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Alieno. Egli. Non si tratta, ripeto, di Dio. Ovvero L'Esecutore
La proposta della Societas Raffaello Sanzio per la rassegna Teatri del Tempo Presente, dedicata alla Nuova Creatività di artisti under 35 all'ETI-Teatro Valle si chiama Alieno e si compone di cinque episodi: ne approfondiremo due. Il primo è Egli. Non si tratta, ripeto, di Dio e si è svolto il 29 maggio al Teatro Valle.
Il progetto incompiuto di Giovanni Scardamaglia Egli. Non si tratta, ripeto, di Dio sembra trasvolare tra L’ultimo nastro di Krapp di Beckett ed una rilettura biblica, in senso esorcizzante, del film 2001 Odissea nello spazio di Kubrick. Non si vedono monoliti in giro ma il clima della seconda parte dello spettacolo, diviso in due da chi scrive per motivi di maggiore comprensibilità, avvolge lo spettatore come l’astronauta nel suo tuffo nel passato oniricamente terrestre.
I rintocchi dell’inizio invece, sebbene tonali, scandiscono il tempo di una creazione quasi galileiana, una piccola gabbia di ferro racchiude il nostro architetto davanti ad un tavolo, un registratore e molta carta per scrivere. I passaggi continui sono tre: Egli parla, poi registra ciò che dice, ed in ultimo scrive. Quello che dice sono ordini a sé stesso. Dei più banali, come “bevi”, “sbuccia la mela e poi mangiala”, etc. Quello che sgretola questo piccolo universo ritmico è l’accensione di una luce che illumina una stanza. Dentro la stanza, settecentesca, di pareti bianche con due quadri che ritraggono paesaggi, vi è una donna, compressa da una gonna di ferro a campana: un po’ come la gabbia che racchiudeva il nostro Egli, solo che in questo caso è tonda, mentre la sua era un quadrato perfetto.
La fase di rianimazione della donna col casco in testa è lunga e la liberazione che segue non viene intercalata da parole se non quelle di Egli che continua nel suo archeion, nella sua costruzione di un mondo passo dopo passo, tassello dopo tassello. Quel che appare poi, tirato giù da una scala, non sembra neanche un uomo, bensì un androgino esile e confuso, che viene a sua volta ingabbiato e bloccato nelle gambe dentro la campana di ferro. Verrebbe da dire che Egli, o meglio L'Esecutore abbia un che di sadico ma non è finita qui. La parte più debordante dello spettacolo, iconoclasta e sulfurea, è l’ultima.
All’uomo esile e traballante che esegue gli ordini viene detto di indossare delle bende insanguinate e di immergere il coltello nel costato. Se non è abbastanza chiaro ricordiamoci di dove esattamente, come memorizza la Sindone, vengono rilevate le macchie di sangue di Cristo, o meglio di Gesù di Nazareth, verrebbe da dire. Ma non è finita, perché Egli fa la stessa cosa. Si stende come l’uomo esile sulla branda e con la benda insanguinata. Tutto ciò mentre come in un quadro vediamo la donna con un manto blu sulla testa e ricadente sulle spalle, sulla scala, a favore nostro, con un piede appoggiato allo scalino superiore. Vi viene in mente qualcosa?