Supporta Gothic Network
Giovanni Allevi al Parco della Musica. Popular music per solo piano
Il 2 agosto 2011 la manifestazione Luglio suona bene 2011, tenutasi all'Auditorium Parco della Musica, si è conclusa con il concerto di Giovanni Allevi, originariamente previsto nella Cavea, dove di solito si esibiscono artisti rock e pop, ma all’ultimo momento spostato nella Sala Santa Cecilia, di norma riservata alla musica classica, sia pur con alcune eccezioni.
E in effetti, benché la stessa presentazione sul sito dell’auditorium caratterizzi Allevi come l’esponente di “una nuova musica classica contemporanea, attraverso un linguaggio colto ed emozionale, che prende le distanze dall’esperienza dodecafonica e minimalista, per affermare una nuova intensità ritmica e melodica europea”, in realtà il pianista marchigiano ha più che altro eseguito numerosi brani, estratti prevalentemente dall’ultimo album, Alien, che appaiono come arrangiamenti per pianoforte di melodie pop, a cui mancano solo le parole per farne degli hit di successo nell’ambito della musica leggera.
Con circa quindici minuti di ritardo rispetto all’ora ufficiale di inizio del concerto, l’ultraquarantenne Allevi si presenta con quel look e quell’abbigliamento da adolescente che tanto ha contribuito al successo presso schiere di teen-agers e di ragazzine adoranti: scarpe da ginnastica All Stars, jeans, T-Shirt e folta zazzera riccioluta.
Si siede al piano, e dopo una breve introduzione con un tono da falso timido e con un’espressione banalmente accattivante (“iniziamo con un po’ di dolcezza”), attacca “Secret Love”, brano molto tranquillo, quasi da intrattenimento.
Il secondo brano, “Tokio Station”, è forse uno di quelli compositivamente meglio riusciti (e non a caso dura circa sette minuti, contro i tre o quattro degli altri brani): comincia con un incedere jazz molto ritmato, nella tonalità di mi bemolle, e si sviluppa poi con movenze che richiamano esperienze disparate, da Herbie Hancock, certo un po’ orecchiato, a Ryuichi Sakamoto.
Finito il brano, Allevi comincia a dispensare il primo di una serie di apoftegmi che ben starebbero nei cartigli dei Baci Perugina: “Ho sempre cercato la vicinanza con il cuore dell’ascoltatore, perché è in lui che si realizza l’opera d’arte. Per questo finito il concerto sarò io a chiedervi l'autografo”!
Attacca poi “Close to me”, brano di tono molto “romantico”, ma un po’ stucchevole, che ricorda certe composizioni di Stephen Schlaks o di Burt Bacharach.
In evidente contrasto con la folla di fans adoranti cinti da fazzoletti arancioni o gialli, tutti uguali, Allevi continua i suoi siparietti con la seguente affermazione: “Siamo alieni. La nostra anima non ama essere omologata a dei modelli piatti e banali a cui la società continuamente ci spinge. Siamo tutti diversi, unici e irripetibili. Possiamo assumere innumerevoli forme, come l’acqua”. Segue il brano “Giochi d’acqua”, pezzo “liquido”, che comincia con un assolo e si sviluppa con arpeggi neoromantici.
Il concerto continua con “L. A. Lullaby”, dove L. A. sta per Los Angeles, una ninna nanna dedicata alla metropoli californiana, da Allevi definita “una città della desolazione, un’immensa periferia." Aggiunge poi che “se riusciamo a guardare il mondo con gli occhi incantati di un bambino, potremo anche cogliere quei lampi di poesia nascosti nelle pieghe dell’esistenza quotidiana”. Oltre alla citazione implicita, ma banalizzata, del fanciullino di Pascoli (e prima ancora del Fedone di Platone), questo pargoleggiare ci introduce a un pezzo oscillante tra il jazz e la ballata da crooner à la Billy Joel (sullo stile di “New York State of Mind” – mentre un brano rock, simile nei contenuti, come “New York City Serenade” del primo Bruce Springsteen, è anche armonicamente più elaborato).
Con un aforisma degno di miglior causa (“solo chi ama è in grado di vedere l’altro come è veramente”), si passa a “Come sei veramente”, tipico brano da colonna sonora (non a caso usato dal regista Spike Lee per uno spot televisivo e dalla BMW per pubblicizzare la Serie 3 Touring), che ricorda certe composizioni di Ludovico Einaudi, ma con melodie più semplificate rispetto a quelle del compositore piemontese: sulla melodia principale si innesta un altro semplice motivo e poi il brano si conclude con una ripresa del tema iniziale in lieve crescendo.
