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Joker. Put on a Happy Face!
Il film che ha vinto il Leone d'Oro a Venezia, Joker di Todd Phillips, non è di certo un film per bambini: destabilizzante anche per gli adolescenti, è un film drammatico che potrebbe tranquillamente essere presentato diviso dalla serie di film ispirati dai personaggi della DC Comics. Si tratta di un film tremendamente serio, patetico, crudelmente cinico e ritraente una società che si avvia al suo declino, paradossalmente in una risata.
Joker non è un film per tutti: richiede una certa dose di fegato e di coscienza per non farsi trascinare dagli ovvii trasporti giustizialisti (a favore del cattivo di turno diventato tale dopo una serie di discriminazioni e violenze) e conservare invero una sensibilità tale da analizzarlo come l'altra faccia della medaglia di una società votata ad escludere i poveri, i disadattati, i "diversamente felici": ed Happy infatti sarà il soprannome di Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), il protagonista, e sappiamo benissimo che il premio di Venezia 76 l'ha preso soprattutto lui, l'attore, che in prima persona trasporta il film in un'altra dimensione, elevandolo a epica tragica di un piccolo uomo comune avversato dalla malattia mentale e dalla fortuna.
L'ambiguità di fondo che supporta il personaggio afferisce anche al suo "tic", ovvero la risata: Arthur infatti porta con sé un bigliettino per spiegare che quando scoppia a ridere in faccia alla gente che lo rifiuta o lo evita – la donna nel bus che lo rimprovera di disturbare il suo bambino con pose da clown –, è per una sua malattia mentale. Al pubblico però non viene mostrato o detto nulla al fine di comprovare che questo tic sia dovuto alla malattia e non ad una sua risposta nevrotica, ed anche aggressiva, perchè come sappiamo, ridendo si mostrano i denti, segnale chiaro di attacco simbolico. Inoltre Joker rimanda a un killer vero, come il clown di IT, ossia John Wayne Gacy, che tra il 1972 ed il 1978 torturò e ammazzò 33 adolescenti attirandoli col suo costume da pagliaccio.
Un altro effetto notevole del film è il trattamento del tempo, dei ricordi, dell'immaginazione, tutti ben miscelati per non far comprendere fino all'ultimo dove si trovi veramente lo specchio della realtà, e se ne esiste uno credibile in questa Gotham City dove la violenza imperversa senza freni e la metropolitana è luogo del suo scatenarsi, emblema di un avvilupparsi sotterraneo delle viscere della terra, un inferno che freme di uscire dai suoi vincoli. Che cosa in effetti Arthur sogna ed immagina, e che cosa effettivamente avviene passa attraverso un riflesso scuro, mai nitido e l'unica relazione con la vicina di colore (Zazie Beetz) sfugge del tutto a qualsiasi compenetrazione razionale, così come avverrà con la madre Penny (Frances Conroy).
La TV paga il prezzo maggiore nei termini di questo confronto tra la realtà dissociata di Arthur e quella concreta, fino ad azzerarne la distanza: Murray Franklin (Robert De Niro), il presentatore di un talk show che lo invita in trasmissione solo per prenderlo in giro, assisterà alla "mutazione" in Joker, all'esplosione dell'aspetto piu' sociologico della costruzione della storia, l'aspetto che lega la mitomania alla degenrazione della protesta pubblica, quella "Happy Face" che nessun clown (leggi: poveri, disadattati, sfruttati) vuole piu' indossare a suo scapito. Questo condurrà, dopo Arkham, e i cultori sanno di che cosa parlo e della radice lovecraftiana, a Batman: The killing Joke (che è anche il nome di una band post-punk che ha dato alle stampe nel 1978 un album dal titolo: Laugh? I Nearly Bought One!). Quindi, meglio stare attenti, una risata potrebbe seppellirvi da un momento all'altro.