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Jazz a Torino. Il folklore immaginario del Romano-Sclavis-Texier Trio
Il torpore di gennaio ha anche paralizzato il jazz torinese, che al totale black del ciclo invernale della stagione di “Linguaggi jazz” non ha potuto replicare, nemmeno, con la consueta programmazione di alto livello del Jazz Club. Ma nel gelo assoluto e perfetto della serata di sabato 4 febbraio gli appuntamenti programmati da “Linguaggi Jazz” hanno ripreso a piena intensita’, offrendo al non scarso pubblico che ha avuto il coraggio di sfidare il freddo polare per arrivare al Conservatorio Verdi l’esibizione di artisti di grande esperienza e riprovata bravura, con riconoscimenti di pubblico e critica a livello internazionale: il Romano-Sclavis-Texier Trio, che si e’ esibito in “African Flashback!”.
Gia’ di per sé considerati, i tre musicisti saliti sul palco costituiscono un pezzo non irrilevante (anzi) della storia recente della musica afroamericana di matrice europea. Louis Sclavis, affermatosi sotto l’influenza naturale di Sidney Bechet e di Eric Dolphy, ha intrapreso sin dagli anni Ottanta la ricerca di un "folklore immaginario”, e non esita ancor oggi a distanza di tanti anni, a infarcire la sua musica di tango, di rock e di folk francese.
Anche Henri Texier ha affrontato molte avventure, a partire dall’ambito free, con Michel Portal, Steve Lacy e nell’European Rhythm Machine di Phil Woods. Poi si e’ rivolto, anche, al “jazz-folk”, innovativa sintesi tra jazz e tradizioni celtiche e magrebine (ed un disco in piena solitudine, Amir, del 1976, segna l’indimenticato debutto in tale ambito).
Il batterista “italo-parigot” Aldo Romano é maturato alla corte di Don Cherry e nell’entourage di Carla Bley. Frequentando, poi, (tra i tanti) Paolo Fresu, Franco D’Andrea e soprattutto Michel Petrucciani, che ha contribuito a far conoscere ed apprezzare nel grande circuito internazionale (ricordiamoci, perché ne vale davvero la pena, due dei suoi due ultimi cd, incisi entrambi per la Dreyfus, Origine, che propone le versioni orchestrali delle sue più belle composizioni e Complete Communion, omaggio al repertorio di Don Cherry).
Insieme, i tre, costituiscono un trio di non recentissima costituzione, il complesso è stato costituito in un contesto e per un’occasione ben precisa: una tournée in Africa centrale nel 1990. Li accompagnò, allora, Guy Le Querrec, fotografo dell'agenzia Magnum, che contribui’ a progettare un disco corredato da un libretto con una cinquantina di foto del viaggio.
L’album, Carnet de routes, uscì nel 1995 raccogliendo un successo straordinario.
Narrano le cronache del mondo del jazz che i tre sodali musicisti e l’amico fotografo in Africa siano tornati pochissimi anni dopo, per un’altra serie di concerti, questa volta in sei paesi della costa occidentale: un’esperienza “consacrata” da un oramai datato cd edito dalla purtroppo scomparsa etichetta Label Bleu, che costituisce un vero e proprio taccuino di viaggio in cui i tre musicanti hanno mescolato le proprie composizioni ‘europee’ con i ritmi e le melodie di quei luoghi: Suite Africaine, ancora impreziosito da splendide fotografie.
Oggi come allora l’approccio poliritmico della batteria di Romano, unito alle tessiture melodiche del contrabbasso di Texier, sostengono il sax soprano o il clarinetto basso di uno scatenato Sclavis in un dialogo tra gli strumenti che è sempre continuo e paritario. Esibizione contornata di un “Africanismo elettivo” affermato con costante predilezione per le suggestioni etniche, che ha conquistato il pubblico torinese, alla fine non tanto infreddolito.