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Sieben No less than all. Il caleidoscopio del suono
Ritmi ossessivi su percussioni ipnotiche, uno stigma per gli Sieben dell’inglese Matt Howden: cosìccome testi mai scontati e riferimenti letterari, ricordiamo il padre Keith, autore di una The Matter of Britain con poemi che attingono alla saga di Beowulf come alla liriche dei poeti cimiteriali come Thomas Gray. Qui, nel nuovo No less than all edito da Redroom, abbiamo una canzone che rimanda a Vonnegut, alla sua fantascienza critica di Mattatoio n.5, a cui segue la splendida cover di Transmission dei Joy Division, recuperando il talento mai dimenticato di Ian Curtis, ben rappresentato biograficamente nel film Control di Anton Corbijn.
L’intro di Music is Light mi ricorda l’ipnosi animale che scelse Poe che si riferisce a Mesmer, ed infatti nel testo si trova: “Mesmerise – ritual in play”, un'allucinazione che sottende a tutti i narratori del poeta americano, avviluppati in un viaggio nel Mäelstrom del loro delirio. Segue Preacher online, l’affabulatore per antonomasia, in cui deboli menti, rese fragili da una vita dimessa – Camus direbbe: “quando gli oppressi si rassegnano e abbassano la testa” – si affidano ad una mano piuttosto “contorta e mutevole” come quella del Preacher online omonimo di Howden solo nel nome, come leggiamo nel testo: “Faith-twittering, god-bothering, bibling band/ Hope-juggling, shape-shifting trust in his hand”.
Quello che però disturba di più e pervicacemente, sono le tre note di Vonnegut che partono e si ripetono dopo l’assioma su voce narrante: “Those who believe in tele-kinetics, raise my hand!”: sia qui sia in I saw a face, ritmi che ricordano gli Sieben di As they should sound del 2009, quando parteciparono alla due giorni del Pre Final Fest di Roma.
Un piccolo relax si ha con Shake the tree su movenze cantabili, ma forse questo significa “solo” ridisegnare la mappa del vuoto (mondo): “Work to map the void,/ dig to fill the hole,/ shake to shake the tree”, e probabilmente quello che dobbiamo scuotere è l’albero della finta cuccagna, quello del libero mercato che libero non è.
Sia Black dog day sia No ordinary life sono due pezzi notevoli ma non hanno la carica esplosivamente sotterranea di He can delve in hearts, di cui è disponibile anche un video non raccomandato per chi non sopporta le scosse elettriche: estremamente violento nei contenuti che presenta, inocula il veleno del dubbio sulla latenza del male in ognuno di noi, quella calma apparente che negli occhi dei borghesi è sinonimo d’innocenza, nei nostri di qualcosa che si sta già perpetrando alle nostre spalle.
Un album d’urgenza, fin nelle sue recondite trame, che si ricoagulano assieme nella title track ed In a train dove le visioni dal treno nella mezzanotte convergono:
She drifts away
on midnight lines
Down distant track where
the lines converge,
ed è così che riassumo quel che ci dice l’ultima prova di Matt Howden, che il futuro verrà con il fuoco: “and the future will come as fire”, proprio come la strada della sopravvivenza dell’umanità, da The Road di Cormac MacCarthy.
Un fuoco che viene da fuori e cerca dentro e giunge dall’agnello di Blake, The Lamb nella title-track No less than all, e che sarà lavato col sangue (washed in blood), proprio come D.H. Lawrence prospettava, quel sangue che “non è meno di tutto” (No less than all), pompando la vita a ritmo del fuoco, per ipnotizzarci di nuovo e farci trascendere nel caleidoscopio del suono.