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I pugni in tasca di Bellocchio a teatro. La paralisi della famiglia
L’adattamento teatrale dell’omonimo film I pugni in tasca di Marco Bellocchio del 1965, curato dallo stesso regista è in tourné. Il Teatro Stabile di Firenze porta in scena lo spettacolo, che ha debuttato in Toscana, a Pietrasanta, ed è in questi giorni al Quirino di Roma dal 1 al 13 febbraio 2011 con la regia di Stefania De Santis e gli attori Ambra Angiolini, Pier Giorgio Bellocchio, Giovanni Calcagno, Aglaia Mora, Fabrizio Rongione, Giulia Weber.
La storia di una famiglia senza pace, in continuo conflitto e non in grado di riflettere sulla propria inettitudine, che va fatalmente incontro alla propria distruzione, è in sintesi la trama de I pugni in tasca.
Le azioni del film nella trasposizione teatrale sono ricondotte ad un’unica scena, dalla struttura complessa, in cui si muovono i personaggi: la madre cieca, inconsapevole di ciò che le avviene intorno, è legata alla normale quotidianità attraverso i pranzi e le cene; Augusto, il fratello maggiore, cinico ed interessato alle proprietà della famiglia, desidera andarsene per costruirsi una vita sua in città; Alessandro, l’altro fratello, più di tutti avverte la situazione insostenibile tra un’alternanza di pensieri suicidi e il desiderio di distruggere gli altri, per conquistarsi quella che lui reputa la normalità, cosa che poi avviene attraverso l’uccisione della madre e del fratello Leone, affetto da un forte ritardo mentale; Giulia, l’unica sorella, appare relegata in un mondo infantile fatto di sogni, ma anche di curiosità morbose, che sfociano nell’incesto con il fratello Alessandro.
Giulia vorrebbe tenere legati a sé i fratelli, desiderando che nessuno di loro uscisse di casa: quando ciò avviene, con Alessandro che sperimenta nuove emozioni con donne occasionali, si sente abbandonata. Sono rimasti soli lei e Leone. Ecco che in uno spazio chiuso emerge il conflitto, la dissoluzione della famiglia.
Se all’epoca il film di Marco Bellocchio fu accolto dalla critica positivamente,come elemento di frattura con il passato e come un momento anticipatore della crisi e della contestazione del ‘68, ottenendo, come miglior soggetto, il Nastro d’argento nel 1966, oggi lo sentiamo più che mai attuale in un mondo in cui proprio all’interno del nucleo familiare si consumano i più terribili delitti. Quelle rappresentate sono persone incapaci di amare, prive di un futuro, chiuse in una gabbia, da cui non si può uscire se non con la morte. Lo spettacolo indubbiamente induce a profonde riflessioni su quello che oggi rappresenta la famiglia.
Nella trasposizione teatrale gli elementi della cinematografia, le riprese dei particolari, i primi piani, il ritmo delle sequenze, vengono sostituiti con quelli della drammaturgia: la scena unica, in cui si svolgono tutte le azioni e la rappresentazione fuori scena del delitto della madre. La scenografia divide il palcoscenico in tre zone attraverso elementi come le scale che separano la stanza da pranzo dalle camere dei fratelli poste più in alto, le quinte girevoli e i piani scorrevoli.
Le scale creano qualche problema al movimento degli attori, soprattutto ad Ambra Angiolini, che sfoggia tacchi vertiginosi e qualche volta rischia di cadere. Infatti durante lo spettacolo spesso toglie le scarpe, come nella scena del ballo sfrenato, ma liberatorio.
La scenografia, comunque, è ben riuscita; anzi, la sua complessità potrebbe alludere metaforicamente a quella dei ragionamenti dei personaggi. I tempi del teatro rispetto a quelli del cinema diventano più lunghi e più esasperati, forse un po’ troppo, soprattutto in alcuni momenti in cui urla e contorsioni, necessari per esprimere il momento alto della tensione, come gli attacchi epilettici di Alessandro o le esplosioni della insoddisfazione di Giulia, saturano la rappresentazione. Gli attori, padroni della scena, risultano fortemente coinvolti nel dare vita al loro personaggio: Augusto (Fabrizio Rongione) ed Alessandro (Pier Giorgio Bellocchio) riescono in pieno nel loro ruolo, con sfumature interpretative che li rendono l’uno più cinico l’altro ancora più crudele. Giulia (Ambra Angiolini) è ben rappresentata nel suo carattere ingenuo e morboso, ma anche nella sua immobilità, che le impedisce di reagire nel momento più tragico della sua vita: l’incesto.