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Madrid. Il Silla mozartiano inaugura il bicentenario al Teatro Real
Per i duecento anni del Teatro Real di Madrid si è inaugurata la stagione con il massimo dei salisburghesi in musica, Wolfgang Amadeus Mozart e con un'opera che per la prima volta viene rappresentata al Real: Lucio Silla. Un'opera seria che ebbe la sua prima assoluta al Teatro Regio Ducale di Milano il 26 Dicembre 1772, e che è piuttosto rara sui palcoscenici, solo nel 1964 in epoca moderna è stata rappresentata al Festival di Salisburgo. Due cast eccezzionali sono presenti ad alternarsi sul palco del Real in questo nuovo allestimento a firma del teatro stesso con Ivor Bolton sul podio e Claus Guth alla regia, ripreso da Tine Buyse e con le scene ed i costumi di Christian Schmidt.
Lucio Silla è il nome di uno dei più celebri generali romani che riuscì a cacciare Mitridate dalla Grecia tra 82 e 84 a.C., la ricordiamo poiché Mitridate, re di Ponto è una delle opere serie di soggetto storico che la precede (essendo stata ultimata nel 1770) e con cui ha dei legami di soggetto storico. Mozart scrive Lucio Silla a 16 anni nel 1772 e situa nell'ultima parte della vita del dittatore romano, ovverosia prima del suo “storico” ritiro a vita privata, la storia, nel 79 a.C.
Riassumiamo brevemente la trama dell'opera: Silla (tenore) è innamorato di Giunia (soprano), figlia di Caio Mario, che ha fatto assassinare per prendere il potere. Accanto ha sempre un falso amico che è Lucio Cinna (interpretato da un soprano) ed ha mandato in esilio il promesso sposo di Giunia, il senatore Cecilio (anche questa parte è interpretata da un soprano; in questo caso da un mezzosoprano). E' poi attorniato dalla sorella Celia (contralto, più spesso il ruolo è affidato ad un soprano) alla quale è affettuosamente legato e dall'amico Aufidio (tenore). Tutto si risolverà per il meglio nonostante svariate scene d'ombra, particolarmente gotiche come quella del primo atto (scena V) nel cimitero con Giunia che canta l'aria Dalla sponda tenebrosa e che, dopo aver rifiutato Silla come sposo, incontra finalmente Cecilio nel duetto (Scena IX) D'Eliso in sen m'attendi. Uno dei cambiamenti che notiamo in proposito è proprio lo scambio di parti tra Cecilio e Giunia: nella notazione scenica e registica di Guth e Schmidt infatti è Giunia trasformata in fantasma – lei nell'originale scambiava Cecilio per fantasma perché Silla le aveva detto che era morto – con un velo nero sulla testa per la morte del padre. Particolarmente efficace proprio la notazione dei loro ruoli che, come amanti, si incontrano sempre al buio senza vedersi, su due linee parallele, e solo dopo aver esordito con le voci si riconoscono. Molto ben recitato da entrambe le coppie, ci è sembrata più nella parte e con una voce veramente melodiosa e trascinante, ben salda, il soprano francese Julie Fuchs, particolarmente avvenente nella parte. Preparata ma non convincente Patricia Petibon, che mancava di entusiasmo, sebbene la preparazione di lungo corso e l'esperienza sia più longeva dell'altra.
La figura di Lucio Silla, in questo allestimento, varia parecchio da primo a secondo cast: il tenore americano Kurt Streit ha una voce, un'attorialità, assolutamente ineguagliabili per forza e raffinatezza; il tenore tedesco Benjamin Bruns, con una bella voce rotonda, più leggera, ci è rimasto particolarmente simpatico perché infondeva nel personaggio un'ironia ed un'ilarità con grande trasporto: un dittatore “magnanimo” fino allo spasimo, ed anche un po' imbranato. D'altronde sulla scena vediamo barboni – gli stessi personaggi -, uno psichiatra impersonato da Aufidio col camice bianco, soprattutto l'americano Kenneth Tarver , particolarmente serio; mentre l'altro, Roger Padullés, più ironico nella parte: belle voci, quella di Tarver svetta sull'altra. Inoltre una delle scene è ambientata in una sorta di prigione da manicomio con le piastrelle sporche e Silla con Celia che si danno allo champagne, due derelitti in preda a paturnie d'amore: lei perché rifutata da Lucio Cinna; lui invece da Giunia. Qui si nota bene che le due voci di Celia ci sono piaciute entrambe, quella di Anna Devin più soave; quella di María José Moreno più piena e flessibile: molte ben agite le parti.
