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Metropolitan Opera House di New York. L'Elektra espressionista di Chéreau
Il 9 marzo 2018 è andata in scena al Metropolitan Opera House di New York l'Elektra, Op. 58, un'opera in un atto unico di Richard Strauss. Il libretto in lingua tedesca è di Hugo von Hofmannsthal, che ha adattato il suo dramma omonimo del 1903 (in realtà i due testi sono quasi del tutto coincidenti). L'opera fu la prima di molte collaborazioni tra Strauss e Hofmannsthal (si ricordano anche il Rosenkavalier e la Salomè). La première fu rappresentata all'Opera di Stato di Dresda il 25 gennaio 1909. Quest'allestimento newyorkese è opera della genialità del regista francese Patrice Chéreau, scomparso prematuramente nel 2013, che ha saputo proiettare il dramma in un'atmosfera definibile come quella di una Grecia "senza tempo". Tra gli interpreti, si distinguono Christine Goerke, Michaela Schuster, Mikhail Petrenko e Dwayne Croft.
Pur basandosi sulla mitologia greca antica (e in particolare sull'opera omonima di Sofocle, mentre rimangono sullo sfondo le Coefore di Eschilo e l'Elettra di Euripide), l'opera è altamente modernista ed espressionista. L'adattamento della storia da parte di Hofmannsthal e Strauss si concentra strettamente su Elektra: il personaggio viene appunto letto in chiave espressionista, sia dal punto di vista musicale (con sezioni cacofoniche e Leitmotiv atonali ispirati dalla polifonia del primo Schönberg), sia dal punto di vista letterario, con scene di orrore crudo, brutale, violento e assetato di sangue. La protagonista, esprimendo le sue emozioni e la sua psicologia in modo univoco quando incontra gli altri personaggi, dalla madre Klytämnestra, una degli assassini di suo padre Agamennone, alla sorella Chrysothemis, dal fratello Oreste (Orest) all'amante e complice di Klytämnestra, Egisto (Aegisth).
La trama è troppo nota perché la si debba riportare per intero: nell'antefatto, il re di Micene, Agamennone, ha sacrificato la figlia Ifigenia, simulando un suo misterioso matrimonio. Capitanerà poi la guerra contro Troia, inducendo in sua moglie, Klytämnestra, un odio feroce contro di lui. Al suo ritorno, con l'aiuto del suo amante Egisto, uccide suo marito, ma è continuamente ossessionata dall'idea che il suo crimine sarà vendicato dagli altri suoi figli, Elektra, Chrysothemis e il loro fratello Oreste, da lungo tempo bandito dalla città. Elettra si aggira solitaria nel palazzo degli Atrìdi, senza comunicare con nessuno e con lo sguardo fisso nel vuoto: sembra quasi un fantasma accusatore, monito perenne per Klytämnestra. In questo ricorda ambientazioni shakespeariane, ma anche l'ancient mariner di Coleridge, costretto a narrare la sua colpa: con la sostanziale differenza che la responsabilità di Klytämnestra è invece pro-spettiva anziché retrospettiva, ossia allude a un corso di eventi futuro.
Egisto e Klytämnestra hanno deciso di rinchiudere Elettra in una torre, finché improvvisamente uno straniero misterioso compare, rivelando di essere Oreste. Costui consuma implacabile la sua vendetta: mentre Elettra attende quasi istericamente il corso degli eventi, si odono in lontananza le grida raccapriccianti di Klytämnestra, trafitta dalle pugnalate del figlio. L'epilogo non potrebbe essere più tragico: è la stessa Elektra a guidare l'amante Egisto alla ricerca della regina, ma Oreste ne approfitta per uccidere anche lui. A questo punto, diversamente che nelle tragedie greche, Elektra sprofonda in una sorta di trance e comincia una danza delirante, che ricorda quella dell'eletta nel Sacre du printemps di Igor Stravinskij, finché non cadrà a terra esamine e non esalerà l'ultimo respiro. Ma l'ultima scena è riservata alla sorella Chrysothemis, che bussa disperata alla porta del palazzo invocando il nome di Oreste.
Per molti versi Hofmannsthal (più che lo stesso Strauss) è qui debitore della concezione wagneriana del Gesamtkunstwerk (opera d'arte totale): "La poesia, il dramma e la musica dovevano fondersi per produrre negli spettatori un'esperienza insieme sociale e personale. Hofmannsthal si allontanò dunque dal tentativo di afferrare il mondo tramite immagini (Bilder) artisticamente perfette e si sforzò invece di comunicare una esperienza di vita reale (Gebärde). Non era possibile far questo con le sole parole ma doveva essere raggiunto con una allegoria lirica" (Allan Janik & Stephen Toulmin).
Le scenografie di quest'allestimento sono volutamente minimali, né indulgono ad attualizzazioni eccessive (ma neanche a quel filologismo retro che spesso si riduce a grotteschi effetti da film peplum). Il colore dominante è il grigio, che simbolizza la cupa atmosfera di vendetta che aleggia sull'intero dramma. Superba è l'interpretazione che Christine Goerke dà di Elektra, nel suo perenne ondeggiare "shakespeariano" tra voglia di vendetta e meditazione interiore sulla propria responsabilità, con un cantato sommesso e perfettamente aderente alla partitura di Strauss. Anche Dwayne Croft nei panni di Oreste rivela un temperamento determinato e con un'impostazione vocale ferma e coesa.
Da un punto di vista strettamente musicale, è degno di rilievo il tema del padre morto composto da quattro note (come il nome di Agamennon è composto di quattro sillabe). Notevole è anche l'accordo dissonante che introduce la figura di Elektra – re bemolle maggiore su mi maggiore –, mentre un accordo di si minore su fa minore si associa a Klytämnestra, immergendo l'ascoltatore in un'atmosfera di perenne tensione, che si stempera solo negli ultimi istanti.
Va peraltro osservato che i quasi-Leitmotiv associati ai personaggi li rendono particolarmente identificabili, al di là dei luoghi comuni che spesso gravano su di essi. L'accordo dissonante di Elektra ne evidenzia la personalità lacerata, ma non isterica, come pure un cliché di matrice freudiana la ha lungo connotata. Infatti, nelle sindromi isteriche l'inconscio del malato tende a rimuovere il trauma che aveva causato la sindrome. Ma Elettra richiama alla mente ogni sera l'assassinio del padre, proprio nell'ora in cui accadde, come una specie di rituale, rinnovando il suo giuramento di vendetta. Semmai è Klytämnestra a essere più vicina ai caratteri freudiani, perché la sua memoria ha rimosso quasi completamente il vile omicidio.
Il pubblico ha comunque apprezzato moltissimo sia la recitazione, sia il canto, sia la resa orchestrale: peraltro, l'orchestra messa in campo con l'Elektra è considerata unanimemente una delle più ampie dei repertori operistici classici, con un organico che comprende otto clarinetti, quattro corni inglesi, quattro tube wagneriane, sette trombe, due arpe, e numerosi archi e percussioni. È stato grande merito del direttore Nézet-Séguin quello di essere riuscito non solo a ottemperare perfettamente agli effetti coloristici della partitura, dal lirismo più tenue alla più inquietante dissonanza, ma anche ad adattare i passaggi orchestrali alle voci degli interpreti, ad esempio quando i suoni più ispidi devono interfacciarsi con il canto lacerato di Klytämnestra, che nella scena centrale dell'opera descrive accoratamente i suoi incubi. Tutto ciò è stato salutato dal pubblico newyorkese con una standing ovation di vari minuti.