa bellezza della voce, morbida ma anche sfavillante negli acuti, sicura nella limpida e intonata emissione.” Come lady si è mostrata sicura nella intonata emissione anche negli acuti, il suono era cupo e aspro come voleva Verdi, ma non sappiamo se è voluto o dovuto ai postumi di una indisposizione che ha avuto pochi giorni prima. Inoltre ci è parsa poco espressiva nel dare peso alle parole del testo francese, cosa che non era accaduta nell’aria di Julia della Vestale. In scena si è mossa con grande eleganza e presenza scenica.

Michele Pertusi ha più volte affrontato il ruolo di Banquo e ancora una volta è stato una presenza sicura ed elegante, vocalmente, e scenicamente di rilievo con la sua cupa emissione bronzea e la disinvoltura nell’interpretazione scenica. Luciano Ganci ha debuttato come Macduff un ruolo di po’ ingrato per i tenori, perché nelle parti di insieme deve affrontare una scrittura vocale impegnativa, ma poi ha una sola aria "Ah, la paterna mano". Aria che Ganci ha affrontato con grande sicurezza esibendo la sua chiara ed espressiva voce gli squillanti acuti, senza tralasciare una buona presenza scenica. Davide Astorga è stato un Malcom efficace come pure Natalia Gavrilan, definita contessa e non dama, una inutile leziosaggine voluta dal regista, bene gli altri comprimari.

Roberto Abbado ha guidato Filarmonica Arturo Toscanini, che ha seguito con attenzione le intenzioni della direzione che, è stata aderente allo svolgimento incalzante degli eventi. Ha posto attenzione ai ritmi, dinamiche, all’agogica e ai cupi colori timbrici, lasciando anche spazio alla cantabilità.
Il Coro del Teatro Regio di Parma sotto la guida esperta e sicura di Martino Faggiani ha fornito una riuscita prestazione. Applausi entusiastici per tutti gli interpreti anche a scena aperta e alla fine della rappresentazione.

Pubblicato in: 
GN46 Anno XVI 4 ottobre 2024
Scheda
Titolo completo: 

TEATRO REGIO DI PARMA
Giovedì 26 settembre 2024, ore 20.00

MACBETH

versione in francese, Parigi 1865

Musica GIUSEPPE VERDI
melodramma in quattro parti su libretto di Francesco Maria Piave, da Shakespeare.
Traduzione in francese di Charles Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont

Revisione a cura di Candida Mantica
sull’edizione critica a cura di David Lawton
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano.

Cast
Macbeth     ERNESTO PETTI
Lady Macbeth     LIDIA FRIDMAN
Banquo     MICHELE PERTUSI
Macduff     LUCIANO GANCI
Malcolm     DAVID ASTORGA
La Comtesse     NATALIA GAVRILAN
Un Médecin     ROCCO CAVALLUZZI
Un serviteur/Un sicaire/Premiere fantôme     EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Deuxième fantome     AGATA PELOSI
Troisième fantome     ALICE PELLEGRINI

Direttore ROBERTO ABBADO
Regia PIERRE AUDI

Scene MICHELE TABORELLI
Costumi ROBBY DUIVEMAN
Luci JEAN KALMAN, MARCO FILIBECK
Coreografie PIM VEULINGS

FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma

Costumi Teatro Regio di Parma, Tirelli Costumi, Compagnia Italiana della Moda e del Costume, PKM

Scene e attrezzeria Teatro Regio di Parma, E. Rancati Calzature Epoca
Parrucche Audello Teatro
Trucco e parrucco a cura di Costume Art Lab