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Gran Torino. La rude levità della lealtà
Dalla 44 Magnum alla Gran Torino 1972: l'Ispettore Callaghan alias Clint Eastwood diventa Kowalski, pensionato americano di origine polacca. E la pistola lascia il posto al fucile e alla mano che ne mima il gesto. Ma qui non è Il caso Scorpio ad essere "tuo"; lo è il vicinato, in un sobborgo di Detroit. Non sono male, i coreani della casa accanto a quella di Walt, uomo rude e ruvido, rimasto vedovo; lui, però, non li sopporta, come sembra non sopportare nessuno.
Dal funerale della moglie ("la migliore donna della terra"), che è la prima scena del film, ne seguiamo la vita, ormai da solo, "per non parlar del cane" (scriverebbe Jerome), anzi la cagnolina, l'unico essere cui voglia parlare, oltre al barbiere di origine italiana. Sì, perché in questa periferia ci sono più etnie d'immigrati, a convivere nel degrado e nel confronto a muso duro.
I figli di Kowalski, poi, sono distanti, tanto quanto i vicini sono vicini: troppo. Walt cura il giardino, il suo territorio dal quale tiene fuori tutti, soprattutto quei "musi gialli" come chiamava i nemici della guerra in Corea, dove combatté nell'esercito USA. Per lui, questi sono ancora quelli. E lucida ogni giorno la Ford Gran Torino, pur guidando sempre il camioncino; ma la sua auto d'epoca fa gola ad alcuni teppisti del quartiere, fra cui un cugino del giovane vicino, al quale ne commissionano il furto, quale prova di iniziazione. Ma Kowalski lo coglie in flagrante e dal fallito tentativo nasce un rapporto nuovo con il ragazzo e pian piano con tutta la sua famiglia. Dallo scontro sprezzante quotidiano, venato di pregiudizio e intolleranza, alla scoperta e il rispetto dei sentimenti e gli usi altrui; pur così diversi, al vecchio diventano più familiari loro, dei suoi.
Da castigatore di Thao, perché la famiglia lo punisce del tentativo di furto imponendogli di lavorare per lui gratis per una settimana, Walt ne diventa il difensore, contro le prevaricazioni della street gang, e il mentore, nella difficile crescita interiore. Difende Sue, la sorella, l'altra persona che parla inglese in quella famiglia incomprensibile; ma lei purtroppo paga, oltre all'emarginazione sociale, la condizione di donna.
Walt, che non permette a nessuno di mettere piede nel prato e nella sua vita, a Thao apre le porte del garage con tutti gli attrezzi. Perché la Ford '72, se l'era rimontata da solo; così come sa sempre riparare ogni cosa. Gli insegna i segreti del mestiere e lo aiuta a trovare un lavoro; per un appuntamento con una ragazza, gli presta l'auto.
E la famiglia coreana lo ringrazia, lasciando fiori e cibi cucinati sulle scale di lui o invitandolo in casa; laddove un figlio, per il compleanno, gli regala oggetti inutili e depliant di case da riposo. Non la smettono di fare inchini, queste persone così piccole di fronte al gigante slavo e non osano, come da tradizione, guardarlo negli occhi, quegli "occhi di ghiaccio" che non piangono mai. Mentre egli si addolcisce, come Il gigante egoista di Oscar Wilde, però, qualcun altro si incattivisce ancor di più. I coreani delinquenti non mollano la presa sui vicini, che si rivelano coreani buoni, in una escalation di violenza gratuita, senza senso e senza fine. Una fine che non sia l'annientamento. Walt lo sa; lo doveva sapere, come confessa al giovane prete irlandese, al quale però non si confesserà mai. E, a modo suo, dice basta.
Una società "all'inferno" (parafrasando Arthur Rimbaud), questa banlieue americana. Disumana terra di nessuno, già in altri film di Eastwood regista (Mystic river del 2003, Million dollar baby del 2004). Ma, ormai, ovunque non è più Un mondo perfetto (1993), film ancora suo. Come non lo era il Far West dei primi film di Clint attore, per la regia di Sergio Leone, di cui quest'anno ricorre il ventennale della morte e che lo preferiva a tutti gli altri attori, insieme a Robert De Niro. Affidandogli nel 1964, in Per un pugno di dollari proprio il ruolo, qui echeggiato, del cavaliere solitario, difensore dei deboli contro i fuorilegge, a colpi di cazzotti e di pistola.
Pure in Gran Torino, ti assale una violenza inaudita, bruta di modi e di parole; ma vi aleggia sopra un senso tragico di colpa, priva di parole. E' la tremenda consapevolezza della responsabilità dei padri, naturali e non, verso i figli, naturali e non.
Ma "qualcosa è cambiato": lui (come capitava a Jack Nicholson, nell'omonima commedia). Sarà Walt il padre che Thao e Sue non hanno; ne riceverà l'attenzione che i suoi figli non hanno per lui. Uomini fatti, non li ha mai saputo amare. Struggente la telefonata ad uno di loro, colle domande di Walt sinceramente interessate, ora. Con loro, farà i conti sempre; e col passato tutto. Il fratello e la sorella hmong li aiuterà, invece, fino alla fine. Perché i valori, come ci insegnò Max Weber, non si devono dimostrare, bensì mostrare. Fosse l'ultima cosa da fare.