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Spoleto 76º Stagione Lirica Sperimentale. La metamorfosi secondo Carpi e Strehler
La prima assoluta de La porta divisoria ha aperto la 76° Stagione Lirica Sperimentale di Spoleto e dell’Umbria, una scelta di grande rilievo e pregnanza del Direttore Artistico Michelangelo Zurletti e del Condirettore Artistico Enrico Girardi per il valore di questa partitura ingiustamente dimenticata e accolta calorosamente dal pubblico che affollava la sala.
L’opera fu commissionata per la stagione 56-57 della Piccola Scala da Victor de Sabata, allora direttore artistico della Scala, a Fiorenzo Carpi (1918 -1997) su libretto di Giorgio Strehler (1921 - 1997), basato sul racconto La metamorfosi di Franz Kafka, ma poi, nonostante fosse stata programmata più volte, rimase incompiuta. La storia è quella di Gregorio e la sua trasformazione in scarafaggio che gli fa perdere la parola ma non l’interiorità umana che si manifesta nei monologhi interiori. Rimane recluso nella sua stanza, mentre la sua assenza è notata solo perché manca il suo stipendio con cui manteneva la sua famiglia: padre, madre e sorella. Un giorno Gregorio decide di uscire per ascoltare la sorella che suona il violino e la sua vista fa fuggire i pensionanti della famiglia, allora il infuriato padre lo ferisce gravemente provocandone la morte, che sarà un sollievo per la famiglia.
Carpi scrisse interamente l’introduzione e i primi tre quadri, gran parte del quarto ma il quinto manca, nonostante il musicista l’abbia ripresa in mano lungo tutta la sua restante esistenza e fosse un lavoro a cui teneva moltissimo, non lo portò a compimento. In questo pesò anche un dubbio rilevante per Carpi: se fosse meglio completarla o riscriverla visto il tempo passato. Il fatto che questa partitura sia stata dimenticata nell’Archivio del Piccolo Teatro di Milano è sconcertante e per questo la scelta di riportarla in luce è meritoria. Carpi e Strehler concordarono nell'incentrare il libretto sull’esclusione del diverso invece che sull’incomunicabilità, a questo proposito alla conferenza stampa che ha preceduto lo spettacolo, era presente la figlia di Carpi, Martina che ha detto che nel 1954 si era avuta la certezza che il fratello del padre, Paolo, era morto a 17 anni in un campo di concentramento dove era stato internato per le origini ebraiche della famiglia.
Nell'opera, non a caso, la vicenda è spostata intorno agli anni ’20- ‘30 del secolo scorso quando cominciarono le persecuzioni degli ebrei in Germania, lo dimostrano le indicazioni di musica concreta presenti in partitura e le indicazioni del libretto. La scrittura di Strehler ci è parsa ispirata a quella di Bertolt Brecht, come contenuti, nella critica densa di ironia alla società e alla ipocrisia borghese e per la drammaturgia nei dialoghi incisivi che rendono l’azione scorrevole. Uniche pause i brevi monologhi di Gregorio, sì trasformato in scarafaggio, ma sempre profondamente umano a cui fa da contraltare la disumanità degli altri personaggi, in particolare il conformismo borghese, grottesco nella sua crudeltà, del padre.
La partitura è in linea con le avanguardie degli anni ‘50, atonale, dodecafonica, contrappuntistica, Carpi usa anche l’“Armonia di gravitazione”, ideata da Roberto Lupi basata sulle leggi fisiche di generazione e di interrelazione dei suoni. Due sono stati problemi da risolvere, il primo comporre il quinto quadro, compito affidato ad Alessandro Solbiati che in proposito spiega nel programma di sala:" confesso che, ignorando fin qui la produzione “classica” di Carpi (di cui certo conosco la produzione per la televisione e per il teatro), temevo di trovarmi di fronte ad una musica un po’ “leggera”, in cui non avrei potuto certo inserirmi con coerenza; e invece mi sono trovato di fronte a una partitura complessa, del tutto “aggiornata” agli anni ’50 in cui è stata composta, timbricamente assai ricca. A condurmi ad affrontare la prova vi sono poi anche sia il nome blasonato del librettista, Giorgio Strehler, sia l’argomento, il noto racconto di Kafka verso il quale ho sempre provato simultaneamente attrazione e orrore. Ma come comportarsi, compositivamente? Non potevo certo comporre “nello stile di Carpi”, non avrebbe avuto senso alcuno. Ma al contempo sarebbe stata necessaria almeno un po’ di coerenza: fortunatamente il “linguaggio” stesso “parlato” da Carpi mi è venuto incontro, evitandomi vistosi salti.