La successiva introduzione ha una certa solennità. Allevi introduce quello che chiama il suo brano di “ispirazione filosofica”, che ebbe la première proprio all’auditorium, aggiungendo che esso sancisce “il passaggio dall’eternità all’esistenza”. Si tratta de “L’orologio degli dèi”: il brano ricorda un po’ Erik Satie e cerca di riprodurre il ritmo del mondo, tra sistole e diastole, ma con risultati forse a volte non all’altezza della sua ambizione.
Il successivo “Back to Life” è molto simile a “Come sei veramente”: in esso, dice Allevi, si riflette la scoperta che la nostra forza coincide con la nostra fragilità. Poi Allevi annuncia quello che succede “quando la musica di Bach incontra quella da discoteca”, con un “Sogno di Bach” dove il clavicembalo ben temperato si coniuga con Donna Summer e Madonna, producendo effetti invero stranianti.
“Memory” viene annunciata come un ricordo insostenibile che diventa accettabile se sublimato attraverso le note. È un pezzo piuttosto arioso, segnato da delicati arpeggi e da momenti tenui e distesi.
Il successivo “Abbracci” viene annunciato con impeto (“suonerò questo brano passionale con tutto me stesso”): è in effetti un brano “focoso”, che più che Liszt evoca lo Chopin più tendente alla passionalità, seppure in forma semplificata.
L’introduzione al brano seguente, “Helena (Meditazione per sola mano destra)”, è piuttosto commovente. Allevi racconta di una mail di Helena, una pianista che per un incidente aveva perso l’uso della mano sinistra, cosa che lo ha indotto a scrivere per lei una partitura per sola mano destra (in ciò ricorda Maurice Ravel che scrisse per Paul Wittgenstein, pianista austriaco che aveva perso il braccio destro in guerra e fratello del celebre filosofo Ludwig, il Concerto per pianoforte per la mano sinistra, su sua esplicita commissione): si tratta di un brano breve e intenso, di non difficile esecuzione.
L’ultimo brano del concerto è “Joli”, contraddistinto da una verve ritmica, e suonato con gioia e trasporto. Dopo gli scroscianti applausi, Allevi ritorna per eseguire “Aria”, scritto, come dice lui stesso, “appositamente per respirare”. Il secondo bis è "Prendimi", brano con cui egli intende “restituire il calore” che il pubblico “gli ha regalato”: e in effetti si tratta di un brano spumeggiante e pieno di trasporto passionale. Prima di accomiatarsi definitivamente, esegue però l’incipit dell’Inno di Mameli, che aveva diretto recentemente in un’esecuzione con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI nonché in un concerto tenuto presso l'Aula del Senato della Repubblica con l'orchestra de "I virtuosi italiani" il 21 dicembre 2008.
Il concerto ha costituito un’ora e un quarto di piacevole intrattenimento. L’equivoco sarebbe considerare Allevi un compositore classico: in realtà è piuttosto una popstar travestita da pianista contemporaneo e costruita appositamente per risultare gradevole.
Il paragone che talora si sente tracciare con Ludovico Einaudi è a nostro parere inappropriato. Einaudi è una sorta di musicista post-moderno, che ha volutamente semplificato il suo linguaggio, pur essendo capace di partiture più complesse, e ha inoltre tentato con successo contaminazioni con la world music, collaborando con il musicista africano Ballaké Sissoko e con il turco Mercan Dede.
Le composizioni di Allevi, invece, sembrano alquanto semplici non perché abbia semplificato un approccio più complesso, ma perché esse costituiscono il limite massimo della sua ricerca musicale: è piuttosto, se ci si consente il gioco di parole, un musicista “past-moderno”, o meglio ancora “cut&paste-moderno”. In fondo quella di Allevi è “popular music” nel senso individuato alcuni decenni fa da Theodor W. Adorno: in essa l’ascoltatore “viene indotto a reagire con maggiore intensità alla parte che al tutto. La sua comprensione del tutto non riposa sull'esperienza vissuta dello specifico pezzo musicale che ha ascoltato. Il tutto è già dato ed è già accettato, anche prima che abbia inizio l'esperienza concreta della musica; pertanto, è improbabile che influenzi, in una misura significativa, la reazione ai particolari, se non attribuendo ad essi gradi diversi di enfasi”.