Supporta Gothic Network
San Carlo Napoli. Čajkovskij e la maison scarlatta dell'Incantatrice
La stagione lirica del massimo Napoletano si connota, quest’anno, per due novità di assoluto interesse: l’Otello di Rossini – in apertura alla stagione – e la Čarodejka di Pëtr Il'ič Čajkovskij, opera rarissima che leggiamo essere stata rappresentata fuori dai confini della Russia unicamente al teatro al São Carlos di Lisbona nella stagione 2002-2003 e per la prima volta in assoluto in Italia. Dal 17 al 25 febbraio al San Carlo di Napoli, si presenta con un cast russo guidato da un allievo di Valery Gergiev, Zaurbek Gugkaev e la regia di David Pountney in una coproduzione del Teatro Marinsky di San Pietroburgo e del São Carlos di Lisbona.
La prima de “L'Incantatrice” avvenne al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo sotto la direzione dell'autore il 20 ottobre (11 novembre) 1887, ma con poco risultato di pubblico e stampa venne rappresentata poche volte fino al 1890 e di rado in tutto il Novecento.
Scelta di sicuro coraggio, dunque, quella del teatro lirico partenopeo alla quale indubbiamente va il nostro plauso, ma che comunque non risulta scevra da scelte organizzative discutibili. Si sa, il pubblico napoletano è fortemente legato alle opere di repertorio che da queste parti sono per lo più denominate “opere conosciute” e ciò si scontra con l’esigenza di riempire il teatro con un pubblico che non vede di buon occhio l’opera rara. Ciò avrebbe dovuto indurre, a nostro modesto parere, l’amministrazione del teatro ad una campagna di comunicazione massiccia finalizzata a destare interesse nel pubblico (che comunque ha reagito con entusiasmo al dramma) anziché preferire di importare intere scolaresche degli istituti scolastici di Napoli e provincia che, nelle varie recite – e nonostante il progetto di alternanza scuola-lavoro presentato in apertura del libretto dell'Opera li avrebbe dovuti preparare -, hanno assistito allo spettacolo con un continuo brusio fastidioso che ha offeso gli spettatori che a prezzi non proprio convenienti, si sono visti disturbare da studenti annoiati, più interessati a chattare al cellulare e mormorare durante lo spettacolo che goderne la bellezza, (aggiungiamo poi che al modico prezzo di dieci euro hanno potuto usufruire delle poltronissime che in genere vengono vendute a dieci volte tanto, sic!).
Nonostante questo episodio verificatisi alla prima del 17 febbraio e durante la soirée del 24 – mentre non per nostra gradita fortuna la serata finale del 25 febbraio -, lo spettacolo si è presentato come la punta di diamante dell’intera stagione, costellata da opere repertoriali (Rigoletto, Lucia di Lammermoor, Bohème etc...) meritevole di essere vista per più recite dacché una soltanto non è in grado di offrire la contezza di ogni aspetto drammaturgico presente sia nella musica che nell’intelligente messa in scena del regista David Pountney.
Quest’ultimo ha immaginato il dramma in una immensa ed unica stanza che, nel primo atto, è la locanda, immaginata come maison du plaisir, ove la protagonista Nastas’ja (interpretata dall'affascinante, come voce e presenza, soprano Marija Bajankina) detta “Kuma” (vezzeggiativamente denominata) accoglie i suoi ospiti. Nel secondo atto è il palazzo del principe Nikita Kurljatev (il baritono Jaroslav Petrjanik), vicario del Gran Principe a Nižnij-Novgorod; il terzo, la stanza da letto della protagonista, e, nel quarto, un bosco ove si svolge l’epilogo del dramma.
Scena “unica” quindi secondo Robert Innes Hopkins coadiuvato nelle luci da Giuseppe Di Iorio, ma estremamente movimentata e con un soffitto fatto da una cornice a volta “a botte” che si rivolge verso l’interno della scena che si solleva mostrando un colore rosso acceso come all'interno di un teatro, e dove si trova parte del coro maschile a mò di spettatore della scena sottostante: una sorta di antro infernale con tanto di demoni a fare da spettatori e a plaudire all'uno oppure all'altro partito.
Il primo atto è indubbiamente quello più movimentato, l’occhio è rapito in ogni dove del palcoscenico i cui movimenti degli attori – cantanti sono rapidissimi e diversificati tra loro, ma tutti accomunati dall’empito orgiastico della ricerca del piacere nella “maison de Kuma”, in una sorta di continuo corteggiamento tra i maschi della buona società russa e le donne che vivono nella “maison”. Fanno così capolino un pugile (Jurij Evčuk), un giovane del bel mondo, mercanti vari ed un vagabondo ubriacone travestito da monaco (Savva Hastaev), aggiunto dal compositore stesso: ognuno con un suo ruolo in un continuo movimento incalzato da una musica frenetica introdotta da un fantastico preludio orchestrale ove si intravedono gli echi del dramma venturo.
