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Modena. Da Byron a Verdi con I Due Foscari
Venerdì 21 febbraio scorso al Teatro Comunale Pavarotti Freni è andato in scena il melodramma I Due Foscari di Giuseppe Verdi diretto da Matteo Beltrami. Luca Salsi è stato il Doge Foscari, Luciano Ganci, Jacopo Foscari, suo figlio, e Marily Santoro, Lucrezia Contarini, moglie di Jacopo. Il folto pubblico presente ha lungamente applaudito tutti gli interpreti e ha tributato una incandescente ovazione a Luca Salsi. Le recite sono state dedicate al modenese William Orlandi, recentemente scomparso, che ha curato le scene e i costumi dell’allestimento de I Due Foscari.
Giuseppe Verdi dopo i successi milanesi di Nabucco e I Lombardi alla prima Crociata ebbe la proposta di scrivere un opera per La Fenice di Venezia. La proposta de I Due Foscari di Byron fu rifiutata dal conte Nani Mocenigo, Presidente del teatro, perché i discendenti delle famiglie coinvolte potevano risentirsi, come infatti avvenne nel 1957 alla ripresa veneziana dell'opera dopo un lungo oblio. Fu allora preferito il dramma di Hugo, Ernani; per la stesura del libretto Mocenigo propose a Verdi Francesco Maria Piave. Piave disponibile e pronto ad accogliere tutte le richieste del compositore, si rivelò ideale per le esigenze di Verdi e così iniziò una lunga e proficua collaborazione che si concluse solo con la morte di Piave.
Verdi in alternativa al Lorenzino, bocciato dalla censura pontificia propose I Due Foscari ad Antonio Lanari, impresario del Teatro Argentina di Roma, che accettò e a Piave fu affidata la stesura del libretto. Il melodramma andò in scena il 3 novembre 1844. La cupa tragedia di Byron si svolge come conseguenza di fatti avvenuti in passato, ciò spinse Piave a scrivere un preambolo al libretto contenente l’esposizione degli avvenimenti precedenti allo svolgimento del melodramma, indispensabile alla comprensione delle motivazioni dei personaggi. Il nobile Loredano odia il doge Francesco Foscari perché lo ritiene responsabile della morte del padre e dello zio, in quanto presume che siano stati avvelenati.
L'inizio del melodramma vede il figlio del Doge, Jacopo, ritornato segretamente dall’esilio a Creta, a cui era stato condannato per due volte: perché accusato di aver avuto rapporti con principi stranieri e per avere fatto assassinare il capo del Consiglio dei Dieci Ermolao Donato. Scoperto e arrestato, per la lettera inviata al Duca Sforza di Milano nuova prova della sua colpevolezza, è di nuovo condannato dal Consiglio dei Dieci all’esilio e a non potere avere con sé la moglie Lucrezia e i figli. Il Doge non ha potuto fare nulla contro la sentenza in quanto è tragicamente diviso tra il dovere imposto dalla sua carica e l’amore paterno.
Loredano, che ha approfittato della situazione per schierare il Consiglio dei Dieci contro Jacopo, affretta la partenza di Jacopo. Mentre avviene la partenza del figlio il Doge riceve dal nobile Barbarigo una lettera in cui Erisso in punto di morte si accusa dell’uccisione di Ermolao Donato, ma è tardi perché Jacopo è già morto di crepacuore. Poi Loredano si presenta al Doge per intimargli di dare le dimissioni come deciso dal Consiglio dei Dieci. Foscari è sconvolto perché per due volte aveva presentato le dimissioni e gli era stato imposto di rimanere in carica fino alla morte. Nel mentre si spoglia delle insegne del potere dogale sente la campana che annuncia l’elezione del nuovo Doge. Il dolore per la perdita del figlio e l’umiliazione lo conducono alla morte mentre Loredano trionfante dice: “Pagato ora sono”.
