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Parlare con le rose di Gian Paolo Bonani. La divina bellezza del transeunte
A Calvi in Umbria si nascondono i petali delle rose di Gian Paolo Bonani, psicologo e docente all’Università La Sapienza di Roma, appassionato cultore della regina dei fiori, come proferiva Anselmo D’Aosta: “tenera, dolce, bella, lieve, utile e tenue”, questi gli aggettivi descrittivi per i suoi petali multicromatici. A corredare il libro, Parlare con le rose edito da Iacobelli, le foto magniloquenti di Bruno Caserio ci fanno inoltrare nel variopinto e millenario giardino di rose.
Ci inoltriamo nelle pagine attraverso una poesia di Thomas Stearns Eliot (1888-1965), in dedica a sua moglie:”L’irritabile vento dell’inverno non potrà gelare/ il rude sole del tropico/, non potrà mai disseccare le rose nel giardino di rose che è nostro ed è nostro soltanto”.
Durante la presentazione del 13 maggio 2011 presso Il Messaggio dell'Icona - Centro Russia Ecumenica, sono intervenuti: Alessandro Meluzzi, psichiatra; Rosanna Virgili, biblista; ha introdotto Sergio Mercanzin, mentre la lettura declamata dei testi è stata affidata alla voce attoriale del direttore dello Stabile del Giallo, Raffaele Castria.
La connivenza tra l’allure spirituale del fiore, ricordata nel libro di Bonani da parecchie citazioni teologiche quanto da quelle laiche, è nondimeno sottolineata dall’intervento di Alessandro Meluzzi, subdiacono della Chiesa Ecumenica, oltreché psicoterapeuta: “La rosa mistica della Vergine Maria è in perfetto equilibrio con un fiore - ancor più evidente risulta nell’orchidea -, che si “offre”: la dimensione sessuale dell’organo riproduttivo, e l’atto stesso dell’impollinazione, atto d’accoglienza per antonomasia, rendono la bellezza della rosa transeunte, e per questo talmente effimera da essere sfuggente al corso stesso del tempo, e quindi alla sua caducità”. La stessa inafferrabilità della bellezza la rende eterna, condivisibili di nuovo nel flusso delle cose che è il divenire.
Ed allora di nuovo Eliot viene citato da Bonani con il suo Ash-Wednesday, Mercoledì delle ceneri (1927-30), corrispondente al periodo di conversione all’anglicanesimo dell’autore, dopo la fase più pessimistica elaborata principalmente nella Wasteland (La terra desolata, 1922), dove Castria legge:
Signora dei silenzi/ Quieta e affranta/Consunta e più integra/ Rosa della memoria/ Rosa della dimenticanza/ Esausta e feconda/ Tormentata che doni riposo/ La Rosa unica/ Ora è il giardino/ Dove ogni amore finisce (in orig.: Lady of silences/Calm and distressed/ Torn and most whole/ Rose of memory/ Rose of forgetfulness/ Exhausted and life-giving/ Worried reposeful/ The single Rose Is now the Garden/ Where all loves end: edizione a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano, 1992).
Ed allora viene citato anche Dante, il sommo: “Il divino è contemplabile solo da chi è già santo come nella Rosa mistica”, facendo corrispondere poi la tradizione occidentale e cristiana con quella orientale di Rumi; “Tu sei un ramo di rose/ tuo compagno è il vento auto fecondante/ lui è come Gabriele e tu sei come Maria”. La rosa rossa ricordiamo poi che è l’emblema del sangue di Cristo, il colore della passione mistica quanto di quella carnale; la rosa purpurea che rende propriamente l’analogia tra la divinità e la carnalità oltreché la regalità. La stessa preghiera del rosario oppure la Madonna delle Rose di Lorenzo Lotto, convergono in ciò che afferma nel saggio su L’erotismo Georges Bataille (L'Erotisme, 1957, tr. ita. di Adriana dell'Orto, L'erotismo, ES, Milano 1997): ovvero che come il linguaggio carnale collima con quello mistico in termini e modi, così la fisicità della rosa; oppure la Rosa alchemica (1897) di Yates, mutuata non a caso dai pittori di androgini, i preraffaelliti, ed ancora la swedengorghiana “rosa gialla” di Explorations (1914), unendo la trascendenza cristiana con i versanti semiesoterici dello studioso e chiaroveggente svedese Emanuel Swedenborg (1688 – 1772).
Terminiamo però con la grazia carnale del giardino e del suo curatore, con la poetica di Eliot che ci conduce per l’ultima volta tra petali e spine, o meglio aculei, propri delle rose:
Ciò che sarebbe potuto essere e ciò che è stato
puntano verso un unico fine, che è sempre presente.
Passi echeggiano nella memoria
lungo il corridoio che non prendemmo
verso la porta che non aprimmo mai
nel giardino delle rose.
(In orig.: What might have been and what has been/ Point to one end, which is always present./ Footfalls echo in the memory/ Down the passage which we did not take/ Towards the door we never opened/ Into the rose-garden.Trad.mia. Primo dei Quattro Quartetti, Burnt Norton, del 1935).