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Rock City. La Mexican Radio alive di Stan Ridgway
Occhiali scuri, camicia viola, sorriso a metà e la sua meravigliosa voce baritonale-nasale da cowboy. Così si è presentato Stan Ridgway mercoledì 13 luglio 2011 al Parco degli Acquedotti di Roma CInecittà nell'ambito della manifestazione Rock City.
A parte la poca gente accorsa a causa dell’overload di spettacoli capitolini, il concerto è stato davvero perfetto: l’atmosfera rilassata ha permesso a Stan di chiaccherare con il pubblico, e perfino di scherzare quando passa sopra il palco un aereo - “sembra di stare a Los Angeles!” - e di brindare con una birra americana: “tutti questi chilometri per bere un Budweiser???”.
La sua compagna musicale e nella vita, Pietra Wexstun, è parte essenziale del gruppo. La musica di Ridgway, intensa miscela di rock, blues, folk, country ed elettronica ha dentro Ennio Morricone, al quale Stan dedica un omaggio - i romanzi di John Fante e Edward Bunker e i film di David Lynch: il tutto shakerato con un po’ di succo di cactus del deserto californiano, sempre presente come uno spettro all’interno delle sue composizioni.
Stan è un cantastorie straordinario e la sua invenzione musicale lo testimonia: proprio come nei romanzi di Bunker, Bukowski, Fante, le sue canzoni sono popolate da antieroi, criminali, drogati, accompagnati dalla sua chitarra che dipinge scenari da incubo e la sua fisarmonica nella quale soffia come un dannato trasformandola in un respiro ossessionato.
Non c’è un solo secondo di pausa nel concerto, i capolavori si susseguono in modo incredibile: tutti si esaltano alle note di “Calling out to Carol”, “Peg and Pete and me”, “Lonely Town”. Poi arriva “Camouflage” in una versione lunghissima, una ballata elettrica che dipinge, come in un film di Sergio Leone, un quadro di polvere, speroni e saloon pieni di sbandati che bevono mexcal; ancora tutti in piedi per “Don’t box me in”, il reggae scritto con Stewart Copeland dei Police per la colonna sonora di Rumble Fish di Francis Ford Coppola; poi “Ring of fire” infiamma letteralmente tutti: mi giro, guardo il pubblico: sanno tutti le parole a memoria! Forse conoscevano già la versione di Johnny Cash…, ma quando parte “Mexican Radio”, in un certo modo il suo inno, il coro diventa fortissimo ad anche Stan lo nota ed apprezza duettando con il pubblico.
È davvero il caso di dire: pochi ma buoni, anzi buonissimi. Tutti quelli che erano lì sapevano che cosa andavano a vedere e lo volevano tantissimo! Le sue storie sull’alienazione urbana mescolate con una base molto ritmata sono la base del successo di Stan e la sua grande forza innovativa, il filo rosso che lega le composizioni dal periodo con i Wall of Voodoo a quello come solista.
“È straordinario” - gli dico dopo il concerto - “come tu riesca ad essere così radicato nel passato ed allo stesso tempo così proiettato nel futuro con la tua musica: la gente che è accorsa al tuo concerto devotissima è in delirio sia per i vecchi pezzi dei Wall of Voodoo, sia per i nuovi”.
“Grazie! Grazie! Sono davvero contento di questo concerto: non so darti una risposta precisa, mi viene spontaneo…- ride - ho sempre scritto questo tipo di canzoni con una simile impostazione musicale: per fortuna vi piacciono!!”
“Il pubblico ti adora: dal palco sei riuscito a sentire che tutti cantavano le tue canzoni?”
“Sì, l’energia che arriva sul palco è sempre molto importante: l’Italia poi mi ha sempre dato belle soddisfazioni!”
Stan e Pietra sono due persone estremamente disponibili: a fine concerto si sono dedicati a parlare con i loro fans adoranti per più di due ore rispondendo a domande anche peggiori delle mie e concedendo ogni tipo di foto ed autografo.
Tornare a casa cantando ancora le canzoni del concerto è abbastanza normale, ma farlo la mattina dopo così e così, mentre farlo da tre giorni significa che era il concerto dell’anno! L’avevo già detto per qualcun altro? Non ci fate caso, l’età avanza per me e per Stan!