Ho deciso dunque di essere del tutto “me stesso”, concentrandomi completamente sull’arco narrativo amaro, inquietante e ironico al tempo stesso, e “portando a me” il testo di Strehler, che però ho parzialmente rivisitato, eliminando alcune formule che appaiono datate, un poco prolisse e più adatte ad un “teatro di parola” cui Strehler era certo più avvezzo, che non al teatro musicale, soprattutto di oggi (e penso che questo sia stato il problema per Carpi stesso). Il mio Quinto Quadro da una parte permetterà così di mettere in scena un lavoro che vale davvero la pena di ascoltare, ma dall’altra costituirà una scena lirica autonoma e con un proprio titolo che entrerà inaspettatamente a far parte del mio personale catalogo di lavori scenici, complice la sua indiscutibile autonomia narrativa”. Nella conferenza stampa Solbiati ha, inoltre, spiegato che la sua musica ha una scrittura armonico timbrica ed più cantata e differisce da quella di Carpi, che usa una scrittura contrappuntistica e lo sprechgesang, che all’ascolto si è rivelato vicino al parlato e si adatta bene al dialogo incalzante del libretto di Strehler ed è perfettamente comprensibile al pubblico. Ha anche evidenziato di aver trovato un frammento di musica Carpi nel notturno all’inizio del 5° Quadro, un cluster (gruppo) un po' melmoso di note che anch’egli aveva immaginato nello stesso punto.
Il secondo problema è stato poi la riduzione della partitura scritta per 56/58 elementi a 13 per Ensemble da camera, a causa delle ridotte dimensioni della buca dell’orchestra al Teatro Caio Melisso, il compito è stata affidata a Matteo Giuliani che riguardo a questo afferma:” Per i primi tre quadri, dunque, il lavoro necessario è sostanzialmente di trascrizione (peraltro per un organico strumentale più ridotto e non sempre compatibile con quello originale), mentre nel quarto quadro diventa preponderante un’opera più propriamente compositiva, particolarmente complessa poiché sottoposta a forti vincoli (non solo genericamente stilistici ma incardinati, ove questa sia presente, sulla bozza originale di Carpi)”. Solbiati e Giuliani durante la conferenza stampa hanno affermato che sono stati costantemente in comunicazione e hanno concordato la scelta degli strumenti: quintetto d’archi, legni, il trombone, tra gli ottoni, come strumento di elezione per sottolineare la grottesca disumanità del padre, e le percussioni.
Venendo allo spettacolo l’opera si apre con un’introduzione strumentale, e poi la perdita della voce di Gregorio che è realizzata con tre voci: voce bianca (soprano) tenore e baritono che poi interpreta i monologhi interiori di Gregorio. La partitura di Carpi aderisce perfettamente allo sviluppo incalzante dell’azione del libretto di Strehler, di cui la musica, inquietante, evidenzia il contenuto angoscioso, pervaso da una cupa ironia a volte anche grottesca nel delineare la grettezza ipocrita del padre, ma è nello stesso tempo avvincente. Carpi è un musicista conosciuto più per l’attività teatrale e cinematografica, a causa delle istituzioni musicali che lo hanno ingiustamente trascurato, molto più di Nino Rota e di Ennio Morricone, le cui composizioni accanto a quelle più popolari hanno trovato un po’ di spazio nei programmi dei concerti.
