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I micromondi narrativi in "Guarda che me ne vado" di Sara Vannelli
Si può giudicare e recensire un libro secondo i criteri più disparati. Si può iniziare dal titolo Guarda che me ne vado e pensare che si tratti di una minaccia. Si può considerare l'autrice, Sara Vannelli, una giovane scrittrice esordiente ed eclettica, che emerge dalla copertina con uno sguardo di rilassata sfida, immersa da colori vivaci. Si può considerare la casa editrice Leconte, nota per la sua trasversalità e la sua ideologia “crossover”.
Si può giudicare la trama, il filo conduttore o singole frasi. Si può andare ad uno dei Reading Musicali di presentazione del libro, e rimanere colpiti dall'ambiente creato dall'autrice e dai suoi amici artisti che ne interpretano teatralmente i racconti e li accompagnano con originali e suggestivi ritmi musicali. Si può iniziare a sfogliarlo, e leggere l'introduzione di Lidia Ravera: “Sara Vannelli ha orecchio, è intonata, sa registrare i suoni della vita, li percepisce tutti, anche i sottovoce”.
A mio parere, l'originalità di questa opera prima di Sara Vannelli è lo stile di una narrazione frase per frase: in poche righe è capace di sintetizzare micromondi emotivi, culturali, linguistici. Ne esce fuori un grande bisogno di amore, vita e persone sintetizzate, schiacciate dalla quotidianità, dalla televisione, dalla cattiva informazione e da un sistema malato. Inevitabilmente, una forte voglia di cambiamento e un desiderio di andarsene, per ritrovare e ritrovarsi.
Il suo fare narrativo, del tutto personale, ha qualcosa di ipnotico e di onirico, come un pensiero quasi inespresso. Per questo molto complesso. Ha molto in comune con la vita, che è vissuta, spesso data per scontata o ignorata, ma che si trova lì - da qualche parte - per riaffiorare in attimi infiniti e pretendere finalmente se stessa.
Proprio per questa sua originalità narrativa, mi è piaciuto leggerlo e studiarlo quasi come un manuale, individuarne dei micromondi concettuali, degli insiemi di significati che spesso si intersecano e che non escludono ma comprendono molti altri. Eccone alcuni, accompagnati da alcune frasi evocative.
a) Descrizione di personaggi in un’unica frase, quasi definizioni: “una madre sfatta”, “Lui è Giulio e c’ha il morbo di Parkinson da quando ha preso la patente e si è imbottigliato nel traffico di Roma”, “Lui, un uomo di trentasei anni piuttosto felice tra le 12 e le 12.15 (davano alla radio una trasmissione che a lui faceva sbellicare dalle risate)”, “uno che non si fa problemi a creare problemi”.
b) La cattiva informazione di un mondo malato dove la televisione incombe: “vota, televota, scegli tra Ricciarelli o Prodi”, “Kinder, Buitoni. Cioccolato dentro e fuori”. “tra sperquiz e fatti di cronaca quello che dovremmo sapere spesso ci viene nascosto”, “E poi i deboli le guerre non le vincono mai. Diciamolo”, “L’uomo grasso quel Natale si sentì così bene che mangiò anche lo zio Terry e anche la villa di famiglia”.
c)Vita schiacciata dalla quotidianità, approdando nell'incomunicabilità: “Va bene mamma, tutti a tavola e zitti”, “ e poi io c’ho gli stessi calzini di ieri, che faccio li levo? Puzzeranno?”.
d)Fuga dagli schemi, probabilmente proprio a causa dell'incomprensione e dalla disarmante vita quotidiana: gli eroi “mangiano tutto e non sono mai tristi”, “Paura che suo figlio diventi un prodotto confezionato, pilotato e manovrato”, “Io non ne so niente di apocalisse, ma quando il sole è caduto dal mio lavandino ho pensato di essere stanco”.
e)Un forte e spesso inespresso desiderio di amore e di comprensione: “Si sentiva come una di quelle mosche che girano a coppiette d’estate alla ricerca di una stanza più fresca dove stare”, “Devi farle capire che senza di te, ecco sì, che senza di te sarebbe tutta un’altra cosa. Sareste due persone diverse”, “Viviamo insieme ma lei non ha ancora capito niente”, “Senza l’amore rimane solo la parola senza”, “Vorrei un posto nascosto e nella folla trovare qualcuno”, “molte persone dicono di capire ma poi non capiscono, altre dicono di amare ma poi non sanno come farlo. E non lo fanno”.
f) Ne deriva un innato desiderio di cambiamento, la volontà di dire: “Guarda che me ne vado”: “Cambiare. Aveva detto. Ma non capiva più cosa. Come. Che cosa era cambiato e che cosa sarebbe dovuto cambiare”.
Un mondo frammentato e scomposto, tormentato da rumori mediatici e quotidiani, basato sul dialogo diretto e sul presente. Dove non mancano anche dolci malinconie del passato percorse da un filo di ironia. Un mondo dove non sono i personaggi ad avere importanza, piuttosto vaghi e anche interscambiabili. Quello che importa davvero è impossessarsi della propria vita, realizzare i propri sogni e, se necessario, andarsene. Non necessariamente da un luogo ma anche da una situazione o da una visione di vita. Per cominciare dalla fine: “Com’è. Disse Sandy. Com’è cominciare dalla fine. Can't we just kiss now?”