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Jurassic World – Il Dominio. L’utopia animalista tra umani e dinosauri
Con Jurassic World Dominion, il regista Colin Trevorrow propone il sesto film del franchise “Jurassic Park”. Di per sé è il sequel di Jurassic World: The Fallen Kingdom del 2018, ma si propone anche come sintesi e ripresa finale di tutti gli episodi precedenti. Il film dichiara le sue ambizioni fin dalle prime scene, dove si intrecciano thriller scientifico e commedia all’americana, per poi evolvere gradualmente e intrecciando con disinvoltura vari generi (dalla spy story allo heist movie, dai film di avventure alla Indiana Jones, fino alla fantascienza vagamente supereroistica), in un tripudio di citazioni che solo i più smaliziati spettatori sanno riconoscere.
Il film si svolge quattro anni dopo la distruzione di Isla Nublar, l’immaginaria isola dove erano confinati i dinosauri, quasi una riserva naturale concepita come una nicchia ecologica (per certi versi ricorda, in modo inquietante, l’isola di Genosha, lo Stato retto e popolato dai mutanti nel Marvel Cinematic Universe). I dinosauri hanno avuto una sorta di outbreak, e ora vivono e coabitano insieme agli umani in tutto il mondo, in un equilibrio fragile e necessariamente conflittuale. Il film non lascia presagire se quest’equilibrio verrà rimodellato e se gli esseri umani rimarranno la specie dominante su un pianeta che ora hanno scelto di condividere con le creature più temibili della storia: perché di scelta con risvolti perfino etici si deve legittimamente parlare. E se falliremo nel rispettare le forze del mondo della natura, saremo destinati all’estinzione, proprio come i dinosauri, senza peraltro che nessuna nuova specie possa poi clonarci per riportare in vita l’umanità estinta.
Nel film agiscono due generazioni di attori: troviamo innanzitutto Chris Pratt, che interpreta Owen Grady, una specie di Indiana Jones riattualizzato nel singolare ruolo di “Dinosaur Behavior Expert”, e Bryce Dallas Howard (nei panni di Claire Dearing di Jurassic World); questi personaggi sono poi affiancati da Laura Dern, nei panni della dottoressa Ellie Sattler (vincitrice dell’Oscar come miglior attrice non protagonista per l’interpretazione dell’avvocato divorzista Nora Fanshaw in Marriage Story, film del 2019 diretto da Noah Baumbach), Jeff Goldblum (nei panni del dottor Ian Malcolm) e Sam Neill (come dottor Alan Grant, già presente nel Jurassic Park originario). A loro si aggiungono Dewanda Wise (nel ruolo della pilota Kayla Watts), Mamoudou Athie, Dichen Lachman, Scott Haze, Campbell Scott, Henry Wu (geniale genetista già presente in quasi tutti i film del franchise) e la giovanissima Isabella Sermon, quasi tutti già attivi, inter alia, nei molteplici lungometraggi ispirati ai fumetti Marvel e della DC.
La vera peculiarità del film è quindi l’incontro di tutti i protagonisti delle puntate precedenti, che riescono a dargli un impatto corale così forte che il film funzionerebbe anche senza la presenza dei dinosauri. Molto abilmente, regista e sceneggiatore distribuiscono i personaggi in modo da creare due trame parallele, una con Owen Grady, Claire Dearing e Maisie Lockwood (una bambina nata da un esperimento genetico di clonazione, che Owen e Claire, suoi genitori adottivi, benché illegalmente, tentano di proteggere a ogni costo), l’altra con la dottoressa Ellie Sattler e il dottor Alan Grant: alla fine personaggi ed eventi si ricongiungeranno per arrivare alle concitate fasi in cui l’azione porterà a un epilogo forse scontato e prevedibile (con tanto di happy ending), ma che ben si inquadra nella “poetica” di Crichton e Spielberg: scene finali che si svolgono nei laboratori secretati di una misteriosa multinazionale biotecnologica, attiva nell’ingegneria genetica e nella ricerca farmacologica, conosciuta come BioSyn e situata in una grande vallata delle Dolomiti.
La BioSyn aveva dato di sé stessa un’immagine virtuosa e inattaccabile, come un’azienda benefica che, grazie all’utilizzo di esperimenti genetici rivoluzionari, si prefigge di risolvere il problema delle carestie e della fame, creando OGM invulnerabili a parassiti e malattie. L’azienda ha altresì una specie di monopolio per lo studio dei dinosauri, che vengono spesso portati nella valle al fine di esaminarli al sicuro: dietro la facciata, si paleseranno presto le intenzioni tutt’altro che benevole, a causa del ruolo egemone del dottor Lewis Dodgson (che era già apparso nel film Jurassic Park del 1993, alle prese con un contrabbandiere di embrioni di dinosauro). Una menzione la meritano anche i dinosauri (in gran parte animatroni ben costruiti): il “territoriale” Therizinosaurus, il minaccioso Giganotosaurus, carnivoro enorme e predatore temibile, rivale n. 1 del Tyrannosaurus Rex, il minuscolo Moros e i feroci Atrociraptor.
Un valore aggiunto del film è che esso prevede una serie di ambientazioni e contesti diversi mai visti prima nel franchise di Jurassic Park: Dalle montagne innevate della Sierra Nevada alle strade popolate dell’isola di Malta (in particolare La Valletta), fino alla BioSyn Valley situata all’interno delle montagne dolomitiche italiane. Anche gli aspetti più grotteschi e surreali (ad esempio il traffico illegale di dinosauri al mercato nero dell’underground maltese) sono riscattati da una comicità semi-involontaria. Mentre abbiamo riscontrato, tra gli inevitabili difetti, un intreccio poco nitido delle due trame parallele, un ritmo un po’ affrettato e lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi.
La colonna sonora accompagna con discrezione il film, anche se Michael Giacchino avrebbe potuto utilizzare maggiormente i temi originali, a mo’ di suggello epico dell’intera saga.
Un’ultima considerazione “semifilosofica”: il film risente di una fortissima ipoteca animalista e antispecista (al punto che una conferenza di uno scienziato filogovernativo sembra ispirata dalle teorie bioeticiste del filosofo australiano Peter Singer, autore di Animal Liberation): con un ottimismo eccessivo, sembra prefigurare un luminoso avvenire in cui gli esseri umani interagiranno in modo armonioso e quasi “simbiotico” con tutte le specie animali, quelle evolutesi naturalmente e quelle clonate, scilicet i dinosauri. Con un caveat: i veri “cattivi” sono gli scienziati amorali, che con i loro esperimenti genetici rischiano di creare organismi incontrollabili e minacciosi (come le locuste giganti create con il DNA estratto dai fossili della cavallette del cretaceo).
Rimane un interrogativo “inquietante”: partendo da una scena in cui un dinosauro sembra esprimere un sentimento di gratitudine verso un essere umano, si potrebbe ipotizzare una successiva “evoluzione” dei grandi rettili fino a far loro assumere intelligenza e capacità umanoidi (come per i primati del Pianeta delle scimmie)? Certo, anche i cani o gli scimpanzé esprimono sentimenti di affetto grato, sicché tali moti interiori non sarebbero sufficienti per parlare di sviluppo di autentiche facoltà cognitive. Ma chissà che un’«evoluzione» del franchise non ci porti nuove sorprese…