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Opera di Roma. La Maria Stuarda nel futuro presente di Fabbrica
Maria Stuarda, personaggio che dà il titolo ad una delle opere storiche che Gaetano Donizetti ha scritto sulla genia dei Tudor (la cosiddetta “trilogia dei Tudor”) – ricordiamo Roberto Devereux del 1837, e la precedente Anna Bolena del 1830 –, è stata allestita al Teatro dell'Opera di Roma dal 22 marzo al 4 aprile. In precedenza era stata allestita soltanto in altre tre occasioni: nel 1969-70, nel 1997 e nel 2006. Dal podio dirige l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma il Maestro Paolo Arrivabeni. Il nuovo allestimento, in collaborazione con il San Carlo di Napoli, vede la regia di Andrea De Rosa, le scene di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak e le luci di Pasquale Mari. L’opera in due atti su libretto di Giuseppe Bardari.
Doppio cast con gli artisti di “Fabbrica” – Young Artist Program dell’Opera di Rom: Roberta Mantegna ed Erika Beretti che, il 4 aprile - recita che abbiamo recensito - hanno cantato rispettivamente nei ruoli principali di Maria Stuarda ed Elisabetta; a loro si è aggiunta Valentina Varriale nel ruolo della nutrice Anna Kennedy. Maestro del Coro dell’Opera di Roma è Roberto Gabbiani. I cantanti "rodati" invece sono Paolo Fanale (Roberto di Leicester), Carlo Cigni (Giorgio Talbot), Alessandro Luongo (Lord Guglielmo Cecil) .
Lo scontro tra le due regine, che il giovanissimo librettista Giuseppe Bardari ha tratto dalla traduzione del dramma schilleriano di Maffei, e che nell'opera dette adito ad una censura secolare - dopo il 1835 rioccupò i teatri solo nel 1958 -, è particolarmente feroce: viene presentato per intero e il nodo dell'eredità del regno di Inghilterra e di Scozia è evidente. Elisabetta, figlia “bastarda” nelle parole di Maria Stuarda, ovvero generata dall'unione tra Anna Bolena ed Enrico VIII, è avversata da molti nella stessa Inghilterra: svariati saranno i complotti per ucciderla, ma sarà l'ultimo, quello di Babington, in cui è implicata Maria Stuarda, che convincerà Elisabetta a condannare a morte una “regina consacrata” nel 1587, infrangendo il “diritto divino dei sovrani”, cosa che Elisabetta temeva grandemente. L'8 febbraio, nel castello di Fotheringay, sarà decapitata, ma sarà comunque lei a fornire la discendenza attuale: nel 1603 Elisabetta muore nubile e senza figli e ascende al trono inglese Giacomo I, figlio di Maria, che seppellirà le due regine l'una di fronte all'altra nell'Abbazia di Westminster.
Fotheringay, come foresta intorno alla Torre nella quale è imprigionata Maria Stuarda, e Westminster come interno del Palazzo della Regina Elisabetta, sono i due luoghi che si fronteggiano anche nell'allestimento: da una parte abbiamo un'apertura, quella della foresta, sebbene rosso sangue, allo spazio del fuori; nell'altro caso, vi è una chiusura completa, come nel cuore della Regina Vergine Elisabetta, tradita doppiamente: da Maria Stuarda che complotta contro di lei come Regina cattolica legittima erde al trono; e dal suo favorito, Conte di Leicester, che ama ricambiato Maria Stuarda, la donna che ha scelto le grazie femminili mettendo a repentaglio il suo potere e la sua ascesa al trono d'Inghilterra.
Nell'allestimento di Andrea De Rosa insieme a Sergio Tramonti - ricostruito ex novo da quello allestito al San Carlo di Napoli nel 2010, essendo andato perduto ques'ultimo -, si sente la suggestione dei passaggi emotivi dall'uno all'altro luogo; cosìccome le due belle voci di Erika Beretti e di Roberta Mantegna - quest'ultima particolarmente sul luogo del supplizio, con la voce ben calda. Altro interno ricco di suggestioni è stato all'interno di Westminster al lume di candela: le suppliche di Leicester ad una Elisabetta offesa e tradita ed ormai ferma nella sua condanna della doppia rivale, nel campo dell'amore e del potere. Un ottimo Paolo Fanale come Roberto di Leicester ha fatto più volte appassionare il pubblico, sia con la regina cattolica che con quella protestante: un amore appassionato che ben si stempera nella sua voce romantica. Talbot, ovvero Carlo Cigni, ha mostrato una voce più seria e drammatica come il personaggio. Alessandro Luongo in Cecil e Valentina Varriale in Anna, si son ben disimpegnati nelle loro parti.
La direzione di Paolo Arrivabeni dell'Orchestra del Teatro dell'Opera di Roma era sicura e temperata sulle voci senza superarle; Il Coro di Gabbiani, inserito nella morsa tra le due parti di Westminster, come un nodo scorsoio, ha cantato con adeguata scioltezza. Struggente il finale con la scure su un palcoscenico "nudo" e con Maria/Mantegna con i guanti rosso sangue: molto belli tutti i costumi di Ursula Patzak.
Grandi applausi per una recita riuscita nelle sue plurime parti e per i cantanti del futuro presente di Fabbrica.