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Monaco Bayerische Staatsoper. Colori pop per il magnanimo Tito mozartiano
La Clemenza di Tito di Wolfgang Amadeus Mozart, rappresentata alla Bayerische Staatsoper di Monaco il 12 febbraio 2014, si conclude con gli applausi di un pubblico entusiasta per uno spettacolo che ha molti elementi di novità, a cominciare dai giovani artisti e da una direzione giovane.
Il Direttore d'orchestra Kirill Petrenko, nato in Russia nel 1972, a coronamento di una straordinaria carriera e dopo aver diretto il Ring di Wagner al Bayreuth Festival, da settembre è diventato Generalmusikdirektor della Bayerische Staatsoper ove ha già diretto Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss all'inizio della stagione. Ma Mozart è sempre Mozart. E Petrenko dimostra tutta la sua maestria con questa direzione impeccabile ed elegante, attenta ai dettagli ed a tutte le coloriture mozartiane, valorizzando i recitativi, i chiaroscuri e le caratteristiche oppositive dei temi trattati nell'opera: gioia e tristezza, gelosia e generosità, nobiltà d'animo e tradimento, ruolo pubblico e sentimenti privati.
Il tenore Toby Spence, nel ruolo di Tito, dimostra eleganza e personalità soprattutto nell'aria "Se all’impero, amici Dei". La soprano Kristine Opolais, una Vitellia civettuola e perfida, costruisce un crescendo in cui, se pur qualche pecca è ravvisabile nel I Atto, nel II Atto assurge ad un livello drammatico e lirico di grande forza espressiva, come nell'aria “Non più fiori”.
Angela Brower, mezzo soprano nel ruolo di Annio, ed il soprano Hanna-Elisabeth Müller, nei panni di Servilia, dimostrano una grande sensibilità espressiva ed un'intensità crescente nelle arie del II Atto. Il basso iracheno Tareq Nazmi interpreta Publio in maniera efficace, con una lettura che aggiunge toni oscuri alla figura di un servitore del potere, contrapposto ai veri amici del sovrano. Tra gli interpreti non possiamo non menzionare lo stesso coro della Staatsoper e l'orchestra che, oltre al loro ruolo, svolgono anche quello di spettatori partecipi, con qualche siparietto ironico, alle vicende narrate.
L'opera seria La clemenza di Tito fu composta da Mozart nel 1791 – si tramanda, ma è assai poco attendibile, che l'abbia scritta in soli 18 giorni - in occasione dell'incoronazione di Leopoldo II, con il libretto di Caterino Mazzolà che modifica il precedente melodramma di Metastasio.
L'opera ha conosciuto alterne vicende, fino alla “riscoperta” moderna grazie al Maestro Riccardo Muti. La Bayerische Staatsoper ha deciso di inserirla nel programma di questa stagione speciale (2013/14), che commemora i 50 anni dalla riapertura del Teatro nel 1963, dopo la distruzione della II guerra mondiale, e che è dedicata ai temi della storia, dell'identità e della giustizia.
L'opera di Mozart ha infatti proprio al suo centro la dialettica potere/etica che nella rappresentazione emerge con forza. Vitellia vuole vendicarsi di Tito che le ha preferito Berenice e convince il suo spasimante Sesto ad assassinare l’Imperatore. Tito in seguito decide di sposare Servilia, ma conosciuto l'amore di questa per Annio, opta magnanimamente per la felicità dei suoi sudditi. Tito dichiara poi di voler sposare Vitellia, ma è troppo tardi per fermare la congiura. Il Campidoglio è in fiamme, e Tito sopravvive. Sesto viene catturato e condannato a morte, quando Vitellia decide di confessare pubblicamente. Nel gran finale Tito perdona tutti, magnanime e clemente, in uno straordinario crescendo di pathos (e di bravura degli interpreti) .
Una notazione sulla regia di Jan Bosse ed i costumi di Victoria Behr che hanno operato scelte originali. In un'epoca come la nostra in cui vige la moda – con risultati talora un po' (filologicamente) discutibili - di riattualizzare e modernizzare, la scelta di Bosse e di Behr è stata più radicalmente di decontestualizzare rispetto ad ogni riferimento storico, evidenziando come risultato collaterale l'universalità del tema trattato.
I video di Bibi Abel proiettano una sorta di “stream of consciousness” dei personaggi in scena che aggiunge pathos e movimento. Il movimento è una delle cifre stilistiche di questa rappresentazione in cui tutto lo spazio scenico è strutturato come un anfiteatro, simbolo stesso di Roma, ove gli interpreti si muovono atleticamente tra i diversi livelli.
I costumi di Victoria Behr rimarcano l'idea di a-temporalità del tema. Vitellia, Servilia ed Annio sono espressione di un'estetica alla Maria Antoinette della Coppola. Sesto è abbigliato come una sorta di gentiluomo anni '30, con capelli e baffetti neri. Publio sembra una sorta di satrapo orientale, con un look da bassorilievo babilonese. Tito è l'unico con una toga ravvisabile come romana, e l'unico a conservare il proprio abito fino alla fine, con una simbologia che diviene man mano più chiara.
Nel II atto infatti il palco cambia drasticamente, i colori pop cedono ai toni rossi dell'incendio ed a quelli scuri della cenere che tutto ricopre. Mentre Roma è in fiamme, ma Tito si è salvato, emerge la verità: la congiura di Vitellia e Sesto. Il topos classico della verità nuda si sostanzia in un cambio radicale di costumi: via le parrucche, via il trucco, via gli abiti raffinati ed appariscenti.
Ogni personaggio è denudato di tutti gli orpelli, ridotto alla propria essenzialità, in un disfacimento estetico che rispecchia la dissoluzione etica. Tito soltanto si erge nella sua toga bianca, segno di luce nelle tenebre, fedele a sé stesso ed alla propria sofferta ricerca dell'equilibrio tra potere e giustizia, tra ruolo pubblico e sentimenti privati, mentre si staglia su tutti con la sua “magna-anima” e clemenza.