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Lione. Al Festival Verdi un Don Carlos di rilievo
L'appuntamento più atteso del Festival Verdi all'Opéra National de Lyon, è stato la rappresentazione del Don Carlos di Giuseppe Verdi, in un nuovo allestimento di Christophe Honoré e la direzione di Daniele Rustioni. Il motivo principale risiede nella versione andata in scena, quella in cinque atti, in francese e con il balletto.
Don Carlos, infatti, è un grand-opera e andò in scena 11 marzo 1867 in quello che era il centro creativo di questo genere il Théâtre Impérial de l'Opéra a Parigi. Il Don Carlos è quindi in francese diviso in cinque atti con i ballabili al terzo atto, l'ambientazione è storica, anche se il dramma di Schiller su cui si basa è lontano dalla verità storica. L'Opéra aveva a sua disposizione grandi mezzi per quello che riguardava sia la parte musicale sia quella scenica, questa era la parte positiva per un compositore. Quella negativa era che le regole che imponeva erano molto stringenti e pesarono su tutti i musicisti che scrissero opere per “la grand boutique”, secondo la pungente definizione di Verdi.
Il Don Carlos è un capolavoro della maturità musicale e drammaturgica del compositore se ne conoscono quattro versioni, la prova generale e quella poi andata in scena all'Opéra, in francese, le due versioni in italiano, quella in quattro atti e una di nuovo in cinque atti, senza i ballabili e diversi cambiamenti rispetto alla precedente. La partitura è di una estrema raffinatezza musicale, anche il balletto "La peregrina", è una pagina musicale non fine a sé stessa, ma è inserita alla perfezione nella drammaturgia. Lo scambio di persona, infatti, a cui è indotto Don Carlos avviene perché la Regina, a cui il balletto è dedicato, andando via, per non far notare la sua assenza, dà la sua mantiglia, la collana e la maschera nera a Eboli.
La musica descrive tutte le contraddizioni psicologiche e penetra nell'intimo dei personaggi nei mutamenti contrastanti degli stati d'animo dei personaggi, l'aria di Philippe II 'Elle ne m'aime pas !'( ella giammai m'amò !) è in questo senso emblematica. Il Don Carlos è un'opera corale in cui i duetti e tutti pezzi di insieme descrivono le complicate interazioni fra i diversi protagonisti. Il coro dei boscaioli apre il dramma e lo connota immergendo lo spettatore nella tragedia della guerra e delle sue conseguenze, l'amore che nasce tra Carlos e Elisabeth in una fredda e nebbiosa Fontainebleau è l'unico raggio luminoso in questo cupo dramma.
Viene subito spento dalle invocazioni dei Boscaioli che chiedono ad Elisabeth di accettare il re Philippe come sposo, condizione per il trattato di pace. Il senso del dovere prevale e si delinea quel sentimento di acuta sofferenza che pervade l'animo dei due personaggi negli atti successivi. Se il rapporto tra Don Carlos è Posa è di fervente amicizia, c'è una strana attrazione tra quest'ultimo e il Re che lo sceglie tra tutti come suo favorito. Posa è la grande invenzione di Schiller, è un personaggio anacronistico, un aspetto che Verdi percepì subito e non è un caso che la stesura del duetto fra i due che attraversa le quattro versioni sia una delle più travagliate.
Venendo alla messa in scena curata da Christophe Honoré è necessario tenere presente che il palcoscenico non è grandissimo, ma neanche piccolo, certamente è una sfida mettere in scena il Don Carlos, che mette alla prova le capacità della regia. Le soluzioni adottate ci hanno suscitato impressioni contrastanti, l'inizio è molto vicino a quanto indicato nel libretto, la nebbia nella foresta che causa lo smarrimento di Elisabeth e l'incontro con Carlos, il fuoco reale che viene acceso per riscaldarsi. La scena al convento di San Giusto è allusiva, mentre è ambientata in una sala anonima quella fuori del convento e soprattutto è la regia che lascia perplessi. La 'Chanson sarrasine' (la canzone del velo) è pervasa da una sottile sensualità, gesti espliciti e volgari da prostitute di strada ci sono parsi eccessivi; le velate allusioni non sono più intriganti?
