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Necroromanticismo e fumetti. Intervista a Paolo Di Orazio. Prima parte
La Coniglio editore ha deciso di pubblicare una serie di raccolte di Racconti di fantasmi ritraducendo grandi autori, da Bierce a Nodier passando per Montague Rhode-James. Il traduttore e curatore per tutte e tre è Riccardo Reim, per quella dedicata a Bierce in collaborazione con Paolo Gessini. Andrea Di Consoli, Gianfranco Franchi e Antonio Veneziani hanno aggiunto delle note introduttive calibrate per ogni autore. Paolo Di Orazio si è occupato di scegliere e presentare un appendice particolare: un fumetto con relativa introduzione sull’autore che l’ha ispirato e sui disegnatori. Disegnatore e scrittore anche lui lo abbiamo intervistato.
Livia Bidoli. Come è nato il progetto dei Racconti di Fantasmi e soprattutto perché si è pensato di aggiungere un'appendice dedicata al fumetto?
Paolo Di Orazio. Il progetto vuole essere una proposta di controtendenza saggistico-narrativa sul racconto dell'orrore. La serie Twilight, dal romanzo al grande schermo, amata o denigrata che sia, ha ri-confermato il vampiro come archetipo sovrano di tutto l'immaginario horror (come già accaduto negli anni Settanta, dal fumetto al cinema). Ma si tratta di un'onda, e il grande pubblico è già pronto, a mio avviso, ad accogliere tra le proprie brame - nell'ordine - l'uomo lupo e lo zombi, anche se con minor febbre. Il vampiro ha sex-appeal, il licantropo e il morto vivente no. Per ora. Le storie di fantasmi cinesi e giapponesi, da The Ring in poi, hanno segnato la loro enorme parabola, quindi le case infestate e gli spettri rancorosi dovranno attendere un po' prima di tornare all'attacco. Non a caso, la collana Racconti di Fantasmi è una preziosa occasione per tornare alle origini del racconto del sovrannaturale proprio in un momento in cui, meta-letterariamente, le creature della non-morte stanno vivendo il loro apice tra i sogni dei vivi. Il fumetto in appendice è una costola inevitabile per un prodotto che vuole avere fascino, oggi, visto che la collezione cerca esemplari in prosa che delizieranno gli intenditori.
L.B. Per Bierce Olio di cane (uno dei suoi racconti più celebri) ha pensato a Guy de Maupassant e La mano (tratto da La mano scorticata – La main écorchée del 1883): quale il nesso?
PDO. Nessun nesso squisitamente tecnico o teorico. Mi è stata data totale libertà di scelta, nella selezione dei classici a fumetti. L'associazione tra autori letterari è puramente casuale. La collana è una sorta di “rivista” e tale aspetto rende di più ampio respiro il libro nelle singole parti. Per quanto riguarda il mio contributo, trattasi di occasioni fumettistiche di omaggio al romanzo gotico in generale, così il racconto a fumetti diventa quindi un gustoso fuori programma, la libera sterzata improvvisa in un altro luogo, abitato da altri personaggi. Se avessi curato personalmente la collana in toto, avrei seguito il medesimo principio di non coprire in maniera onnidirezionale lo stesso autore.
Il racconto a fumetti La Mano (scritto da Marco Baratelli e Alfredo Castelli, disegnato da Carlo Peroni nel 1970) è semplicemente un capolavoro grottesco nero. A tutti gli effetti, però, la reliquia vivente protagonista di questo fumetto è un non-morto, ovverossia è spettrale, ectoplasmatica la sua fame di uccidere. La Mano è un cannibale muto che si nutre dell'atto di strangolare chiunque capiti a tiro. Stringere la gola e indurre il soffocamento, per La Mano è l'unico modo di placare il suo sovrannaturale appetito. Questo elemento cannibalico non è presente nel racconto di Maupassant, ma una libera caratterizzazione che i fumettisti hanno conferito alle connotazioni antropofisiche de La Mano, col risultato di una storia breve che scava alla profondità massima dell'orrore.
L.B. L’introduzione relativa a Poe, abbinata a Il tesoro dell’abate Thomas di Montague Rhode-James, parla di necro-romanticismo come genere letterario cui appartiene l’autore, può spiegarci meglio?
PDO. Ho recentemente pensato che al Romanticismo gotico anglosassone mancasse la particella nominale “necro”, prefisso che dona maggior focalità agli intenti e all'interpretazione dell'immaginario di Mary Shelley, Bierce, Bram Stoker e quindi di Edgarpò. Il termine composto Necro-Romanticismo è solo una chiave moderna e più sintetica per leggere quello che c'era già e di cui oggi (dopo anni di indotta criminologia avanzata) siamo più consapevoli. La scuola italiana ci fa ignorare del Romanticismo i suoi aspetti più esaltanti e lirici, in realtà, che il 1800 compenetri questa corrente letteraria con le forze oscure della mente e dell'anima e produca nel romanzo gotico i miti che hanno generato il cinema e condizionato poi la cultura mondiale è un dato di fatto. E non mi sembra poco. Al liceo, la massima gothic tale che ci è stata concessa (corso di inglese, 1985) è stato il pur eccelso The Canterville Ghost (1887) di Oscar Wilde, ma solo per le sue coloriture umoristiche.
Dracula e la creatura di Frankenstein non solo sono invenzioni (ora convenzioni) letterarie di inemulabile potere, ma anche i simboli di un Necro-Romanticismo ben preciso, che ha come fulcro poetico l'attrazione-repulsione cadaverica di tutte le parti in gioco, dai protagonisti del racconto al lettore. Dracula è pur sempre un non-morto che dorme in una bara, ma usa la bocca e il morso per succhiare sangue - dal collo, zona erogena oltreché sede di importanti condotti sanguigni; il mostro di Frankenstein è un necropàge di sezioni estratte da cadaveri diversi, e cosa c'è di più necro-edipico tra la creatura e il suo scienziato creatore? Ma questi due characters (personaggi) sono il mito post-pagano, l'empireo mainstream dello stesso filone: nel teatro cimiteriale della sepoltura, la trafugazione, la dissezione, le carni fredde, la resurrezione, la morte che cammina per la morte dei vivi.
Edgar Allan Poe non è interessato alle creature ultra-umane, bensì alle manifestazioni più radicalmente orrorifiche legate al delitto. Il Necro-Romanticismo è anche e soprattutto l'introspezione tanatòfila nascosta tra i sotterranei di una storia che narra, specificatamente, del rapporto psico-fisico tra vittima e carnefice. E' la celebrazione materiale e definitiva, ossia la naturale e inevitabile derivazione del Romanticismo gotico stesso: le creature della notte vivono il loro titanismo e l'uomo vive la sua sublime impotenza di fronte al monstrum, cioè l'ignoto che si mostra. Nel caso di Poe, l'ignoto è il delitto stesso. E la cifra orrorifica dell'autore, il suo mostruoso, splende massimamente con l'ossessione meta-sessuale della reliquia umana, nella fattispecie, i denti di Berenice. La medesima compulsione distruttiva che abbiamo conosciuto nel profilo psichiatrico di serial killer contemporanei come Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee, che uccide quelle persone che non potrebbe amare.