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Opera di Firenze. Alceste, il sacrificio femminile di Gluck
La rappresentazione dell'Alceste di Gluck, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino dopo cinquantadue anni di assenza, è stato un evento di grande rilievo e ha avuto i suoi punti di forza nell'orchestra e nel coro diretti da Federico Maria Sardelli e nell'allestimento scenico e nella regia creati da Pier Luigi Pizzi.
La versione di Alceste ascoltata è quella nata dalla seconda collaborazione tra Gluck e Calzabigi, e andata in scena a Vienna nel 1767 in italiano. Alceste più che l'Orfeo fu il manifesto della “Riforma” dell'Opera italiana, la prefazione dell'edizione a stampa della partitura ne esplicita i contenuti come evidente da alcuni stralci qui riportati.
«Quando presi a far la Musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi, che introdotti o dalla mal intesa vanità de’ Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano l’Opera Italiana [...] Pensai di ristringer la Musica al suo vero ufficio di servire alla Poesia per l’espressione, e per le situazioni della Favola, senza interromper l’Azione, o raffreddarla con degl’inutili superflui ornamenti [...] Non ho voluto dunque né arrestare un attore nel maggior caldo del dialogo per aspettare un noioso ritornello, né fermarlo a mezza parola sopra una vocal favorevole, o a far pompa in un lungo passaggio dell’agilità di sua bella voce, o ad aspettar che l’Orchestra li dia tempo di raccorre il fiato per una cadenza [...] Ho imaginato che la Sinfonia debba prevenir gli Spettatori dell’azione, che ha da rappresentarsi, e formarne, per dir così l’argomento; che il concerto degl’Istrumenti abbia a regolarsi a proporzione dell’interesse, e della passione, e non lasciare quel tagliente divario nel dialogo fra l’aria, e il recitativo, che non tronchi a contrasenso il periodo, né interrompa mal a proposito la forza, e il caldo dell’azione».
Non si può dimenticare che le scelte di Gluck furono influenzate dalla tragédie lyrique di Lulli e di Rameau, nel dare maggior peso all'orchestra e al ruolo del coro, e nell'introduzione della pantomima e delle danze che, nella rappresentazione in oggetto, sono state inesorabilmente tagliate, salvo un brevissimo frammento. Non sappiamo se sia stata una decisione del direttore d'orchestra o della direzione artistica, certo è stata una decisione che non condividiamo. Ranieri de’ Calzabigi per la scrittura del libretto affermò di essersi basato sull’Alcesti di Euripide, il cambiamento del nome in Alceste è un'altra prova del legame con la tragédie lyrique di Lulli. Calzabigi volle creare un testo che esaltasse la forza dell'amore coniugale cambiando il contenuto dell’omonima tragedia.
Alcesti è una tragedia insolita in quanto, sostituisce nella tetralogia tragica il dramma satiresco, presentando insieme caratteristiche della tragedia e della commedia. Il tema centrale, che parte dal sacrificio della moglie di Admeto, ovvero Alcesti, è l'uomo di fronte alla morte, il suo terrore per la perdita della luce e per il buio eterno che l'aspetta. Se Alcesti accetta di morire al posto del marito, Admeto, protagonista del testo, non solo non rifiuta l'offerta, ma accusa il padre, Ferete, di non essersi offerto al posto della moglie. L'aspro dialogo in cui padre e figlio si accusano reciprocamente è un mirabile connubio di paura ed egoismo. Un dio riconoscente per l'ospitalità ricevuta, Apollo, aveva sottratto Admeto alle Moire, ma poi è l'arrivo di Ercole, tra una fatica e l’altra, a risolvere, a suo modo, la situazione. Strappa Alcesti al Demone della Morte, e la riconduce velata allo sposo, cosa che gli permetterà di prendersi gioco di Admeto, che per il rispetto delle sacre leggi dell'ospitalità gli ha nascosto la verità, venendo meno alla loro amicizia.
