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Teatro dell'Opera di Roma. Il canto di di Tosca sotto l'Angelo di Hohenstein
Il Teatro dell'Opera di Roma ha portato in scena il primo allestimento in assoluto di Tosca, quello che volle Giacomo Puccini nel 1900 e che rappresenta la memoria storica del Teatro Costanzi: dalla prima del primo marzo fino al 12, con ripresa a giugno per altre tre recite fuori abbonamento, le scene straordinarie dipinte da Adolf Hohenstein, e ricostruite da Carlo Savi, hanno accolto il pubblico insieme ai bozzetti originali delle scene e dei costumi in mostra nel foyer del Costanzi grazie al lavoro dell'Archivio Storico del teatro.
L'allestimento segue le indicazioni del Maestro, rinnovandosi con la regia di Alessandro Talevi al suo debutto a Roma, ed applaudito al Maggio Musicale lo scorso anno con L'amour des trois oranges di Prokofiev. Sul podio la bacchetta sicura di Donato Renzetti ha guidato l'Orchestra mentre il Coro viene diretto da Roberto Gabbiani ed il Coro di Voci Bianche da José Maria Sciutto. Un tris di cast eccezionale apre alla prossima primavera: il primo marzo la prima fino al 12 del mese, riprendendo a giugno.
Tosca è stata un’opera travagliata per la stesura, ma la cui incommensurabile beltà formale e di senso, rimane tuttora ineguagliata. Puccini vide l’opera di Sardou a Parigi con Sarah Bernardt, innamorandosene immediatamente. Il nucleo è originale, una storia che il libretto di Illica e Giacosa, supervisionato da Ricordi, ritrae nella sua essenzialità il primato della donna sull’uomo, la forza del suo amore fatto di volontà e desiderio illimitati, aldilà del sacrificio che condivide col suo amante. Un simbolo che pervade l’Ottocento con molte sue creature, dalla Bohème ancora pucciniana e libertina, al pudico e verdiano Rigoletto, lo stesso Tolstoj riconobbe la cantante Floria Tosca nella letteratura inglese come vicina a Jane Eyre di Charlotte Bronte. non solo donna amante ma cosciente del proprio valore e ribelle agli usi e costumi del tempo, una donna che poi Ibsen ritrasse con fortuna in Casa di bambola e La donna del mare. Una donna finalmente libera dal giogo dell’uomo e della società che cerca di decidere per essa l’oggetto d’amore.
Di fondo il personaggio abominevole e privo di scrupoli del Barone Scarpìa, facente parte di una vecchia nobiltà, nera e borghese che non concederà da subito il successo che l’opera meritava. L’ambientazione romana con le colonne di Sant’Andrea della Valle ripresa in diagonale da Hohenstein, danno un particolare spessore e lunghezza alla prospettiva, fin dietro al cancello della sagrestia, rendendo le quinte del Costanzi in tutta la loro bellezza, ed anche aldilà della loro profondità. Nel secondo atto domina Palazzo Farnese, la sala dove Scarpia conduce Tosca alla decisione finale ed estrema dell'omicidio per salvare le sue virtù e la vita al suo amante Cavaradossi. I dipinti dell'attuale Ambasciata di Francia sono riprodotti insieme agli affreschi con attenzione particolare ai toni dei colori, azzurrini e beige, e ben ritratti dai costumi di Anna Biagiotti, anch'essi sui modellini di Hohenstein, perfettamente intonati ai parterre su cui si muovono.
Il terzo atto, sulla terrazza di Castel Sant’Angelo, dominio papalino che di lì a poco vedrà trionfare l’ultimo imperatore di Francia, proietta la luce di un'alba prossima a venire in senso simbolico, che sarà invece la sconfitta di tutti i personaggi, destinati ad una tragica ed ingiusta sorte. Le luci delle stelle, il magnifico bis dell'aria “E lucean le stelle” di Stefano della Colla nel ruolo di Cavaradossi, ha avuto uno scroscio di applausi ben meritato, sullo sfondo di un castello che per i romani stende quel legame tra roma papalina e roma del popolo – in questo caso rivoluzionario di Angelotti e Cavaradossi – che li unisce in un perimetro d'antico fulgore sotto l'Angelo combattente.
L'ottima direzione di Donato Renzetti ha tessuto il canovaccio musicale dell'opera romana di Puccini, ricca di un'orchestrazione rifulgente di malinconie e canti tragici, a volte coprendo un po' le voci nel primo atto dell'opera, mentre nel secondo già si amalgamava meglio, facendo risaltare la voce potente del feroce Scarpia, interpretato da Roberto Frontali in ottima forma. Il Cavaradossi di Stefano La Colla, ci è risultato straordinario nel terzo atto come dicevamo, meno udibile nei precedenti, anche per la sovracitata “copertura” orchestrale. Oksana Dyka ci è parsa meno in forma del solito – notiamo in positivo in ogni caso l’Andante lento appassionato “Vissi d’arte“- , e poco coinvolgente anche nell'azione attoriale – il regista Talevi ci è sembrato più a suo agio al Maggio con Prokofiev lo scorso giugno che qui con Puccini, sicuramente migliore nella regia del terzo atto, in assoluto quello meglio riuscito in tutti i sensi -. William Corrò bravo nella parte di Angelotti e convincente e simpatica come richiede la parte del Sagrestano di Domenico Colaianni, ed anche Spoletta, ovvero Saverio Fiore. Ottimamente diretto il Coro da Gabbiani e Sciutto applaudito anche sul palcoscenico per il Coro delle Voci Bianche.
Tosca rimane, scorgendo tra le ombre dei suoi luoghi l'impronta di Hohenstein, un'opera appassionante per i romani e non solo, che hanno applaudito a lungo questa straordinaria “prima” della ripresa storica e lo stesso presagio che si diffonde tra le note struggenti, carica i luoghi pregni di storia di un'atmosfera malinconicamente sensuale che avvolge gli spettatori dall’inizio, destandoli dal torpore di un dramma così conosciuto eppure ogni volta straordinario, accogliendoli nelle braccia di un canto ineluttabile sotto lo stemma rivoluzionario ed alato di un Angelo.