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"Cure" di Kiyoshi Kurosawa: ipnosi fatale!
Sempre sia lodata la Double Line, piccola distribuzione italiana che per l'Estremo Oriente continua ad avere un occhio di riguardo. E lo ha in particolare per il Giappone. Tra le scelte che abbiamo maggiormente apprezzato negli ultimi anni vi è, del resto, quella di portare in Italia Inu-Oh, il recente capolavoro dell'animazione nipponica firmato da Masaaki Yuasa. Sorprendente opera rock, tributo non convenzionale alle storie tradizionalmente tramandate dai monaci Biwa, visionario ritratto del Giappone feudale, il film è stato distribuito in sala un paio di anni fa ma ci piace ricordare anche la sua presentazione fuori concorso alla seconda edizione di Indiecinema Film Festival, avvenuta il 21 settembre 2024 presso il Caffè Letterario di Roma. Con Cure di Kiyoshi Kurosawa si è però alzata ulteriormente l'asticella. Dal 3 aprile è finalmente di nuovo disponibile nei cinema per gli amanti del Maestro Kurosawa e non.
Questo lisergico, raccapricciante noir può essere considerato ormai un classico, un vero e proprio cult movie. A rendergli omaggio ci aveva pensato di recente il Far East Film Festival: magnifico difatti era stato poterlo rivivere sul grande schermo nella sua disturbante, morbosa, allucinata essenza, come accadde agli spettatori del Teatro Nuovo Giovanni da Udine nell'edizione 2023. Noialtri abbiamo bissato l'esperienza lo scorso 12 marzo al Cinema Farnese di Roma, dove si è svolta l'anteprima stampa in attesa della nuova uscita in sala del film, prevista per il 3 aprile. L'incubo tornerà così a propagarsi, assieme alla spirale di morti assurde posta al centro di una narrazione quanto mai conturbante.
Ora però facciamo un po' di Storia. Così da riappropriarci subito delle origini di un Mito, caro a schiere di cinefili patiti dell'horror, del thriller e più in generale del miglior cinema di genere prodotto negli ultimi decenni in Asia. Uscito nel dicembre 1997, Cure non è in assoluto il titolo di maggior richiamo, se si pensa all'esplosione mondiale del J-Horror, fenomeno su cui Ringu (1998) di Hideo Nakata (con relativi sequel e prequel) può aver inciso magari di più; ma questo tenebroso horror psicologico, centrato su una serie di efferati omicidi commessi da cittadini insospettabili, oltre a puntellare la tendenza in atto, ha rappresentato una svolta di natura internazionale per il suo autore, Kiyoshi Kurosawa, la cui fama è cresciuta di molto nel corso degli anni. Quando il film uscì, Kurosawa aveva già alle spalle quasi due decenni di attività da regista, tra cortometraggi, commedie nere e bizzarri yakuza movies, ma era ancora poco conosciuto fuori dal Giappone.
Sceneggiato da Kurosawa, Cure lo rivelò come un talento dalla cifra stilistica assai personale, tale da consentirgli di fare irruzione all'interno di generi che abbondano di formule consolidate e cliché, salvaguardandone l'essenza ma applicandovi soluzioni sempre più cupe, stranianti e sottilmente perverse. Come sarebbe avvenuto ad esempio con Pulse (Kairo, 2001), film dalle singolari ambizioni metafisiche ed estremamente attuale, come horror, in quanto fondato su spettrali, letali presenze ipotizzate addirittura nella rete di internet e in grado di manifestarsi attraverso lo schermo del PC.
Atmosferico, misterico, quasi ieratico, l'horror o il giallo orientato verso il soprannaturale tende in Kurosawa a contaminare la quotidianità, a corrompere soggetti apparentemente ordinari, banali, trascinandoli in una spirale di terrore per certi versi indecifrabile, impalpabile, oscura quanto la sua genesi. Proprio in Cure sono personaggi all'apparenza normali ed estranei a qualsiasi pulsione di morte, coloro che in modo piuttosto casuale vengono scelti per eseguire omicidi rituali, alla cui origine vi sono molto più antichi esperimenti mesmerici. Come fosse l'indizio di un'ipnosi collettiva improntata a crescente malvagità.
Ferite a croce sui corpi delle vittime. La fiamma dell'accendino o una goccia che cade per far scattare l'ipnosi. Frasi cantilenanti e infantili usate per intrappolare la mente dei futuri assassini. Scimmiette mummificate quali sinistri feticci. Questi sono gli elementi rituali che accompagnano la visione del film, esperienza sinistra e morbosa, in cui la fotografia stessa oscilla tra una componente fortemente materica e una d'impronta maggiormente esoterica, cui non difettano neanche brevi inserti subliminali.
Rimarchevole è anche il fatto che la detection riguardante un caso tanto anomalo sia affidata all'energico ufficiale di polizia Ken'ichi Takabe, impersonato qui da quel Kōji Yakusho che è tra i volti più riconoscibili e iconici del cinema giapponese contemporaneo: vi sono L'anguilla (Unagi, 1997) di Shōhei Imamura e 13 assassini (Jûsan-nin no shikaku, 2010) di Takashi Miike, Il terzo omicidio (Sandome no satsujin, 2017) di Hirokazu Kore'eda e Tokyo Sonata (2008) dello stesso Kurosawa, nonché il cult assoluto Perfect Days (2023) di Wim Wenders, del quale è indimenticabile protagonista, tra i film da lui interpretati.
Tornando al tema dell'ipnosi e della persuasione occulta, così gettonato nel Giappone di quegli anni, ci viene spontaneo citare un altro titolo rimasto impresso nella nostra memoria cinefila: l'assai disturbante Hypnosis (Saimin, 1999) di Masayuki Ochiai. Laddove non erano omicidi, bensì grotteschi e crudeli suicidi a essere indotti dalla suggestione ipnotica. E ciò rende tale pellicola in qualche misura complementare all'angosciante capolavoro di Kiyoshi Kurosawa.