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Opera di Firenze. Sortilegi gitani tra El amor brujo e Goyescas
Il nuovo allestimento dell'Opera di Firenze in coproduzione con il Teatro Regio di Torino e il Teatro San Carlo di Napoli, del dittico El amor brujo/Goyescas, rispettivamente di Manuel de Falla ed Enrique Granados, ha occupato dal 23 gennaio fino al 7 febbraio il palcoscenico lirico fiorentino in pieno spirito gitano: sul podio Guillermo García Calvo per entrambe le opere, la prima in forma di concerto; mentre la regia dell'opera in tre quadri di Granados è stata curata da Andrea De Rosa.
La musica di Falla (1876-1946) è ammaliante di per sé ma El amor brujo, insieme a La vida breve e a El sombrero de tres picos (coreografato da Léonide Massine nel 1919 per i Ballets Russes di Diaghilev sotto il titolo francese di Le tricorne), è in assoluto l'opera più celebre di Falla e, sebbene la brevità (intorno ai 35 minuti in forma di concerto), di sicuro la più ipnotica e profondamente “gitana”.
La “Gitaneria”di El amor brujo su libretto di Gregorio Martínez Sierra (1881-1947) ebbe una genesi per accrescimento: nato per ravvivare il repertorio della famosa ballerina di flamenco Pastora Imperio, di concerto con Gregorio e Maria (Lejàrraga da non sposata) Martinez Sierra che avevano affittato il Teatro Lara e fornirono la base del primo testo, dai versi Lirio entre espinas (“espinas” erano allora le case di appuntamenti), proposero a Falla di ampliarlo, e la prima lirica diventò proprio la Canción del amor dolido (Canzone dell'amore dolente).
Oltre alle canzoni, la gitaneria in un atto si arricchì della parte orchestrale di Falla fino a diventare una vera zarzuela (genere lirico-drammatico spagnolo con parti cantate e balli) di successo, che conosciamo sostanzialmente in due forme: in forma di concerto, la prima in assoluto che venne rappresentata nel Teatro Lara di Madrid il 15 aprile del 1915, scelta dall'Opera di Firenze con Maria Toledo; e quella successiva (1925) di balletto che comprende la celebre La danza ritual del Fuego (La danza rituale del Fuoco), che nel nostro caso è nella forma primaria di La Canzon de la fin del dia (La canzone della fine del giorno). Un ”género chico” (una zarzuela in un atto) che, venendo rappresentata in un teatro, il Lara, di solito non adibito a zarzuele, costrinse Falla a scrivere le parti strumentali per un'orchestra ridotta, che nulla toglie al fascino delle linee melodiche mutanti repentinamente ed una partitura per piano che è strabiliante, ed Edoardo Barsotti la esegue con brillantezza, perfettamente supportato dall'unformità di suono dell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, diretta con convinzione dal giovane quanto esperto Guillermo García Calvo, conoscitore del repertorio di Falla e spesso ospite alla Deutsche Oper Berlin.
Sebbene la forma più rappresentata è quella del 1925 in forma di balletto (Escenas gitanas de Andalucìa o balletto-pantomima), nonché incisa - ne conosciamo bene la versione con Teresa Berganza mezzosoprano, la London Symphony Orchestra diretta da Garcìa Navarro (1978, Deutsche Grammophon) -, la versione da camera è indubbiamente di un fascino sottile e la voce ruvida, piena e graffiante di Maria Toledo (amplificata) ci colpisce perché risulta trascinante e mesmerica: una delle più importanti interpreti di flamenco oggi, anche di rivisitazioni in chiave di accordo fra moderno e tradizione, l'ultimo album conSentido, suscita un potente coinvolgimento ed è stata a lungo applaudita dalla platea. La canzone del fuoco fatuo (Canciòn del fuego fatuo) di Candelas, la gitana innamorata che con un sortilegio riuscirà a riappropriarsi del gitano traditore con un sortilegio, ecco perchè L'amor brujo, “'L'amore stregone” (o anche “stregato”), ci ricorda anche le parole di Carmen:
Lo mismo que el fuego fatuo
Lo mismito, el querer.