Nel testo del libretto la protagonista è Alceste e quello che viene solo narrato nel testo di Euripide, l'oracolo, i riti sacri, lo straziante addio al talamo, diviene azione drammatica in quello di Calzabigi; rimangono solo l'addio ai figli e la richiesta ad Admeto del solenne giuramento di non prendere una nuova moglie. Admeto nel melodramma è una nobile figura e cerca di impedire, inutilmente, il sacrificio di Alcesti offrendosi al suo posto. L'influenza della tragédie lyrique fa sì che nel testo del libretto entrambi i protagonisti abbiano un confidente, Evandro e Ismene; entrambi i figli, Eumelo e Aspasia, hanno parola, mentre sono assenti Ferete e Ercole. Tanatos, il demone della morte, si moltiplica nel coro, Apollo è evocato nelle parole dell'oracolo e appare solo nell'intervento salvifico finale.
Alceste per l’argomento, per il ruolo centrale affidato al coro, si ispira ad un ideale classico, ma la musica e i personaggi nell’espressione dei loro sentimenti sono pervasi dalla nascente sensibilità preromantica, lo indicano in partitura tutte le indicazioni dinamiche e gli accenti espressivi messi da Gluck. La difficoltà del canto, nei lunghi recitativi accompagnati, largamente maggioritari sulle arie nell’opera, è nel fraseggio, nello scolpire ogni parola, nell’esplicitare quegli accenti espressivi, che evitano la monotonia e richiedono una eccellente conoscenza e padronanza linguistica, soprattutto in Alceste che domina la scena. L’estesa tessitura vocale rende il ruolo della protagonista tra i più impervi da cantare. Il problema della articolazione delle parole e degli accenti espressivi è stato lo scoglio maggiore che Nino Surguladze, interprete del personaggio, ha affrontato con grande impegno ma con esiti alterni. La Surguladze ha temperamento drammatico, una voce morbida ed espressiva, una tessitura vocale ampia, ma in alcuni momenti si è avvertita la fatica, soprattutto nella zona acuta. La scelta di non rispettare la divisione in tre atti ma di fare un solo intervallo, aggiungendo al primo atto parte la scena dell’incontro con i Numi Infernali, del secondo atto, non l’ha certo aiutata né tantomeno l’assenza delle pause offerte dai balletti, della seconda parte, ma la sua prova nel complesso è stata convincente.
Leonardo Cortellazzi ha ben reso il ruolo di Admeto usando efficacemente gli accenti espressivi e un fraseggio appropriato, la parte è incentrata soprattutto sul registro centrale del tenore, cosa che ha messo in evidenza il timbro caldo e morbido della voce. Sebastiano Siega, Eumelo, e Arianna Fracasso, Aspasia, sono Cantori del Coro delle voci bianche del Maggio Musicale Fiorentino e hanno assolto il loro compito vocale e scenico con grande impegno. Roberta Mameli, Ismene, ha una voce cristallina ed espressiva ma in alcuni passaggi richiesti dal ruolo ci è sembrata non perfettamente a suo agio. Manuel Amati e Adriano Gramigni,entrambi Artisti dell'Accademia del maggio Musicale Fiorentino e Gianluca Margheri si sono conformati alle indicazioni di Sardelli dando il loro contributo alla riuscita dello spettacolo.
La direzione d'orchestra di Federico Maria Sardelli ha messo in luce la ricchezza melodica, dinamica, timbrica necessarie per la riuscita drammatica della partitura prestando cura all’intensità drammatica dell'opera. Il coro ha un ruolo di protagonista e le diverse soluzioni di impiego escogitate da Gluck richiedono una grande maestria tecnica e impegno interpretativo per il peso drammaturgico affidato al coro, un ruolo pienamente assolto dal Coro del Maggio Musicale Fiorentino. La scena di impianto classico, che è basata nell’opposizione tra bianco (luce) e nero (le tenebre degli Inferi) ci è sembrata una allusione alla tragedia di Euripide, in cui questa contrapposizione è ripetutamente presente nel testo, cosa ci pare confermata dal cambiamento di colore delle vesti di Alceste dal bianco al nero, una soluzione di grande impatto drammatico e resa scenica; unico altro colore in scena, l’oro, che allude al dio Apollo. L’attento e sapiente lavoro della regia di Pier Luigi Pizzi sul coro e gli interpreti ha reso pienamente lo svolgimento dell’azione ed è stato un fattore determinate della riuscita dello spettacolo, lungamente applaudito dal folto pubblico presente.