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Lidia Riviello. Una generazione al neon
Lidia Riviello, poetessa romana trentenne e figlia del noto poeta Vito Riviello, ha pubblicato recentemente il suo Neon 80, edito da Zona.
Nel suo libro, omaggiata da una nota di Sanguineti, Lidia descrive con la propria armoniosa parola il passare di un fiume, e lo guarda, dai suoi ricordi di bambina, poi ragazza, figlia di quegli anni.
Davanti a lei gli ’80.
Affiorano in superficie i detriti del decennio, ciò che resta, quel che s’è insinuato, come una rimembranza sostanziale.
La scrittura di Lidia, come il suo sguardo, non vuole affondare in quelle acque: Lidia è salva, non scarnifica quegli anni con un giudizio grave: guarda solo fluire la propria generazione, come un fiume, luminoso al neon. Seppure il suo sguardo sia dolente, non diviene mai drammatica narrazione.
La scrittura accompagna i temi in maniera sinuosa, come sinuoso è il pensiero della poetessa, critico, mai disperato. Evoca il passaggio di immagini di quegli anni, quasi fossero filmiche, come se il neon avesse reso i suoi figli, e i loro ricordi, a sole due dimensioni.
La narrazione prosegue, e non si tratta di un “sé dolente” che si impone, ma di un “noi”, che canta collettivamente il proprio tempo. A volte la poetessa nel narrare intona una preghiera, circolare: ”Fatti fummo per”(Intro), e poi dichiara il mito sottostante al rito della propria testimonianza, miti resi tali dal potere della loro apparizione ripetuta, seppure si tratti di presenze effimere.
Così illumina improvvisamente Demi Moore, immettendola nel testo con le “minuscole”, quasi il tempo l’abbia resa un oggetto comune, non più degno d’essere marcato con la maiuscola d’un nome proprio, e chiama per nome uno ad uno certi riferimenti pagani, del proprio tempo, mentre osserva il defluire di quegli anni chiama le cose con il loro nome, e le eleva a simboli dell’affermazione di quell'esistenza.
“Anno ottanta tutt’intero senza forma e ci ritrovammo a bere coca cola” (Intro). Resta una lattina di coca cola, residuo sociologico, non ecocompatibile, e quindi già anacronistico, resta una siringa, privata della sostanza che vi era contenuta, resta l’essere stati fatti per il neon, e il pensiero del perché fummo fatti per il neon.
“Quanto corpo a noi dovuto è stato sottratto?” (Intro), si chiede la poetessa. La domanda è aperta, la generazione di Lidia, formata e sformata dagli ’80, va avanti, senza aver marcato il proprio tempo d’eventi di storica portata, ma niente, per l’autrice, è ancora perduto.