Il tema dominante de L'incantatrice è sferzato da terzine taglienti di violoncelli e contrabbassi mentre i violini restano sospesi al vibrare di un’unica nota, interrotti comunque dalle danze festose di una festa in lontananza, appena accennata al ritmo del tamburello, ma immediatamente inghiottita dal gorgo crescente dei violini che infuriano il tema dominante del dramma, dell’amore malato.
Il tutto mentre in scena si osserva, durante l’esecuzione del preludio e parzialmente velata da un sipario trasparente, la famiglia nobile del principe Nikita in procinto di mettersi a tavola per la cena: splendida idea registica che mette a confronto la tragedia evocata dalla musica con l’onorabilità di facciata della famiglia del governatore.
La protagonista dell’opera fa il suo ingresso in modo assai scenografico, calata dall’alto e distesa su un divanetto, dominante nell’intera scena il colore rosso (meravigliosi i costumi), cantando l’aria “guardate le montagne laggiù”. Gli ospiti estasiati l’accolgono con danze e frivolezze fino all’ingresso in scena del principe Nikita che, rapito dal fascino della giovane se ne invaghisce e dinanzi a tutti le regala un prezioso anello, pur rimproverato dal fedele scrivano, o meglio il diacono, Mamyrov (il possente basso Aleksej Tanovickij) che gli consiglia di far chiudere quella casa e trarre in arresto la – a suo parere – lasciva locandiera.
Per tutta risposta il principe umilia il suo sottoposto imponendogli di danzare, in modo sgraziato e rabbioso, con gli altri scatenando in quest’ultimo un risentimento che esploderà in vero e proprio desiderio di vendetta. Le ironiche ed erotiche coreografie da can can sono a cura di Roberto Zanella.
Il personaggio di Mamyrov rinvia in certo qual modo a Rigoletto che, umiliato dal Duca, decide di vendicarsi uccidendolo; con la differenza che il proposito dell’eroe verdiano fallisce, mentre quello del dramma russo coglie nel segno il suo proposito conducendo alla rovina l’intera famiglia portando ad una pazzia isterica il principe roso dal sentimento di colpa ed in preda a visioni infernali dopo aver addirittura ucciso il figlio, nell’ultima scena dell’opera.
Il primo atto termina con un movimento di scena indotto da un possente scarto tonale dell’orchestra che improvvisamente volge lo sguardo non più all’umiliato Mamyrov, bensì agli ospiti tutti, che vorticosamente cominciano a correre danzando in circolo intorno al divanetto sul quale si è nuovamente seduta la protagonista Kuma nuovamente sollevato in aria per simulare l’uscita dalla scena.
Sembra quasi che l’ispirazione del regista per questa parte finale del I atto rinvii al dipinto del fiammingo Hieronymus Bosch: il celeberrimo Trittico del giardino delle delizie conservato al Prado che nella scena centrale delle "delizie" appunto, che rappresenta la conosciuta “cavalcata della lussuria” con uomini e donne che vorticano intorno al fons vitae alla ricerca spasmodica del piacere carnale.
Il secondo atto introduce lo spettatore nell’intimità del dramma. Una famiglia lacerata da una crisi profonda è introdotta da un significativo interludio orchestrale che rappresenta un altro potente personaggio dell’opera: la principessa Evpraksija Romanovna (la mezzosoprano Ljubov’ Sokolova con la voce non proprio al livello delle richieste) e suo figlio Jurij (il tenore un po' sottotono Nikolaj Emcov); la prima è disperata per l’allontanamento e la freddezza del marito; il secondo, giovane dall’animo puro ignaro di tutto, viene bruscamente posto dalla madre a conoscenza delle crepe profonde che attraversano la famiglia, unita soltanto da una facciata, quella medesima che lo spettatore ha potuto intravedere durante l’esecuzione del preludio all’opera.
Il personaggio della principessa è perfettamente e magnificamente caratterizzato da Čajkovskij: una donna astuta, furba, che non si ferma dinanzi a nulla e capace di lottare caparbiamente per ciò che le appartiene, anche a costo del sacrificio del figlio; musicalmente essa alterna momenti di lirismo puro, estatico, religioso, a fremiti imponenti che la accostano alla principessa di Bouillon o ad Amneris. Mirabile il duetto con il figlio Jurij “dacci oggi un po’ di gioia, Signore”, una splendida barcarola ove madre e figlio si cullano vicendevolmente mostrando la reciproca adorazione che vicendevolmente nutrono.
Segue la tempestosa scena, violentissima, con il principe che reagisce con ira alle accuse di adulterio della moglie scatenando il proposito del figlio Jurij di uccidere l’ammaliatrice, considerata la causa del disastro familiare e politico del padre: nel frattempo in scena si è verificata una vera e propria insurrezione popolare a causa della trascuratezza del principe nell’adempimento dei suoi doveri governativi. Di notevole impatto la scena di insurrezione che ricorda i moti rivoluzionari di fine Ottocento che costarono, proprio nel 1887, la vita al fratello di Lenin e convinsero quest'ultimo a partecipare attivamente alla rivoluzione russa. La morte di suo fratello, Aleksandr Il'ič Ul'janov, avvenne per impiccagione per un attentato contro lo Zar Alessandro III, prima fu detenuto nella famosa isola-fortezza di Pietro e Paolo sulla Neva a San Pietroburgo, come ricordano le schede appese su ogni cella lungo le torri della fortezza.
