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Giovanni Bellucci incanta Ostia antica. La virtuosità del récital pianistico
Ancora una volta il pianista Giovanni Bellucci è riuscito a incantare il pubblico romano nello splendido scenario della Sala Riario di Ostia antica, con due récital pianistici straordinari (23 e 24 maggio 2022), nei quali è riuscito a fondere mirabilmente un talento e una versatilità esecutiva eccezionali con una vocazione didattica che ha accompagnato il pubblico quasi per mano, alla scoperta di miti, racconti e leggende del repertorio pianistico romantico.
Bellucci ha da poco ottenuto il prestigioso “Premio Liszt alla carriera”, un’onorificenza conferita dalla Ferenc Liszt International Society, e ha altresì affrontato il non indifferente impegno di eseguire in concerto e registrare in CD le 32 sonate per pianoforte e i cinque concerti per pianoforte e orchestra di Ludwig van Beethoven. Al connubio tra Liszt e Beethoven ha dedicato la registrazione delle nove sinfonie del genio di Bonn trascritte al pianoforte da Liszt (in corso di pubblicazione per un cofanetto di 5 CD edito dalla Brilliant Classics).
A proposito dei récitals in cartellone presso la Sala Riario, Bellucci ha dichiarato: “L’Italia, con le sue oscillazioni tra sacro e profano, ispira il primo dei due programmi di récital. Il suono d’altronde non ha confini, e non racconta mai una storia scontata. Trasumanar per sonum è un’espressione da me coniata per un altro progetto, una specie di parafrasi verbale ispirata da uno degli innumerevoli neologismi creati da Dante: trasumanar per verba sono infatti le tre importantissime parole tratte dal primo canto del Paradiso della Divina Commedia. E Liszt, del quale eseguirò – tra l’altro – la Sonata Dante, va spesso al di là dei limiti della natura umana, trasformando il ruolo del pianista fino a consacrarlo ad una dimensione più alta, trascendentale”.
Noi abbiamo seguito in particolare la seconda serata, che si è aperta con una pagina beethoveniana, ossia il secondo tempo, Andante con moto, del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra: Bellucci lo ha eseguito utilizzando una "cadenza" per pianoforte solo redatta dal compositore boemo Ignaz Moscheles. Ha anche ipotizzato che la sua che la sua possa esserne la prima esecuzione assoluta: in qualche modo qui Beethoven sembra sia stato suggestionato dalla storia del sogno infranto di Orfeo e Euridice e dal tentativo di Orfeo di ammansire le Furie alle porte dell'Ade, conducendolo al punto di sentire la necessità di estrarre l’essenza della tragedia attraverso la contrapposizione tra il wiederstrebendes Prinzip e il bittendes Prinzip, ossia il "principio d'opposizione" e il "principio implorante", che qui assumono una tensione particolarmente evidente. Al tema in mi minore, originariamente eseguito in staccato dall'orchestra, il pianoforte contrappone un motivo cantabile di struggente dolcezza. I due elementi tematici si alternano dialetticamente dapprima con largo respiro, poi in piccoli frammenti: il primo si attenua progressivamente fino a estinguersi, il secondo invece si intensifica gradualmente fino a distillare un canto molto intenso.
Sempre di Beethoven, Bellucci ha eseguito poi la Sonata N. 27 in mi minore, Op. 90: composta nel 1814, la sonata già prelude alle grandi sonate dell'ultimo periodo. Beethoven la dedicò al conte Moritz von Lichtnowsky, che si apprestava a sposare una donna di status sociale "inferiore", con la motivazione che essa costituiva un esempio perfetto di lotta tra il cuore e la testa, espressa dalla tonalità di mi minore, a cui seguiva un rondo risolutivo in mi maggiore, in cui sembra quasi snodarsi la conversazione con la persona amata. È una sonata che Mendelssohn ha definito quasi una "canzone senza parole", in cui emerge, quasi filosoficamente, il contrasto tra emozioni e pensiero, poesia e prosa. E Bellucci ha saputo donare nuova vita con le mani sulla tastiera a questi contrasti, senza bisogno di ulteriori commenti.
Da vero interprete che, secondo il quotidiano Le Monde, “ci riporta all'età d'oro del pianoforte", Bellucci è poi passato al repertorio di Robert Schumann, di cui ci ha proposto la Toccata in do maggiore, Op.7, e "In der Nacht (“Ero e Leandro”)", dal ciclo Fantasiestücke Op.12. La Toccata in do maggiore, come già il titolo lascia presagire, si richiama alla tradizione barocca e settecentesca. Il compositore romantico la scrise negli anni tra il 1830 e il 1832, ossia nel periodo in cui stava per rinunciare alla carriera di concertista: come spiega Bellucci, per allenare le dita Schumann inventò un curioso apparato che gli provocò una distorsione e una temporanea paralisi della mano destra. La pagina pianistica è comunque estrosa, dato che si apre con un ritmo vigoroso e sostenuto su un incrocio di scale veloci e di note ribattute, che fanno pensare ad una specie di moto perpetuo.
Dal romanticismo "controllato" di Schumann si passa a quello più estroso di Chopin, che inaugura un genere, la Ballata pianistica, che porta in sé tracce di storie già oggetto di creatività poetica, come il poema Konrad Wallenrod di Adam Mickiewicz. Con Christoph Willibald Gluck, Bellucci ci porta un po' indietro, all'epoca barocca (ma "filtrata" dalla trascrizione del polacco tardo-romantico Ignaz Friedman) con una musica che fotografa personaggi entrati nel mito collettivo, con particolare riferimento alla "filosofia di Orfeo”, ossia, come spiega il pianista, “una creatura capace di toccare l’animo umano toccando le corde della lira, o di commuovere i suoi interlocutori attraverso il sublime canto".
Non potevano mancare, infine, né brani del suo amatissimo Liszt (di cui ha proposto le parafrasi da concerto tratte dal Rigoletto di Giuseppe Verdi) né dal Sogno di una notte di mezza estate di Felix Mendelssohn-Bartholdy, (oltre alla lisztiana Konzertetüde N. 2: Gnomenreigen come bis), eseguiti con un singolare connubio di travolgente impeto e disciplinata fantasia.
Anche il pianismo francese, infine, riceve il suo debito omaggio con la celebre Alborada del Gracioso di Maurice Ravel e la delicatissima Minstrels n. 12 dal Primo Libro dei Preludi di Claude Debussy. In sintesi, un concerto dove la linearità del percorso musicale trova il suo perfetto corrispettivo nella controllata e insieme virtuosa capacità espressiva dell'esecutore.