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Santa Cecilia. Sardelli trionfa con Juditha Triumphans di Vivaldi
L’oratorio Juditha Triumphans, capolavoro di Antonio Vivaldi, proposto nel programma della Stagione di musica da camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, mercoledì scorso, è stato accolto con vibrante entusiasmo dal pubblico. Federico Maria Sardelli ha diretto L’Accademia Barocca di Santa Cecilia, il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e un cast di ottimo livello, tutti lungamente acclamati dagli ascoltatori presenti in sala.
L’esecuzione era stata annunciata nella scorsa Stagione di musica da camera poi cancellata, ma ora finalmente è stato possibile ascoltare questo straordinario oratorio, l’unico giunto a noi dei quattro composti da Vivaldi. Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie questo era il titolo completo dell’oratorio sacro e militare, il libretto scritto da Giacomo Cassetti era accompagnato da un Carmen allegoricum che ne spiegava gli intenti. Nel 1714 Venezia era di nuovo in guerra con l’impero ottomano, e dall’episodio biblico Cassetti creò un’allegoria in cui Giuditta era Venezia, la sua ancella Abra, la fede cristiana, Betulia assediata, la Chiesa, Ozia governatore di Betulia il Papa, Oloferne, il Sultano e Vagao, il Gran Visir suo generale. Il libretto fu scritto in latino in ossequio alla tradizione degli ospedali grandi veneziani per far risaltare l’eccellenza delle finalità educative di queste istituzioni e il talento del poeta.
Juditha fu composta ed eseguita nel 1716 all’Ospedale della Pietà in cui Vivaldi era maestro di violino. L’Ospedale era famoso anche all’estero per l’eccellenza delle musiciste, nonostante tutti i pregiudizi verso le donne. Questa istituzione, infatti, dal 1600 accoglieva solo bambine abbandonate che, diventate adulte, lasciavano l’istituzione solo in caso di matrimonio ma in maggioranza restavano in seno all'Istituzione come maestre. Raggiungevano un tale affinamento del loro talento, strumentale e vocale, da permettere al compositore una elaborata sperimentazione e da garantirgli un livello altissimo nell’esecuzione musicale, cosa che è sempre stata dispendiosa, ma che in questa Istituzione era a costo zero. Vivaldi poté così sperimentare a suo piacimento le idee che il suo grande talento concepiva. Le talentuose “Putte” erano anche polistrumentiste e avevano a loro disposizione sia strumenti di recente creazione come il chalumeau, affine al clarinetto, che i claren, cioè i primi clarinetti, allora rarissimi, ma anche strumenti ormai passati di moda come la viola da gamba, indicata come viola inglese, ma il nome che può indicare anche la viola d’amore. Tutto questo è spiegato esaurientemente nel testo dei criteri esecutivi che accompagna i cd della Juditha (2002) dallo stesso Sardelli, che è subentrato nel 2007 a Peter Ryom come responsabile del Catalogo vivaldiano (Catalogo Peter Ryom, Verzeichnis der Werke Antonio Vivaldis o Ryom Verzeichnis (RV)).
Delle capacità di polistrumentiste delle “Putte” si avvalse Vivaldi per la creazione di una tavolozza timbrica atta a delineare efficacemente le situazioni drammatiche e gli stati d’animo dei personaggi. Infatti sia nelle pagine corali che nelle arie, in particolare quelle con strumenti concertanti, l’uso dei diversi strumenti è magistrale e affascinante per la resa sonora e interpretativa. La viola d’amore accompagna il canto di Giuditta che invoca pace Quanto magis generosa, il chalumeau sempre per Giuditta in Veni veni me sequere fida rivolto ad Abra, la sua ancella. Il mandolino concertante con il pizzicato dei violini è usato in Transit aetas intonato sempre dalla protagonista mentre l’accesa passione di Oloferne è delineata dall’oboe e dall’organo concertanti in Noli o casa te adoranti. L’aria di Vagao, Umbrae cara, aurae adoratae, è accompagnata da i flauti dritti creando una serena atmosfera pastorale mentre il drammatico recitativo di Giuditta, che invoca l’aiuto di Dio in Summe Astrorum Creator, è delineato da Vivaldi con un raggelante “Concerto de’ viole all’inglese” senza altri strumenti, che rende magnificamente la tensione drammatica. Se si aggiungono l’invenzione melodica, armonica, agogica, le varie combinazione strumentali e la raffinata scrittura vocale si comprende la grandezza di questo straordinario capolavoro che necessita di interpreti all’altezza del compito.