Lo mismo que el fuego fatuo,
Lo mismito, el querer.
(Come il fuoco fatuo,/proprio così è l’amare./Lo fuggi e ti insegue,/lo chiami e si mette a correre./Come il fuoco fatuo,/proprio così è l’amare.)
Fra i tocchi coloristici e impressionisti che tanto si distillano in quel che potremmo dire quasi un adagio, come se Ravel e Debussy ci osservassero dal fondo di un tessuto di velluto cangiante, siamo tratti nella sfera della magia e risvegliati solo col suono giulivo del sortilegio soddisfatto, le campane a festa per Candelas che ha riconquistato il suo amor coll'incantesimo di lei fatta (e finta?) bruja (strega).
Goyescas di Enrique Granados (1867-1916), è un omaggio dal pittore dilettante Granados, al Maestro Francisco Goya, nato da una suite pianistica e poi ampliato ad opera su commissione dell'Opéra de Paris, venne però rappresentato per la première, invece che a Parigi, al Metropolitan di New York il 28 gennaio 1916, per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il successo fu assoluto ma Granados perse la vita nel viaggio di ritorno sulla Manica, la sua nave venne colpita da un sommergibile tedesco e lui e la moglie affogarono il 24 marzo 1916, due mesi dopo la prima.
Insieme ai dipinti del Goya più scuro della Quinta del Sordo, compaiono, ben ritratti dal regista e scenografo Andrea De Rosa, la conturbante La maya vestida (1800) od il lancio di El pelele (1792), un fantoccio di pezza con cui giovani eleganti e alla moda (majos e majas) giocano per divertirsi a Madrid. L'opera più celebre di Granados ruota tutta intorno alla gelosia, topos vibrante anche di El amor brujo, solo che in questo caso, il caprone di Il Sabba delle streghe (1797-98) di Goya avrà la meglio sulle due coppie: Rosario e Fernando; Pepa e Paquiro.
Il libretto di Fernando Periquet Zuaznabar racconta in modo molto piano, di come il torero Paquiro fa ingelosire il capitano delle guardie reali Fernando corteggiando la nobildonna Rosario – ci è piaciuta moltissimo la soprano Giuseppina Piunti, nota giustamente per la grande interpretazione di questo ruolo – ed invitandola al ballo della lanterna in un luogo malfamato. Fernando – il caldo tenore basco Andeka Gorrotxategi -, sprezzante, ce l'accompagnerà sfidando Paquiro – nel ruolo il baritono César San Martin - a duello, nonostante le preghiere di Rosario, fedele e innamorata.
Nella misterica sala da ballo che si situa sempre intorno al fossato creato dal regista per dare un'idea dell'affondo fisico nella terra e nelle tenebre degli amanti, di contraltare alla musica vivacemente assortita e scintillante dell'inizio – eccellente il Coro del Maggio diretto dal Maestro Lorenzo Fratini -, si adombra la fne tragica dei tre quadri. Brava anche la Pepa della mezzosoprano Anna Maria Chiuri, altra conoscitrice del repertorio iberico. La partitura di Granados, che eccelle in una scrittura ricca di variazioni e gradazioni di lucentezza timbrica, è oltremodo sensuale del dipanarsi diretto anche qui dalla sicura bacchetta di Guillermo García Calvo.
Tra la lettiga di Rosario sovveniamo i pizzi e gli ornamenti dei costumi di Alessandro Ciammarughi, il cui lavoro ben si accorda con le scene di De Rosa, facendoci guardare dentro la Spagna aragonese di Goya, tra la jota (danza tipica della terra di Aragona) e le tonadillas (intermezzi operistici di gusto ispanico) da cui nacque la prima ispirazione per questo ritratto di una Spagna in auge e felix.