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Diva futura. La passio outrage nel ricordo di Schicchi
Quando il cinema va a toccare un terreno come il porno, che proprio in Italia tanto ha inciso sia in termini produttivi sia come fenomeno di costume, forte è il rischio che si generi subito qualche levata di scudi, in una direzione o nell'altra. Fronte del porno, potremmo anche dire. Nella speranza che per una simile boutade Elia Kazan e Marlon Brando non si stiano rivoltando nella tomba. Parliamo comunque a ragion veduta, nella fattispecie di Diva futura di Giulia Steigerwalt.
Un regista da noi molto amato come Davide Ferrario ricordiamo bene, ad esempio, come tra i suoi film più contestati, o ancor peggio sottostimati, vi sia stato proprio Guardami (1999), lungometraggio di finzione liberamente ispirato alla vita di Moana Pozzi (rappresentata però, nel film, da una pornoattrice di nome Nina).
Tra i vari “trafiletti sott'odio”, termine - ispiratoci dal “Conte Nebbia” Andrea Bruni - col quale ci piace identificare certe recensioni animate da un livore ingiustificato, il posto più alto sul podio è senz'altro occupato dalla gratuitamente astiosa Natalia Aspesi, che in un articolo di Repubblica così sentenziava: "A un certo punto dal porno si passa al patetico, dalle penetrazioni alla chemioterapia. Non si ansimava prima, non ci si commuove dopo."
Dire che non siamo d'accordo è dir poco, considerando che quel continuo stare sulle montagne russe, tra scene di sesso piuttosto esplicite e una pressoché inedita umanizzazione dell'ambiente del porno, ci pare ancora oggi tra i tanti meriti di un film, che, in più, seppe rivelarci tutto il talento, il carisma e l'audacia di un'attrice come Elisabetta Cavallotti. Stroncature come quella poc'anzi citata possono servire da paradigma, però, per il tentativo di comprendere le ragioni di un atteggiamento tanto squilibrato, duplice, finanche ipocrita della società italiana nei confronti della pornografia. La nostra impressione è infatti che si possano cogliere due spinte predominanti, entrambe profondamente errate: quella moralistica e bacchettona, tipica di un'Italia vetero-cattolica incapace di rapportarsi al fenomeno senza gridare il proprio sdegno e lanciare anatemi; e quella di certi “intellettuali da salotto”, che, al contrario, tendono a volersi appropriare del porno e della sua storia per un esercizio di “masturbazione (qui la parola ci sta a pennello) intellettuale”, tanto pomposo quanto fine a sé stesso e scollegato dalle masse che ne usufruiscono.
In un quadro del genere l'uscita di un film come Diva futura di Giulia Steigerwalt ci è parsa una boccata d'aria fresca. Anche in virtù di quanto affermato prima: alla presentazione veneziana di tale opera cinematografica non erano certo mancati i commenti al vetriolo di certa stampa, composta da quei “nipotini” della Aspesi per i quali la Mostra del Cinema rappresenta, ormai da diversi anni, più che altro una vetrina per i propri malumori critici e le proprie paturnie. Lasciamoli pure “affondare” in laguna, a questo punto.
Restiamo invece sul pezzo, così da offrire intanto le coordinate di base del lungometraggio diretto dalla giovane Giulia Steigerwalt, già Nastro d'Argento e David di Donatello per l'opera prima Settembre, la quale per realizzare questo anomalo biopic prodotto da Groenlandia e fortemente voluto dalla stessa Eva Henger si è basata su un libro: Non dite a mia mamma che faccio la segretaria, scritto da Deborah Attanasio ossia dalla storica segretaria di Schicchi.
Oltre a orientare felicemente sullo schermo uno storytelling articolato su svariati anni, decenni, il punto di vista della timida ma non paurosa segretaria è anche il filtro che assicura all'opera un mood ben preciso, laddove l'approccio del protagonista all'eros appare comunque sereno, aperto, gioioso, mentre il “pensar male” (e agire di conseguenza) compete ad altri, siano essi i più spregiudicati imprenditori del sesso attivi nel ramo ma con metodi molto meno rispettosi della sensibilità del pubblico e dei pornoattori coinvolti, oppure i tetri rappresentanti di un ordine costituito abituato ad operare attraverso la censura, le inchieste mirate, gli interventi così spesso sopra le righe delle forze dell'ordine. In ciò il rischio di restituirci una vera e propria “agiografia” di Schicchi a tratti affiora.
Eppure, non manca a ben vedere il resoconto delle piccole ombre, degli errori comunicativi, delle ingenuità stesse attribuibili alla sua personalità. Del creatore di una così famosa agenzia di casting e produzione, punto di riferimento imprescindibile per l'affermazione di pornostar (anche il termine pare l'abbia coniato lui) come Moana, Cicciolina e molte altre ancora, piace semmai il farsi portavoce di un'aura libertaria genuina, sincera, in fiera contrapposizione sia coi moralisti che coi pornografi troppo cinici e avidi.
Il respiro narrativo così “sbarazzino” di Diva Futura beneficia poi della prova profondamente umana di un attore, Pietro Castellitto, che altre volte avevamo trovato un po' troppo pieno di sé, ma che qui ha trovato una misura incredibile sia nel far uscire fuori la filosofia di vita del proprio personaggio, sia nel descriverne le cangianti relazioni col mondo circostante. Accompagnato bene, in questo percorso, da una serie di interpreti tutti molto in parte, comprese le attrici chiamate al difficile compito di impersonare simili icone erotiche.
L'aneddotica fluisce leggera sullo schermo, regalandoci pure il ricordo di un Riccardo Schicchi animalista, gattaro, pronto ad affezionarsi pure al celebre pitone di Cicciolina, senza naturalmente trascurare la possibilità di utilizzarlo poi a scopi pubblicitari. Visto che comunque è un business milionario, quello in cui lui e gli affiliati dell'agenzia erano entrati con passo alla bersagliera.
Biopic che abbiamo definito “anomalo”, in quanto vettore di un ritratto agrodolce della società italiana delle ultime decadi, Diva futura non si fa scrupolo di apparire ora pungente e ora profondamente empatico, specie quando si tocca il tasto così delicato della malattia e della prematura scomparsa del protagonista. Se ne consiglia pertanto di cuore la visione, da affiancare possibilmente alla lettura del libro della Attanasio e magari anche di Oltraggio al pudore, l'arguto libello scritto a suo tempo dallo stesso Schicchi e ripubblicato intelligentemente in questi mesi da MTS Edizioni; con un “epilogo”, peraltro, firmato dall'affezionatissima Eva Henger, il cui ricordo dell'ex compagno di vita ci ha commosso non poco durante la presentazione svoltasi lo scorso 2 febbraio a Roma presso il Circolo Montecitorio, dove a testimoniare il proprio rapporto con tale figura sono intervenuti la bellissima, statuaria figlia Mercédesz Henger e diversi altri ospiti.