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Iago. L'estraneo avvicinamento animale
La raccolta di poesie di Iago (Roberto Sannino) Il difetto edita da Il Filo la inizio a leggere prima di tutto con una parola, “fantasmità”, che si trova nella poesia Discesa a pag. 26: "e riconosco i contorni della mia fantasmità".
Un lemma, il fantasma, che evoca subito una gloria scomparsa, quella del mistero della luce e dell’ombra, di una rarefazione che conduce in un altrove dove la “nessunità” di un’altra poesia, che elabora dall’inizio un percorso, col suo stesso titolo Il pellegrino (p.18) dice: “L’anagrafe continua a forgiare nomi leggeri, come l’anonimato che li documenta”. Ecco, il sentiero dove aduggiamo è evidente ora: il topos scelto da questa raccolta e l’”estraneità”. Quella labilità della comunicazione che ci fa sentire un “fuori” dialogico invece che un “dentro” empatico e conviviale.
Quali sono però gli enti che comunicano questa estraneità su cui si sofferma questo “difetto” che non è soltanto un’aberrazione, un mancamento, una discrasia nel discorso, ma un “deficere”, un’assenza di qualcosa di noumenico al parlato?
Il primo è l’aspetto gruppale, sociale, un’anagrafica che comprende l’uomo soltanto nei suoi aspetti meno eterni, e legati al godimento terreno come consumo, schede, moduli, cifre che ci “annacquano” nel non-essere e non esserci. Qui, in questo mondo che chiama all’invisibilità cristiana della non-fisicità, che produce fantasmi alla ricerca di sé stessi aldilà di un muro che essi stessi costruiscono col sacro dogma.
Contrapposto alla socialità del nulla vi è l’Io con il suo rapporto uno-ad-uno, autentico e ispirato dall’istinto coriaceo che crea e comunica finalmente e fisicamente. Perché ciò che è vero, sembra dirci Iago con le sue parole che trafiggono come machete, che ledono il senso dell’opportunità conforme alle regole del sociale, è rischiosamente avviluppato nei sensi, nella loro parola fatta azione. L’amore è un' azione (cfr. Galimberti, Il Corpo), è qualcosa che può essere soltanto supportato dalla parola, adornato dalle sue raffinatezze, inutile guado che fa rimanere nella palude se non la si attraversa con tutta la forza del tocco umano, di gesti cadenzati e sincronizzati con l’altro, una musica che pretende di seguire il ritmo, oppure si sospende nel nulla non comunicativo, silente come assente.
Il piacere del rapporto uomo-donna è senza requie, seppur quasi concordato nell’autonomia sottintesa alla sua realizzazione, come ben esplicitato in Similitudine a pag. 47: “La sua sorpresa capisce/lo scopo del mio vigore – concentrando su noi/ conformi pretese d’estraneità”. Questa “estraneità” è di certo ben diversa da quella prima citata che vuole una conformità che esclude. Questa è un’estraneità “animale”, un moto che permette l’avvicinarsi ed allontanarsi in una danza di affinità: attrazioni e “ludus” che si innervano in un rapporto intrinseco con la propria natura e quella dell’altro, fornendo la chiave di volta alle nostre inconsapevoli frammentazioni dell’essere.