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Prima danza, poi pensa. Beckett e il grigio dell'assurdo
La firma del regista Premio Oscar James Marsh (Man on Wire, La Teoria del tutto) è apposta al film dedicato ad uno dei piu' controversi scrittori del Novecento, Samuel Beckett: Prima danza, poi pensa. Alla ricerca di Beckett. Con Gabriel Byrne nel ruolo principale e Sandrine Bonnaire in quello della moglie Suzanne, il biopic è stato presentato in anteprima al San Sebastian Film Festival e al Torino Film Festival. Il film sarà nelle sale dal 1° febbraio distribuito da BiM Distribuzione.
Il titolo di questo film è sicuramente azzeccato, anche perchè, l'unica persona "sana", vitale, ci è sembrata proprio Lucia, che Samuel lo conduce a danzare da giovane, lei, figlia di Nora Barnacle e James Joyce (Aidan Gillen), svitata e finita in manicomio perchè giudicata "instabile".
Come mai? Il film è piuttosto deprimente, come lo era sicuramente lui stesso, Beckett, a parte uno sprazzo di "inconsapevolezza amorosa" nella giovinezza in coppia con Suzanne, mentre con la Resistenza coltivavano patate nei campi.
I colori sono tutti spenti: grigi, verde ottanio, giallini primo Novecento un pò seppia, carte da parati stantie nella casa paterna quando ci spiegano quanto fosse idilliaco il rapporto di Beckett bambino col padre e quanto fosse anaffettiva, glaciale e matrigna la madre.
Il doppio di Beckett nel tempio (egizio?) è didascalico e non apre molti spunti, tranne la divisione in capitoli relativa a donne e uomini della sua vita. Insomma, segue proprio il filo dell'assurdità della vita, come le sue opere, cme il carattere di Beckett, dirompente e lancinante (o falcidiante?). Lo ricordiamo con Gnome, del 1931, quando si dimise da professore del Trinity College di Dublino:
«Spend the years of learning squandering
Courage for the years of wandering
Through a world politely turning
From the loutishness of learning»
«Passi gli anni di studio sprecando
coraggio per gli anni di vagabondaggio
attraverso un mondo che educatamente si tiene alla larga
dalla volgarità di imparare»
E queste parole fanno il paio con la sua "catastrophe!" di aver vinto il Premio Nobel nel 1969 che, come il successo, abbatte Beckett e la sua creatività, cosi come insegna Suzanne alla fine della vita ed il padre all'inizio con il ripetergli, sul letto di morte, per tre volte: "Combatti".