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Una spiegazione per tutto. L'inesplicabile esame dell'esistenza
Siamo in Ungheria, a Budapest, alla fine del primo quarto del XXI secolo. Un giovane studente di liceo, Ábel, è alle prese con il suo esame di maturità, che sta preparando con un supplemento di ansia che lo corrode e lo consuma lentamente, in una tensione palpabile tra le sue aspirazioni e le smodate aspettative della famiglia; il tutto si innesta con una tipica storia sentimentale, che sembra tratta da un film di Gabriele Muccino: l’amore non confessato per la sua amica e compagna di scuola, Janka. Questa è la trama, apparentemente esile, propostaci dal regista Gábor Reisz, per un film tutto ungherese, Una spiegazione per tutto.
Reisz si era distinto per un lungometraggio, For Some Inexplicable Reason (2014), un’inusuale storia di formazione all'insegna della tragicommedia amorosa., presentato al Karlovy Vary IFF, e subito diventato un film cult in Ungheria, arrivando a riscuotere molto successo in vari festival internazionali. Una spiegazione per tutto (Magyarázat mindenre/An Explanation for Everything) è il suo terzo lungometraggio, che segue Bad Poems (Rossz versek, 2018), vincitore di ben 16 premi, tra cui quello per il miglior film ungherese nel 2018.
Il regista, nelle note di produzione, lamenta il soffocante clima di divisione che si respira nel suo Paese e che permea la vita quotidiana. Ad esempio, nel 2021, l’Università del Teatro e delle Arti cinematografiche di Budapest ha perduto la propria autonomia perché è stata completamente riorganizzata dall’alto seguendo le direttive dello Stato, nonostante le proteste di professori e studenti. Ne è seguita un'occupazione studentesca dell’università, sicché gli eventi hanno presto preso una piega politica: alla protesta si è unito il regista, che presto si è reso conto dell'esigenza di parlare della situazione che circonda gli ungheresi e con loro ogni forma d’arte, incluso il cinema.
La frattura che attraversa il Paese è presente da anni, non solo in Parlamento, ma anche nei rapporti tra le persone: uno dei simboli più inquietanti è il quasi obbligo di indossare la spilla con i colori nazionali in determinate circostanze, come in occasione dell’anniversario della Guerra d’indipendenza del 1848, una delle feste nazionali più importanti. L’esibizione delle spille da parte dei nazionalisti durante gli eventi e le manifestazioni di partito ha cambiato sensibilmente il significato di questo simbolo negli ultimi 20 anni. Se un tempo rappresentava l’indipendenza ungherese e il legame con il Paese, oggi chi la indossa è considerato un sostenitore della nazione e chi non la indossa è invece stigmatizzato come oppositore.
La situazione si è aggravata a tal punto che ogni raduno di amici o parenti sfocia presto in una presa di posizione: di conseguenza, la gente è sempre meno interessata all’opinione altrui e ad ascoltarsi a vicenda. Con la cosceneggiatrice Éva Schulze, il regista ha cercato di comprendere e illustrare le intenzioni e il disorientamento di entrambe le parti. Il film appare un po' povero, perché è stato girato in 20 giorni e con un budget ridottissimo. La post-produzione è stata realizzata grazie a MPhilms e all'aiuto di un ente di una nazione vicina, ossia il Fondo audiovisivo slovacco.
Nel film agiscono quattro personaggi principali. Ábel, uno studente liceale di Budapest che si prepara alla maturità. György, suo padre, un architetto con idee nazionaliste che proviene da una famiglia che precedentemente aveva acquisito i quarti di nobiltà. Jakab, un insegnante di storia di idee molto liberali, attivo nella scuola di Ábel. Erika è una giovane e ambiziosa giornalista proveniente dalla Transilvania (motivo per cui viene spesso punzecchiata dai colleghi di lavoro) e che lavora per il quotidiano conservatore Magyar Napok (una versione romanzata del Magyar Nemzet).
Essendosi innamorato della compagna di classe Janka, Ábel si distrae dallo studio e trascura il programma di storia previsto per l'esame di maturità. Al lavoro, György cerca di convincere un collega più giovane a non emigrare in Danimarca raccontando le lotte della sua famiglia durante il periodo comunista. Nel frattempo, Janka confessa il suo amore per Jakab, che rifiuta le sue avances; lo rivela ad Ábel, ma come unico effetto ottiene quello di mandarlo in depressione: il risultato sarà una Janka che eccelle durante l'esame orale, mentre Ábel si blocca e fallisce. Nel raccontare la sua esperienza al padre, Ábel suggerisce falsamente che l'insegnante lo avrebbe bocciato perché indossava una coccarda. György, ricordando una precedente discussione politica con Jakab, crede al figlio. Sicché la bocciatura del ragazzo diventa la scintilla che accente uno scontro tra suo padre, convinto conservatore, e Jakab, convinto progressista (scontro puramente verbale, ché nel film sono del tutto assenti scene di sesso e di violenza). Finché l’accaduto non diventa scandalo mediatico e il conflitto si sposta su un piano ancora più ampio: quello dello scenario politico dell’Ungheria di Orbán.
Alla fine la notizia del fallimento dell'esame a causa dell'esibizione della coccarda, inventata di Ábel, raggiunge la giornalista Erika, che, spregiudicatamente, ingigantisce la dimensione politica della storia per motivi professionali. Il suo articolo diventa virale, arrivando a minacciare la reputazione di Jakab e della scuola. Alla fine, Il distretto scolastico permette ad Ábel di ripetere l'orale di storia alla maturità: la seconda maturità di Ábel diventa un evento mediatico, ma lo studente esce dall'aula d'esame senza tentare di rispondere alla domanda. Jakab e György, entrambi presenti, si scambiano uno sguardo sconcertato.
Qualche mese dopo, Ábel e i suoi amici, tra cui Janka, si intrufolano nella piscina di una villa sulle rive del lago Balaton nel cuore della notte. Al sorgere del sole, il proprietario della villa li scopre e loro fuggono nel lago,