Il Mulino. Ferraris e il basso continuo dell'esistenza umana

Articolo di: 
Teo Orlando
Maurizio Ferraris

Maurizio Ferraris, 60 anni, ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, manda alle stampe, per i tipi del Mulino (che mostra di volersi scrollare di dosso l'immagine seriosa di mera university press, sia pur di livello nazionale), un agile pamphlet intitolato L'imbecillità è una cosa seria. L'assunto da cui muove è quasi trascendentale in senso kantiano, come lui stesso ammette tra le righe, ossia quello per cui l’imbecillità non da oggi, ma da sempre, è connaturata all’essere umano: essa "assicura il basso continuo dell'esistenza umana, delle élite intellettuali così come delle masse" (p. 36).

Il libro si pone nel solco di una nobile, anche se non sempre notissima, tradizione di libelli filosofici dedicati al tema della stupidità, dalla celebre conferenza di Robert Musil all'Allegro ma non troppo di Carlo Cipolla, fino a Bullshit di Harry Frankfurt. Il saggio si compone di un prologo, quattro capitoli e un epilogo, che si basano sul presupposto che la storia del genere umano è costellata di momenti e lampi di imbecillità, riscontrabili anche presso i geni e i talenti artistici e letterari, i grandi condottieri, come Napoleone, uomini politici ed economisti, e ovviamente anche filosofi. Del resto, sono proprio questi ultimi che si sono spesso impegnati a dissezionare l'intelligenza umana allo scopo di metterne in luce i limiti, le debolezze e spesso anche le deficienze (quindi la sua impossibilità di muoversi perché priva di bastone, se è vera l'etimologia che riconduce il latino imbecillis alla composizione del prefisso negativo in e del sostantivo baculum): "i vari organi, emendazioni dell'intelletto, guide alla direzione dell'ingegno, medicine della mente, critiche della ragion pura e via curando e criticando che hanno caratterizzato la storia della filosofia dimostrano come l'uso dell'intelletto sia solo in minima parte intelligente" (p. 37).

Il paradosso da cui muove Ferraris è quello per cui l'imbecillità è la condizione umana ordinaria: in fondo noi siamo scimmie evolute, ma non abbastanza autonomi e non sempre così svegli da non aver bisogno di rimediare alle nostre insufficienze servendoci della tecnologia. In fondo anche il fuoco era un ritrovato tecnico, come il web su cui appaiono queste righe; e lo stesso discorso, per Ferraris, vale per la ruota o ancora di più per la scrittura. Ovviamente la tecnica, come la stessa filosofia e la cultura in generale, è un'arma in grado di difenderci dalla nostra imbecillità: ma può diventare un'arma a doppio taglio, atta a rivelare la componente imbecille in ciascuno di noi. Non è certo il web il responsabile della nostra imbecillità.

Già in un altro saggio, Emergenza, Ferraris aveva sottolineato che non c'è nulla di più falso dell'idea per cui l'uomo è una creatura, rousseauianamente, eticamente perfetta, portatrice di una moralità kantiana, che poi sarebbe stata corrotta e alienata dalla tecnica e dalla civiltà – di cui la prima è una formidabile espressione –, che avrebbero portato avidità, menzogna, sopraffazione e sfruttamento. In realtà, per Ferraris la tecnica non è alienazione, ma rivelazione, nel senso che mostra all’umanità ciò che realmente è, al di là degli autoinganni, nel bene e nel male.

Ci può consolare soltanto il fatto che chi è meno imbecille sospetta comunque di esserlo almeno in parte, mentre chi è perfettamente imbecille si crede immune dal contagio: una prova empirica potrebbe essere offerta dal fatto che chiunque dica di essere un genio in realtà è molto probabile che sia un imbecille.

Di indubbia pregnanza sono le osservazioni che Ferraris svolge sul rapporto tra imbecillità e politica, analizzata soprattutto a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, come ha rilevato Kevin Mulligan in un saggio analogo intitolato Anatomies of Foolishness. La vox populi vorrebbe che i politici siano il concentrato dell'imbecillità, ma di solito è da escludersi che siano più imbecilli di coloro che li hanno eletti (le legioni di imbecilli che si sono manifestate non appena hanno avuto accesso al web, di cui parlò Umberto Eco, più volte citato dall'autore). Si pensi a Mussolini, il quale "per quanto imbecille lo era molto meno di tanti suoi fan" che applaudirono entusiasti a piazza Venezia la sua espressione di imbecillità apicale quando si spinse a precisare che dichiarava guerra alla Francia e all'Inghilterra, ma non alla Svizzera o alla Turchia. In fondo etichettare i politici come imbecilli somiglia più a uno stratagemma che consola in modo populista coloro che, pur essendo sudditi e obbedire ai vari leader, pretendono di essere più furbi di chi li comanda.

Passando all'analisi dei casi di imbecillità (in inglese foolishness, tontería in spagnolo, Dummheit in in tedesco e imbecillité in francese) filosofica, Ferraris si sofferma su personaggi come Rousseau, Dostoevskij e Nietzsche: senza dubbio grandissime menti, ma anche personalità fragili e angosciate, per cui per loro il passo da compiere da una certa debolezza alla vera e propria imbecillità fu breve. Senza contare altri pensatori, come Henri Bergson che era affascinato da quelle credenze spiritistiche che pure Kant aveva messo alla berlina, come Schelling che si era improvvisato medico cercando di curare senza esito la figliastra, o come Kurt Gödel, che credeva negli spettri, pur essendo il più grande logico del '900. Per non parlare di Martin Heidegger, che il grande scrittore austriaco Thomas Bernhard definì "l'imbecille delle Prealpi" (Voralpenschwachdenker), un rumimante della filosofia inzuppato di Kitsch, che pure era riuscito a sedurre decine di intellettuali di sinistra, i quali hanno così rivelato la loro imbecillità traghettando nella sinistra postmoderna parole d'ordine e concetti che appartenevano alla Weltanschauung nazista.

Del resto, nelle righe conclusive del Prologo (una sorta di "Tu quoque trascendentale", nel senso kantiano del termine), da filosofo Ferraris mette le mani avanti rispetto a chi lo potrebbe accusare di aver scritto un libro sull'imbecillità per una sorta di attrazione omeopatica con ciò che gli sarebbe affine:  citando Baudelaire, risponde: "A te la risposta, ipocrita lettore, mio simile (senza offesa) mio fratello". Un altro argomento che Ferraris considera è quello della ritorsione: "Chi sei tu, quale intelligenza puoi vantare, quale autorità puoi invocare, tu povero imbecille (visto che ti occupi dell'argomento e non hai niente di meglio da fare), per dare dell’imbecille non solo a me, ma addirittura a delle moltitudini?" (p. 12). Ferraris risponde semplicemente e in maniera tranchante: "è il richiamo dell'abisso e del negativo e, insieme, del solo vero. Perché non c'è grandezza umana che non sia travagliata dall'imbecillità e anzi le più grandi illuminazioni vengono proprio da lì" (p. 14).

Pubblicato in: 
GN9 Anno IX 30 dicembre 2016
Scheda
Autore: 
Maurizio Ferraris
Titolo completo: 

L'imbecillità è una cosa seria, Bologna, Il Mulino, 2016. Pp. 130. Euro 12,00.