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London Boulevard. Colin Farrell e l'incoercibile destino
"Because you’re mine, I walk the line" (Johnny Cash). Questo verso di una delle ballate più note del cantautore più amato dai banditi americani è forse la descrizione più giusta che cattura un film come questo, London Boulevard, in cui il protagonista galeotto fa di tutto per restare lontano dai guai, senza riuscirci.
Il reo Mitchell si ritrova a scontare una pena esagerata per un’aggressione, ma da bravo “uomo d’onore” rifiuta di coinvolgere altri nella sua disavventura giudiziaria: così, al momento del suo ritorno in “società”, è riaccolto con tutti gli onori del caso.
Mitchell (Colin Farrell) ha una sorella inaffidabile e gran catalizzatrice di disgrazie; inoltre lo infesta, suo malgrado, la compagnia di Billy (Ben Chaplin) un vecchio amico che tenta continuamente di rigettarlo sulla via del crimine, arrivando a fargli conoscere il boss locale, Gant (Ray Winstone, attore proveniente da uno dei quartieri peggiori di Londra) che attraverso la voglia dello scarcerato di risalire agli assassini di un amico vagabondo tenta di asservirlo ai suoi scopi.
Il violento e surreale capo – cita sempre aneddoti macabri del suo passato prima di eliminare le sue prede - trova di fronte a sé una rocciosa volontà, la quale sistematicamente gli preclude l’alleanza criminale (“Non vuoi che io sia un gangster. Nessuno vuole che io sia un gangster. Perché se inizio non mi fermo più”, avrà modo di intimargli Mitchell a una cena “di lavoro”) che brama ossessivamente e che li proietta nell’insanabile contrasto finale.
Ciò che impedisce al Nostro di accettare il patto di Gant è l’amore che nutre per la sua datrice di lavoro Charlotte (Keira Knightley), una giovane attrice in pensione, spaventata dai paparazzi, il cui unico filtro dal mondo esterno è l’eclettico e sorprendente aiutante, anche lui ex-attore, Jordan (David Thewlis). S’instaura fra loro una relazione simile a quella del film Guardia del corpo che li farà sognare una fuga insieme verso Los Angeles.
Sono curate da William Monahan, già collaboratore di Martin Scorsese e Ridley Scott, sia la regia, in cui debutta, che la sceneggiatura; quest’ultima mescola dialoghi profondi, scambi ruvidi, repentini cambi di passo e violenti, efficaci coups de théâtre. È evidente che il più grande successo del regista sia l'Oscar alla migliore sceneggiatura non originale per il film The Departed - Il bene e il male, con cui condivide la stessa produzione di Graham King e la presenza dell’attore Ray Winstone.
La presente pellicola è tratta dall’omonimo romanzo di Ken Bruen; il filone cui si riallaccia è il British Crime Film, cui questa produzione americana si avvicina ricostruendo perfettamente l’atmosfera tesa della mala londinese e arruolando attori del posto - notare l’uso spregiudicato del cockney di Ben Chaplin – come Stephen Graham. I primi titoli che richiama alla mente sono Snatch, Lock & Stock – Pazzi scatenati, The Pusher, e in genere tutti i lavori di Jason Statham.
Se la fresca sceneggiatura è il punto forte, quello debole è la trama di questo thriller-noir che per come è stato sviluppato poteva avere poche svolte inaspettate. Da segnalare l’uso calibrato, mirato della violenza del protagonista in opposizione a quella inusitata, futile del boss, che subirà anche un esemplare contrappasso, nonché il climax (prima un pugno sul collo, poi una spinta giù per le scale, poi uno scontro a fuoco con la polizia) dell’apparentemente inoffensivo aiutante/attore Jordan.
Per protagonista Monahan ha voluto da subito l’irlandese Colin Farrell, che effettivamente interpreta il suo ruolo in maniera magistrale, instaurando subito l’alchimia giusta con Keira Knightley e recitando parti di una violenza estrema con una scioltezza degna solo dei grandi attori. Il regista si allontana dal testo originario nel tratteggiare, al posto dell’attrice decaduta del libro, la figura di Charlotte, autocostretta a un esilio casalingo dall’asfissiante assedio dei paparazzi, tema raramente sviscerato prima. Altra divergenza riguarda il suo aiutante/amico/guardiano, un eclettico ex-attore interpretato in maniera personale e affascinante da David Thewlis, inserito al posto del maggiordomo europeo calvo.
Molto significative le parole di commento di Chaplin all’opera: “Non ci sono solo sparatorie. Ma il film parla anche del destino: Mitchell cerca di scegliere il suo percorso ma la sorte non glielo permette”; da questo contrasto insanabile tra la volontà del singolo e le avversità esterne scaturisce l’epica, tragica poesia del film.