Il Quinto quadro di Solbiati ha uno stile diverso ma non è una dieresi perché, benché diverso accoglie il contenuto ideale dell’opera senza allentare la tensione, le parti vocali cantate delineano efficacemente i personaggi a cominciare dall’intenso monologo del morente Gregorio. Naturalmente ci auguriamo che una delle istituzioni musicali italiane possa mettere in scena La porta divisoria sia nella versione da camera, meglio ancora in quella originale sicura almeno per l’introduzione e i primi tre quadri e parzialmente per il quarto e potrà avvalersi del quinto quadro, che Solbiati ha creato e che si è detto disposto a orchestrare per organico maggiore.
Questa partitura ha avuto in Marco Angius, direttore che abbiamo avuto modo di apprezzare molto, più volte, un interprete di notevole spessore a cui si deve il merito di aver messo in luce la preziosità della musica di Carpi, grazie anche alla trascrizione di Giuliani, e quella di grande interesse di Solbiati. L’ Ensemble strumentale del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” sotto l’esperta guida del maestro Angius ha dato un’ottima prova di sé contribuendo alla riuscita della messa in scena.
Gli interpreti sono stati scelti tra i cantanti vincitori o idonei dei Concorsi “Comunità Europea” per giovani cantanti lirici di Spoleto 2021 e 2022, inoltre la Direzione artistica ne ha selezionato alcuni tra i cantanti che si sono presentati alle audizioni e cantanti vincitori delle scorse edizioni. Nella recita che abbiamo ascoltato il 2 settembre scorso Davide Romeo, baritono, tra i vincitori dell’edizione di quest’anno, è stato un intenso Gregorio a lui si sono aggiunti efficacemente per la Voce di Gregorio, Elena Finelli, soprano, e il tenore Oronzo D’Urso, tra i vincitori dell’anno scorso, D’Urso è stato anche uno spiritoso Primo pensionante. Giacomo Pieracci, basso, vincitore l’anno scorso, incisivo e convincente si è calato nella parte del padre di Gregorio, Antonia Salzano, mezzosoprano, vincitrice quest’anno, ha ben interpretato l’ambiguo ruolo della sorella mentre la sbiadita figura materna è stata ben resa dal mezzosoprano Simone van Seumeren. Federica Tuccillo, mezzosoprano, è stata molto efficace e convincente nel ruolo della seconda domestica bene Elena Salvatori, soprano, vincitrice dello scorso concorso, Davide Peroni, baritono, vincitore di quest’anno, come Gerente e secondo pensionante, e Giordano Farina, basso vincitore del concorso del 2017, come terzo pensionante.
La riuscita e incisiva regia di Giorgio Bongiovanni, che ha ben guidato la recitazione degli interpreti, ha immaginato una divisione spaziale tra Gregorio e gli altri per evidenziare la separazione tra l’umanità sofferente di Gregorio e la disumanità della sua famiglia, che non accetta la sua metamorfosi. Gregorio è in un palco centrale con solo la luce del leggio quando si esprime, mentre Andrea Stanisci, ideatore delle scene ha posto davanti sul palcoscenico un tulle con una porta che separa il pubblico dalla scena borghese in cui si muovono i personaggi. La porta viene aperta quando si scopre la metamorfosi, quando si dà da mangiare a Gregorio, quando è Gregorio ad aprire la porta e viene ferito dal padre. Infine quando la seconda domestica mette il cadavere dello scarafaggio Gregorio in una cassa che viene portata in cantina, la prima domestica si licenzia quando si scopre la trasformazione di Gregorio. La scena ideata da Stanisci asseconda efficacemente la regia di Giuliani, che ha mantenuto una ambientazione allusiva agli anni ’30 del secolo scorso con i bei costumi di Clelia de Angelis e si è avvalso delle riuscite luci di Eva Bruno.
Alla conclusione dell’opera il folto pubblico presente ha applaudito vivacemente e a lungo tutti i partecipanti a questo spettacolo.