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Ravenna Festival. Marìa de Buenos Aires per il centenario di Piazzolla
Dopo la pausa Covid, il Festival di Ravenna, riprende il suo indiscusso ruolo di capofila delle celebrazioni dantesche con un programma fittissimo di eventi che ricoprono l’arco dell’intera estate. Abbiamo appena assistito all’ultima edizione dei “Concerti dell’amicizia” che ha visto il Maestro Riccardo Muti tornare a Erevan in Armenia nel segno della sacralità musicale e che ha evidenziato quest’anno due importanti anniversari: i 20 anni dal ponte di solidarietà lanciato verso Erevan, nel 2001 e i 25 anni dalla prima iniziativa di solidarietà “le vie dell’Amicizia” ideata dal Ravenna Festival e dal Maestro stesso, dedicata a nazioni e popoli oppressi da conflitti.
Ma il Festival di Ravenna è anche celebre per il suo occhio attento al mondo, per cui non è sfuggito l’anniversario dei 100 anni dalla nascita del compositore argentino Astor Piazzolla a cui dedica in programma due concerti e la prima mondiale del nuovo allestimento dell’opera “María de Buenos Aires”, sicuramente quest’ultima (a cui abbiamo assistito), l’unica opera composta da Piazzolla e probabilmente il suo lavoro più importante (lodevole, nel prestigioso catalogo prodotto dal Festival, il profilo sul compositore tracciato da Luca Cerchiari).
In coproduzione con il Teatro Comunale di Ferrara, questa versione mescola artisti argentini a eccellenze italiane sotto la magistrale regia di Carlos Branca, argentino ma ormai italiano d’adozione.
Assistiamo infatti a una commistione di artisti internazionali, dal mezzosoprano Maria Belli, al virtuoso Ruben Peloni il cui timbro inconfondibile ci fa passeggiare tra le stradine del Caminito. La sempre perfetta Orchestra Arcangelo Corelli diretta dall’autoctono Maestro Jacopo Rivani e che si avvale per l’occasione del bandoneonista Davide Vendramin. Una mise-en-scène dove la danza è protagonista, come la musica, grazie alle coreografie di Michele Merola e ai danzatori della MM Contemporary Dance Company di Reggio Emilia.
Attingendo dal suo vissuto, dalle sue esperienze, dal suo ostinato coraggio, ma anche rispettando la tradizione, Piazzolla ha dato origine ad un’opera d’arte d’avanguardia. Il libretto dell’uruguaiano Horacio Ferrer, è una storia surreale e visionaria, che trae spunto da una leggenda metropolitana sulle vicende della sfortunata María, nata in un sobborgo miserabile di Buenos Aires.
La differenza di questa produzione è che il regista è argentino e riesce a togliere María de Buenos Aires dalla tradizionale proposta di tango. Perché quello che Branca ha preso in considerazione è che Astor Piazzolla e Horacio Ferrer erano dei visionari. Sebbene nel tempo si è visto come la categoria di opera/tango non ha germinato come genere in Argentina, sarebbe più giusto collocare María de Buenos Aires in ciò che Piazzolla ha prodotto con la sua musica, come la singolarità di “un proprio genere”. L'opera fa parte di questa linea, in una musica che è riuscita in modo unico a stabilire un'area di confine tra il classico e il popolare, tra la partitura e l'improvvisazione.
María è nata segnata dalla maledizione, detto con risonanze borgiane, la bambina è nata "un giorno in cui Dio era ubriaco". La figura allegorica di María racchiude metafore della città, della sua trasfigurazione e del tango stesso, e una metamorfosi del femminile nel genere.
Se c'è qualcosa che può definire la musica di Piazzolla, è la forza che ha raggiunto l'identità del suo stile. Ma lo stile è una conseguenza e non il capriccio di essere diversi; è la conseguenza di aver raggiunto un linguaggio omogeneo su elementi disparati e dispersi e si ribella addirittura alla tradizione del tango: Piazzolla realizza un tango che crea un'affinità tra Bartók e De Caro, Troilo e Bach, affinità non tollerata dal genere ma dominata da un suo stile. Anche questo “linguaggio” crea, come uno spettro sonoro sulla pietra, una città piazzolliana. Legare la musica di Piazzolla con Buenos Aires è stata una risorsa frequente, anche lo stesso Astor ha invocato come giustificazione "evolutiva" della sua musica la condizione di essere riflesso della città che sempre si sta trasformando.