Non si può non iniziare a parlare dell'esecuzione se non dalla direzione di Federico Maria Sardelli, a cui il pubblico ha dedicato una incandescente acclamazione, Sardelli ha reso in modo esemplare, seducente e coinvolgente questo oratorio evidenziandone tutti gli aspetti timbrici, ritmici, dinamici e agogici uniti a una grande cantabilità che insieme hanno dipinto magistralmente le diverse atmosfere sensuali, pastorali, drammatiche e i diversi personaggi. L’Accademia Barocca di Santa Cecilia ha dato una memorabile prova di sé, ricordiamo gli eccellenti solisti, festosamente applauditi non solo alla fine ma anche al termine delle arie concertanti che hanno eseguito, ricordiamo: Valerio Losito, alla viola d’amore, Ugo Galasso, al chalumeau e al flauto dritto insieme a Ludovica Scoppola ma anche al clarinetto con Michelangelo Bisconti, Simone Vallerotonda alla tiorba e al mandolino, Paolo Pollastri all’oboe e Andrea Coen all’organo e infine il “Concerto de’ viole all’inglese” formato da Bettina Hoffmann, Francesca Lorenzetti, Teresa Peruzzi, Giovanni Tonello e Argentina Becchetti.
Nell’esecuzione all’Ospedale della Pietà il coro fu necessariamente tutto al femminile con un adattamento delle voci, ma in questo caso il coro ha partecipato anche con le voci maschili, ben preparato da Piero Monti, ha risposto pienamente alle indicazioni di Sardelli, tra loro ricordiamo le brave soliste Sara Fiorentini e Marta Vulpi. Tutte le parti dei personaggi, ovviamente destinate alle voci femminili, sono impegnative perché la bravura delle ”Putte” glielo consentiva, alla parte della protagonista Vivaldi ha dedicato sei arie e impegnativi recitativi. Ann Hallenberg si è efficacemente calata nel ruolo Giuditta, un personaggio per cui il “Prete rosso” ha delineato i diversi aspetti psicologici, dalla umile e timorosa postulante a tutte le sfumature della seduzione, ii soave lirismo di Transit aetas con mandolino concertante e pizzicato dei violini certo, ma anche il timore prima di uccidere Oloferne e poi la determinazione eroica nell’esserci riuscita. La Hallemberg, è un mezzosoprano dotato di un timbro caldo e morbido, ha mostrato un ottimo controllo vocale, nella incisività delle diverse sfumature richieste dai recitativi, nella limpidezza dei passaggi virtuosistici, nel soave abbandono lirico ma anche nell’intensità drammatica dell’uccisione di Oloferne.
Il mezzosoprano Vivica Genaux è stata Oloferne, altrettanto efficace nei recitativi e nelle arie e sicura nei virtuosismi, ha ben delineato il personaggio. Rui Hoshina, soprano, ha un timbro chiaro e squillante che si adatta alla giovane età di Abra, l’ancella di Giudiitta, molto giovane è anche l’interprete, che ha superato agevolmente le insidie vocali e si ben calata nel ruolo di sostegno della protagonista. Giorgia Rotolo ha ben interpretato Vagao, il giovane servitore di Oloderne, soprano è dotata di voce limpida, soave in Umbrae cara, aurae adoratae, ha cantato con disinvoltura l’aria di furore Armate face et anguibus. Francesca Ascioti è stata il sommo Sacerdote Ozias, parte riservata al contralto, personaggio autorevole che ha reso con grande sicurezza vocale e interpretativa. Oltre agli applausi alla conclusione delle grandi arie concertanti e al terminee delle prima parte, la fine è stata salutata da una festosa ovazione che ha spinto Sardelli a regalare come bis il trionfale coro finale.
Unica nota stonata è stato lo spostamento dalla Sala Sinopoli alla Sala Santa Cecilia, perché è troppo vasta, ne ha risentito, a nostro parere, la pienezza del suono soprattutto delle voci, inoltre all’entrata in sala si è creata una lunga fila per riassegnare i posti agli abbonati.