Verdi era affascinato dal testo di Byron che, per quanto plumbeo, statico con il problema di essere monotono, gli permise di affrontare il tema del dissidio tra privato e pubblico nella figura del Doge Foscari, che pur amando profondamente l’unico sopravvissuto dei suoi quattro figli, rimane fedele ai doveri della sua carica. Era la prima volta che in Verdi affrontava il tema, che Mila così definì ne La giovinezza di Verdi: ”L’interesse per le cause politiche delle tragedie passionali (…) la strada che passa per il Macbeth, il Simone Boccanegra e il Don Carlos ha inizio dai Due Foscari”. Verdi era consapevole dei limiti drammaturgici della pièce di Byron e così incaricò Piave di dare più spessore alla figura di Jacopo, che risultava debole rispetto alle due forti personalità del Doge e della combattiva Lucrezia. Inoltre è ben chiaro il proposito che avrà notevoli sviluppi di rendere sintetica, incisiva e scorrevole la trama musicale, come mostra l’inizio del secondo atto nella prigione, il succedersi dell’aria di Jacopo, poi il duetto con Lucrezia, che diviene un terzetto con la venuta del Doge e infine un quartetto con l’arrivo di Loredano. La caratterizzazione dei personaggi con un tema musicale, che naturalmente non è il leitmotiv wagneriano, ma contribuisce alla “tinta” del melodramma, è un altro aspetto drammaturgico che avrà interessanti sviluppi nelle successive opere.
L’allestimento in coproduzione con la Fondazione Teatri di Piacenza non è nuovo ma è nato nel 2008 e fu messo in scena per la prima volta all’ABAO di Bilbao e poi al Teatro Verdi di Trieste. Nonostante il tempo passato l’allestimento ideato da William Orlandi è valido e coinvolgente, grazie ai pannelli curvi mobili che permettono un rapido cambio scena, è stilizzato ma fortemente evocativo e funzionale allo svolgimento dell'azione; anche gli splendidi costumi che arricchiscono le scene furono creati da William Orlandi. Le luci pensate da Valerio Alfieri hanno impreziosito la messa in scena sottolineando lo svolgimento drammaturgico. L’intelligente regia di Joseph Franconi Lee è fedele alle intenzioni verdiane e volta a mettere in luce gli aspetti psicologici dei personaggi, il regista ha lavorato con ottimi risultati non solo con i cantanti ma anche con il coro i figuranti e i mimi. Quanto le sue indicazioni siano state utili si è visto con Marily Santoro, di cui, nonostante fosse arrivata il 18 febbraio in sostituzione di Marigona Qerkezi, non si notava la brevissima preparazione scenica
La direzione di Matteo Beltrami è stata attenta ai tempi e alle variazioni delle intensità del suono, per non coprire le voci dei cantanti, inoltre ha curato i colori mettendo in risalto la cupa “tinta” verdiana, tutti elementi che, fusi insieme, delineano l’espressività drammatica e la teatralità della musica. L’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini ha ben seguito le indicazioni del direttore e così il Coro del Teatro Municipale di Piacenza ben preparato dal Maestro Corrado Casati contribuendo alla riuscita dello spettacolo e perciò calorosamente applauditi dal pubblico.
Luca Salsi è straordinario nel ruolo che ha lungamente maturato, lo splendido, brunito, duttile e potente strumento vocale, che sa magistralmente impiegare senza eccessi plateali, e la notevole presenza scenica hanno magnificamente delineato la psicologia del tormentato Francesco Foscari diviso tra la ragion di stato e l’amore paterno
Luciano Ganci ha una voce morbida, calda, espressiva che sa usare, sicuro nell’emissione vocale ha esibito luminosi acuti e si è calato con passione nell’ingrata parte Jacopo Foscari.
Marily Santoro, che aveva già studiato la parte, ha debuttato come Lucrezia Contarini, con la sua voce limpida, calda e solare si è ben calata in questo ruolo passionale e volitivo, non solo teatralmente ma anche vocalmente, con elegante sicurezza ha superato l’ardua scrittura vocale mostrandosi a suo agio nella parte.
Ilaria Alida Quilico in possesso di una bella voce sopranile è stata una efficace Pisana, Antonio Di Matteo è stato il perfido Loredano e Marcello Nardis Barbarigo, complice nel preparare il complotto contro i Foscari, bene Manuel Pierattelli come Fante e Eugenio Maria Degiacomi come Servo del Doge.
Il pubblico ha lungamente applaudito tutti gli interpreti compreso il regista e gli assistenti della parte scenica, riservando le ovazioni più infuocate al direttore Matteo Beltrami, a Marily Santoro, a Luciano Ganci e soprattutto a Luca Salsi.