La coreografia del balletto di Ashley Wright ha coinvolto anche il coro che è stato impegnato in una danza di gruppo da dopolavoro aziendale, in un contesto che ricordava un happening in cui si faceva un pesante mix di alcool e droga. Poi sono arrivati i danzatori professionisti, i loro movimenti convulsi in una pozza sembravano evocare una crisi da abuso di droga o una possessione demoniaca. Tale doveva essere perché sono stati catturati e nell'autodafé sono finiti sul rogo. La scena dell'autodafé è stata eccessivamente statica, ingabbiare in una costruzione a tre piani coro e protagonisti limitando i movimenti non è stata una soluzione felice, toglie solennità ad una scena che risponde ad uno degli stilemi del grand-opera che voleva per il terzo atto, oltre al balletto, una scena d’insieme di dimensioni grandiose. Le scene nell'appartamento de Re e anche nella prigione sono state funzionali allo svolgimento degli avvenimenti e poi si è tornati a quella del convento di San Giusto. I costumi di Pascaline Chavanne come le scene non si collocavano in una epoca precisa bensì in un antico reinventato, alcuni ci sono parsi ben riusciti soprattutto quelli degli uomini ma non durante il balletto, decisamente meno quelli delle donne e di Elisabeth e Eboli.
Per quanto riguarda la compagnia di canto Michele Pertusi ha dato vita ad un nobile e autorevole Philippe II lo ricordiamo nella celeberrima 'Elle ne m'aime pas !' e nel 'Lamento' sulla morte di Posa, (poi tagliato da Verdi dopo la prova generale, il cui tema è stato poi sviluppato ed inserito nel Lacrymosa nella successiva Messa di Requiem) così come nei duetti con Posa e l'Inquisitore, la voce scura e duttile è stato lo strumento con cui ha espresso efficacemente tutte le sfumature di questo arduo personaggio uno dei traguardi più ambiti per un Basso. Sergey Romanovsky ha una bella voce tenorile morbida e limpida nella tessitura acuta è anche un interprete sensibile e attento. È un tenore che si è dedicato soprattutto al repertorio rossiniano, è uno dei pochissimi che ha osato affrontare con successo la parte impervia di Néoclès ne La siège de Corinthe di Rossini. Nel ruolo di Don Carlos non ci è parso sempre a suo agio, meglio nelle parti più liriche in cui ha potuto dispiegare gli ampi mezzi vocali di cui dispone.
Stéphane Degout è stato un pregevole Posa ha una voce calda ed espressiva e una buona presenza scenica ma ci è sembrato un po' affaticato nel finale. Roberto Scandiuzzi è stato un rimarchevole Inquisitore, ha esibito una voce profonda, scura e una notevole presenza scenica, un'apparizione terrificante, il duetto con Filippo è stato grazie al raffinato fraseggio e alla bravura dei due interpreti uno dei momenti più riusciti dello spettacolo. Bene Patrick Bolleire nel ruolo del Monaco che apre il secondo atto ha una voce cupa che s'impone. Sally Matthews ha interpretato con sensibilità scenica Elisabeth, possiede una tecnica efficace, la voce è chiara nella tessitura acuta, ma in quella centrale e maggiormente in quella grave, molto presente nella parte, a nostro avviso, manifesta uno sgradevole vibrato.
Eve-Maud Hubeaux è stata una Eboli, autorevole, tecnicamente precisa e sicura nelle agilità che ha esibito nella 'Chanson sarrasine'. Ha una voce limpida e squillante nella note acute, vellutata e calda nel registro centrale e grave, una padronanza perfetta nell'emissione, dai 'filati' in pianissimo, alle 'mezze voci', agli acuti, pregi che hanno concorso alla riuscita del personaggio e nell'aria topica 'O don fatal !'. Eboli è, come noto,'diversamente abile' perché il personaggio storico è ritratto con una benda sull'occhio destro. In questa messa in scena è sulla sedia a rotelle e con un tutore metallico alla gamba destra, un handicap che l'ha costretta a cantare praticamente sempre seduta. A volte ci si chiede se non ci sia del sadismo in certe regie, la Hubeaux che abbiamo vista in piedi solo alla fine dello spettacolo è una bella donna, alta e anche da seduta ha mostrato una grande presenza scenica e quindi è inevitabile chiedersi, ma perché ? Perché non mettere a loro agio gli interpreti permettendo loro di esprimersi al meglio?
Bene le cantanti dello Studio de l’Opéra de Lyon, Jeanne Mendoche come Thibault e Caroline Jestadet, dotata di una voce chiara e luminosa, nella Voix d’en haut una parte difficile perché scoperta, i membri del coro che hanno sostenuto le altre parti, hanno seguito le indicazioni del direttore contribuendo alla riuscita dello spettacolo. Dulcis in fundo, la direzione sensibile e appassionata di Daniele Rustioni è stata decisiva per la resa teatrale del Don Carlos, soprattutto là dove la regia era, a nostro avviso, non efficace. Ha interpretato questa complessa partitura dimostrando una notevole predisposizione alla drammaticità della musica, di cui ha sottolineato la cantabilità, i colori timbrici e la dinamica, ha infine guidato con piglio sicuro l'orchestra, il coro e gli interpreti. Il teatro gremito di pubblico ha salutato tutti gli interpreti con lunghi e scroscianti applausi.