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Teatro Argentina. Go down, Moses. Il roveto ardente del Tempo
Appena si legge il titolo dello spettacolo di Romeo Castellucci al Teatro Argentina di Roma dal 9 al 18 gennaio 2015, ossia Go down. Moses, vengono in mente prima la canzone omonima di Louis Armstrong, con il seguente Let my People go, e successivamente, la famosa raccolta di novelle considerate dal suo stesso autore un romanzo unitario, William Faulkner, che recita proprio “Go down, Moses”, stessa grafia e stessa ortografia.
A dire il vero, all'inizio ho pensato proprio che fosse tratto da Faulkner ed invece no: chiaramente anche il libro di Faulkner costruisce un parallelo, come nello spiritual che si ascolta nella pièce di Castellucci, tra schiavitù dei neri d'America e schiavitù degli ebrei in Egitto prima dell'Esodo, ma qui il discorso va evidentemente molto più lontano, o meglio, molto più indietro. Se infatti si scompone il trittico di Castellucci in tre momenti fondamentali, si potrebbe in realtà anche leggerli in senso contrario a quello presentato, e lo spettatore non ne verrebbe minimamente sconvolto perchè, in fondo, è lui stesso ad andare all'indietro oppure, a superare la barriera del tempo come pronostica il fisico Kip Thorne nel suo studio sui wormhole, di cui è intriso Interstellar (e di cui anche Hawking col biopic in uscita La teoria del tutto, conviene in parte). Inoltre qui compare un coniglio, presente in Donnie Darko (film diretto da Richard Kelly nel 2004) e riferentesi proprio ai tunnel temporali, e cui ci ha abituato un regista come David Lynch che Castellucci di certo conosce e stima, e che nel 2002, con la serie Rabbits ha reso ancora più iconico – e non dimentichiamo che fu Alain Resnais nel capolavoro Mon oncle d'Amerique (1980) a mettere teste di roditori in testa agli attori, ed il film fu elaborato a partire dalle teorie sull'aggressività umana del Nobel Henri Laborit.
Simbolo lunare, femminile, in negativo come rappresentante della lussuria e della prolificazione senza controllo, il coniglio ha anche delle valenze positive – come anche la lepre cui somiglia ed è apparentato -, quella importante della rinascita legata alla Pasqua cristiana ed alla primavera, come anche nel Taoismo; presso gli Egizi – Mosé fu scambiato per egizio finchè non fu riconosciuta la sua vera nascita da madre ebrea – la lepre, cui ci sembra assomigliare soprattutto il coniglio di Castellucci, era il Dio Osiride fatto a brandelli e buttato nel fiume Nilo, rappresentando anche anche in questo caso la rinascita, in un sincretismo religioso di vasta portata. Il coniglio/lepre viene ammirato da una serie di spettatori di una mostra altoborghese anni '50, poi ci sembra che sia molto simile al “vitello” (d'oro, ora vittima sacrificale) sospeso sulla pila rotante e ardente (il roveto dove Mosé incontra Dio, che è Dio?) che ad un certo punto lo trancerà. La pila rotante o rullo, illuminata di bianco ghiaccio somiglia tanto alla macchina da risonanza magnetica da cui prima esce e poi rientra la donna protagonista del parto emorragico ed in solitudo che ci dice che ha dato alla luce Mosé. Tutti ci chiediamo chi è Mosé, che c'entra col coniglio e cosa vuol dire questo travalicare il tempo. La donna che lascia le sue impronte sul telo per noi trasparente del palcoscenico disegnando un SOS, e che per lei è l'interno di una caverna, ci pare come il segno limite di un'umanità ai primordi direttamente connessa con quella attuale, come se il tempo, quella linea “trasparente ed invisibile” che ci sostanzia in quanto ci relega in un periodo circoscritto del cammino umano, non fosse più invalicabile.
E' probabile che la nascita, la creazione, avvenga in quella stessa caverna dei primitivi che vediamo nell'ultima scena – tra un “roveto ardente”, il rullo rotante, ed un altro, il leitmotiv dello spettacolo che collega le parti– e che, come dovette a suo tempo la madre generatrice del Mosè biblico, il figlio, per salvarsi, debba essere abbandonato, per essere raccolto nel mondo sotto un'altra identità, in un altrove sconosciuto e aldilà dal tempo.
Attendiamo di vedere all'Opéra de Paris il prossimo lavoro su Mosè di Castellucci tratto da Moses und Aronne di Arnold Schönberg, per una successiva riflessione.