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Laterza. La costruzione della democrazia nel libro di Luigi Ferrajoli
Vi sono libri che hanno il pregio, carattere precipuo dei saggi di grande livello intellettuale, di mostrare al lettore come storicamente si è arrivati alla fondazione della democrazia costituzionale e quali problemi nel mondo contemporaneo si pongono all’attenzione critica dello studioso di filosofia e allo sguardo illuminato del giurista. Luigi Ferrajoli, docente di filosofia del diritto presso l’Università Roma Tre, è l’autore di un libro bello e straordinario, pubblicato di recente dall’editore Laterza con il titolo suggestivo La costruzione della democrazia. Il saggio, che incanta il lettore per la chiarezza espositiva con cui questo grande studioso va alle radici del sistema politico liberal-democratico, è diviso in due parti: la prima, affascinante sul piano intellettuale, dedicata alla teoria del diritto, la seconda, legata ai temi del dibattito politico del nostro tempo, incentrata sulla teoria generale della democrazia.
L’autore, da studioso rigoroso, mentre sottolinea e pone l’accento sulla necessità di rifondare la democrazia per affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, delinea una distinzione concettuale tra la scienza giuridica, la filosofia politica, la sociologia del diritto. La prima attiene alla definizione delle norme, alla loro validità ed effettività, e a quella dell’ordinamento di cui costituiscono l’ordito fondamentale ed il nucleo essenziale. La filosofia politica rappresenta un punto di vista esterno rispetto al diritto, e si basa sulla categoria della giustizia e dei valori politici. La sociologia giuridica osserva dal punto di vista esterno quanto accade nelle realtà per stabilire il grado di effettività delle norme giuridiche. Il diritto si giustifica quale elemento essenziale in grado di garantire la convivenza pacifica e l’ordine nella società umana. La frattura tra scienza giuridica e filosofia politica, ricorda l’autore, si è prodotta alla metà dell’ottocento.
Sui caratteri specifici delle norme, nel libro vengono individuate le norme tetiche, che dispongono situazioni e status, e le norme ipotetiche, che si limitano a predisporre status o situazioni come effetti derivanti dagli atti da essi ipotizzati. Al grande filosofo Hans Kelsen si deve la distinzione tra norme autonome, che implicano le potestà e i poteri nell’esercizio dell'autonomia negoziale, e quelle eteronome, poste in essere dalle istituzioni ad esse deputate mediante l’esercizio di funzioni previste nell’ordinamento. Nel libro, il giudizio di Luigi Ferrajoli è netto nei riguardi della norma fondamentale teorizzata da Hans Kelsen. Per l’autore non esiste una norma naturale che sia il riflesso di principi morali o politici o di giustizia inscritti nell’ordine delle cose. Esiste il positivismo giuridico, sicché le norme esistenti e vigenti e l’insieme delle prescrizioni conseguenti sono poste e causate da atti prodotti da soggetti abilitati. Il principio di non contraddizione e quello di implicazione consentono di capire la natura dei rapporti giuridici, come configurati nell’ordinamento, sicché ad una situazione giuridica attiva, un diritto attribuito ad una persona, corrispondono il relativo divieto e la situazione passiva che ne discende.
Ferrajoli distingue, nell’ambito dei diritti soggettivi, quelli fondamentali e quelli patrimoniali. Ricorda che l’ambivalenza dei diritti soggettivi trae origine dalle diverse tradizioni da cui sono stati generati e istituiti, quella legata all'eredità dell'esperienza giuridica del diritto romano e canonico, e quella dovuta alla concezione filosofica dei diritti naturali. Bella e indimenticabile è la descrizione volta a cogliere la differenza tra la democrazia liberale, che postula il rispetto dei diritti di libertà, e la social-democrazia, che implica la dimensione sostanziale della democrazia, in virtù della quale vi debbono essere le istituzioni di garanzia primaria e secondaria volte a rendere effettivi i diritti sociali, quali quello alla salute, all'istruzione, e ad una vita libera e dignitosa.
Il carattere rigido delle costituzioni, nate dopo la sconfitta del totalitarismo nazi-fascista, implica la conseguenza che i diritti fondamentali sono indisponibili, mentre i diritti patrimoniali sono per loro natura disponibili in base all’esercizio dell'autonomia civile, che ha per oggetto lo scambio nella sfera del libero mercato. Ferrajoli, mentre insiste sulla distinzione tra democrazia costituzionale formale e sostanziale, muove una critica, argomentata con un mirabile rigore filosofico, alla concezione della libertà identificata con la proprietà privata, che si deve alla visione politica elaborata dal filosofo John Locke e condivisa da Immanuel Kant.
A questo proposito, con la raffinatezza del grande filosofo, Ferrajoli richiama la concezione della libertà di Isaiah Berlin, quella negativa, intesa come assenza di impedimenti, e quella positiva, intesa come libera autodeterminazione della persona umana. Norberto Bobbio, integrando questa teoria della libertà, arrivò a raffigurare la differenza tra la libertà di agire e la libertà di volere. Nell'Etica Nicomachea di Aristotele è esposta la concezione dell'equità come rimedio all'astrattezza della legge, richiesto ed imposto dalla concretezza del caso specifico di cui la giurisdizione si deve occupare. La riflessione nel libro tra il principio di legalità e quello di equità, a proposito dell'interpretazione delle norme giuridiche, è profonda ed illuminante. Per superare la lacune e le antinomie esistenti nell’ordinamento, per l’autore è fondamentale il ricorso al metodo ermeneutico basato sulla ponderazione.
Sulla separazione tra i poteri, ognuno indipendente nella sua autonoma sfera istituzionale, che si deve a Montesquieu, tra funzioni esecutive, legislative e giurisdizionali, l’autore osserva acutamente che è necessario aggiungervi altri elementi essenziali. Infatti traccia una distinzione sottile e profonda tra divisione dei poteri infra-istituzionali, e divisione dei poteri extra-istituzionali, poiché la divisione del potere comporta l'interdipendenza tra gli organi e i soggetti tra cui il medesimo potere è diviso. La dimensione multilivello dell’ordinamento costituzionale democratico pone la costituzione al vertice della gerarchia delle fonti del diritto, sicché la legislazione ordinaria è ad essa subordinata.
Nel libro viene posta in evidenza la concezione della costituzione teorizzata da Carl Schmitt, come espressione dell'identità ed unità del popolo, e quella, propria del costituzionalismo moderno, nato dopo la sconfitta del nazifascismo, basata sull'idea del patto di convivenza, così come filosoficamente Hobbes l’aveva genialmente previsto e immaginato. Ricorda l’autore che nel diritto premoderno non esisteva un sistema unitario di fonti del diritto, poiché vi erano molti ordinamenti facenti capo a molte istituzioni, il Papato, l’Impero, i Principati, I Comuni. Il primo mutamento si è avuto e prodotto con la nascita dello Stato moderno, che possiede il monopolio della produzione giuridica, in virtù della quale è nato lo stato legislativo di diritto. Il secondo mutamento si deve alla nascita dello Stato costituzionale di diritto, promosso dal modello dello giuspositivismo, che mira a garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana.
Lo Stato costituzionale di diritto, nel nostro tempo, ha perduto molte delle sue funzioni di governo, trasferitesi al difuori dei suoi confini nazionali, per effetto della globalizzazione finanziaria. Nella parte finale del libro, l’autore sostiene che bisogna creare e dare vita ad una sfera pubblica globale per porre un limite allo strapotere dei mercati finanziari e garantire i diritti fondamentali della persona umana. Un libro che appartiene a pieno titolo alla migliore tradizione saggistica italiana.