Grande differenza tra il Cecilio di Silvia Tro Santafé, matura voce valenciana di mezzosoprano e di grande timbro; la mezzosoprano perugina Marina Comparato ci è piaciuta per la vivacità e flessibilità. Gli abiti facevano sembrare entrambe due giovani ragazzi che un po' sembravano inadeguati alla seduzione di donne adulte come le due avvenenti soprano che interpretavano Giunia.
Un altro aspetto interessante dell'opera è il suo libretto, scritto da Giovanni de Gamerra ma soprattutto rivisto e corretto da Pietro Metastasio, che non avrebbe di certo apposto la sua firma su un testo non abbastanza elevato. Così notiamo che il livornese Gamerra ha delle ombre lui stesso, che traduce nel testo con queste atmosfere gotiche (Le sponde tenebrose quando Giunia è nel cimitero in cui prova nostalgia per il padre), e che hanno un profilo parallelo con una storia accaduta a lui stesso, con una fanciulla di buona famiglia suicidatasi per amor suo perché ostacolata dalla famiglia di lei, nobile. (inoltre Gamerra era sposato con figlie). Si racconta, non sappiamo se vero o totalmente inventato, che lui ne avesse riesumato il corpicino e lo avesse tradotto a casa per tenerlo avvinto, in una prospetiva negromantica da brivido! Fatto sta che la parola morte ricorre ben 24 volte nel testo e molte ancora “ombra”, che nell'allestimento scenico odierno è stata tradotta in una specie di cunicolo d'ombra appunto, dove si avventurano Giunia e Cecilio (o dalla quale sortiscono) seguiti da un coro che sembra un accolita di redivivi che li inseguono. La scena IX, descritta appunto come un luogo sepolcrale dove sono sepolti gli eroi di Roma (quindi il padre di Giunia) ovvero di “urne dolenti”(Fuor di queste urne dolenti, Coro), fa diventare il lugubre lamento di Giunia (O del padre ombra diletta) in rispondenza col coro una dissolvenza sonora di particolare riflessione spirituale, soprattutto grazie alla notazione sonora mozartiana in cui il lamentoso filamento dei violini rende ancora più profondo il suo canto. Quel che nel duetto finale invece si coglie è una speranza assediata dal dolore (D'Eliso in sen m'attendi) che però è controbilanciata dalla stessa incertezza del dittatore Silla di fronte al diniego della donna amata nella scena VII del secondo atto, che lo mostra atrocemente tormentato:
Ah sì, di civil sangue
Innonderò le vie, se Roma altera
Alle brame di Silla, oggi s'oppone;
Ho nel braccio, ho nel cor la mia ragione.
Giunia?... Qual vista! In sì bel volto io scuso
La debolezza mia
... Ma tanti oltraggi?
Ah che in vederla, oh Dei!
Il dittatore offeso io più non sono;
De' suoi sprezzi mi scordo, e le perdono.
Qualificativo dubbio d'altronde di tutti i personaggi, financo il traditore Cinna che fa il doppio gioco con Silla stando dalla parte di Cecilio e Giunia, e finirà per sposare la sorella del dittatore, Celia. Tutto però è tradotto in uno strano Colosseo di cemento armato che ha anche un modellino, come un gioco e che ad un certo punto Cinna incendia come Nerone fece con Roma (l'incendio storico si propagò in tutte le zone povere intorno al Circo Massimo). Nel fiorire di incertezze, il più cedevole appare il dittatore rispetto a Cinna, Cecilio e Giunia, ben convinti delle loro posizioni, ed in questo cuore tenero in fondo farà breccia la soluzione salvifica per tutti ed il “perdono” annunciato. A ricordare la splendida ed armonica ouverture dell'inizio che, tra il Molto allegro in re maggiore e l'Andante in la maggiore, presagiva il lieto fine.
Grandi applausi per tutti, soprattutto per il direttore Ivor Bolton che ha mostrato continua sicurezza e perfetta sincronicità con l'Orchestra del Teatro Real, insieme al Coro diretto dal Maestro Andrés Máspero.