L’analisi generale dell’opera ci da l’impressione che il personaggio forse meno caratterizzato sia proprio la protagonista Kuma perché rispetto agli altri (soprattutto se messa a confronto con la sua imponentissima rivale, la principessa Romanovna) non presenta grandi sfaccettature in questi primi due atti: al di là della superficie gioiosa, Kuma non lascia intravedere alcuna lascivia, né può essere definita una “mangiauomini”: semplicemente una ragazza vittima della sua bellezza e di una società sordida che esprimerà contro di lei il risentimento fomentato dall’attrattiva esercitata su uomini dell’alta società.
Kuma è semplicemente una fanciulla desiderosa di amare, puramente e semplicemente, e lo farà quando avrà la possibilità di incontrare Jurij, il figlio del principe, giunto inizialmente ad ucciderla, ma poi da lei “stregato” od “avvinto” in una spira d’amore che per certi versi evoca il meccanismo psicologico già sperimentato nel Tristan di Wagner: il desiderio-tensione di morte che si trasforma in empito di amore.
Opera, dunque, profetica perché attraverso essa il Compositore russo intravede le crepe profonde che attraversano il bel mondo russo e che di là a qualche decennio porteranno alla ben nota Rivoluzione d'Ottobre, annunciata dal protrarsi di condizioni di vita disumane per i più poveri, del 1917.
Il terzo atto preannuncia invero la tragedia con il duetto con cui si apre sul boudoir dell'Incantatrice o maliarda, termine che ricorre parecchie volte insieme a “strega”, appunto come viene vista dallo sguardo malevolo di questa bourgeoisie di fine Ottocento, al posto dell'originale società feudale della fine del XV secolo immaginata dal drammaturgo Ippolit Vasil'evič Špažinskij, nato e morto nel segno storico di due rivoluzioni: 1848-1917, cui Čajkovskij ha dato anche l'incarico di scrivere il libretto (poi piuttosto decurtato su richiesta del compositore).
Il duetto tra il principe – di cui viene ogni volta ostentata la ricchezza nei costumi imperlati d'argento e lussuosissimi - e Kuma,- in rosso scarlatto di vera passione -, e qui è notevole il trasporto ed il coraggio ispirato della voce di Marija Bajankina piuttosto che di Petrjanik, è soltanto la preparazione al vero duetto clou dell'opera, tra l'amante Jurij, il giovane figlio del principe, lo ricordiamo, e l'incantatrice che lo seduce con le arti industriose e sincere dell'amore con un autentico e travolgente arioso Dove sei mio amato. Financo in questo caso, sebbene l'entrata molto teatrale, le abilità di Bajankina superano di molto quelle di Nikolaj Emcov, che abbiamo più apprezzato nell'ammansire i popolani al posto di suo padre.
Il legame tra musica e liriche è diretto, come sottolinea il clima infernale evocato nel quarto atto con lo stregone Kud’ma, (anch'esso interpretato da Aleksej Tanovickij), in un giardino dove il verde scuro è sinonimo del male come nei brutti sogni: il tono sulfureo del tritono è apertamente evocato di contro al si bemolle maggiore di Kuma, di lì a poco avvelenata dalla vendicativa principessa. Vestita di nero come la morte, quest'ultima è chiaramente contrapposta alla passione in abito rosso di Kuma per l'intera opera: sono affascinanti oltreché apparisccenti i costumi di Tatiana Noginova.
Particolarmente commovente la fuga con il principe Jurij che però non riuscirà e terminerà con l'orribile avvelenamento di Kuma ad opera della Principessa: un quadro preciso anche del matriarcato russo che ci ricorda la sottomissione dell'uomo alla madre come nella Katia Kabanova di Janaček (da poco vista al Regio di Torino nella produzione con Carsen alla regia e Angius sul podio, tutta sull'acqua). Jurij infatti, anche nel momento terminale, e sebbene chiamato in soccorso dall'amata, si lascerà trattenere dalla madre per poi scoppiare nella disperazione. Epilogo alla sua morte per mano del padre, il tutto terminerà in una “ultima cena” mortale, cui si apprestano i becchini sullo sfondo: la festosa tavola mutata in catafalco.
L'influenza della Russia popolare si ode soprattutto nella danza del primo atto ma anche nell'Entracte del quarto, che predice un sotterraneo profilo naturalistico e nostalgico che ben affiora negli interventi ben modulati in tutta l'opera del Coro, guidato adeguatamente dal Maestro Marco Faelli. Oltremodo accurata la direzione dell'Orchestra del Teatro di San Carlo da parte del russo Zaurbek Gugkaev, che era attento soprattutto a curare il profilo della parte sinfonica più sottilmente evocativa.
Grandi e lunghissimi applausi hanno fatto tornare sul palco più volte tutti gli interpreti con Pountney e il Maestro Gugkaev visibilmente emozionati.