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Teatro Verdi di Pisa. Le pulsazioni di Kremer con la sua Kremerata Baltica
Quando si prevede di ascoltare un concerto di Gidon Kremer la prima domanda che ci si pone non è “come” suonerà ma “cosa” suonerà. Ogni programma proposto dall'istrionico e vulcanico violinista lituano non è mai banale e, soprattutto, mai scontato e noioso. Se poi, come nel caso del concerto al Teatro Verdi di Pisa il 7 febbraio scorso la performance prevede non solo la sua presenza ma anche la “Kremerata Baltica”, raffinato e selezionatissimo ensemble strumentale da lui fondato nel 1997, il risultato è garantito: il concerto ha ottime probabilità di trasformarsi in evento.
Nel concerto pisano il programma ha previsto tre sezioni, la prima dedicata ad una composizione per violino e archi, la seconda ad una serie di trascrizioni di brani bachiani, la terza alla trascrizione per orchestra d'archi del quartetto op.131 di Beethoven.
Ha aperto il concerto il Concertino per Violino solo e archi op.42 di Mieczyslaw Weinberg, compositore ebreo polacco naturalizzato russo oggettivamente poco conosciuto ed eseguito in Italia, a fronte di una fama e considerazione notevole nell'est europeo, secondo alcuni pari a Shostakovich e Prokofiev. Encomiabile pertanto l'esecuzione del brano da parte di Kremer, ovviamente in questo caso solista. A parte le ovvie ammirate considerazioni sul suo modo di suonare e risolvere i problemi tecnici, da sottolineare come l'esecuzione abbia messo in evidenza le interessanti caratteristiche della scrittura dell'autore, specialmente nel secondo movimento, con un inconfondibile alone klezmer ed il terzo, con una scrittura che non poteva non far tornare alla mente Prokofiev, senza cadere però nella banale imitazione.
Dopo l'apertura dedicata ad una forma tutto sommato tradizionale, la Kremerata ha spalancato al pubblico le porte sull'affascinante mondo della trascrizione, in questa occasione dedicata all'altrettanto affascinante mondo bachiano, esecuzione che merita sicuramente una descrizione accurata per la bellezza dei brani eseguiti. Del resto un ensemble del genere, autentico team di solisti, è risultato ideale per l'esecuzione di questa serie di brani di autori slavi, di grande suggestione.
Il primo brano, “Dedication to Bach per violino e echo sounds”, con la presenza di un vibrafono che ha creato suggestivi effetti di risonanza al suono degli archi, ha subito trasportato il pubblico in una dimensione sonora inconsueta, seguita dalla trascrizione del Preludio e Fuga in re minore dal Clavicembalo ben Temperato nel quale, al caratteristico andamento ternario con quella sorta di “pulsazione circolare” tipicamente bachiana, è seguita una fuga nella quale comparivano a sorpresa effetti con archi sfregati ed armonici.
La Sarabanda della Partita BWV 830 ha visto esaltato il tipico andamento a scatti, quasi accentuando queste pulsazioni con armonie impreviste e procedendo per blocchi armonici. In conclusione, un omaggio alle variazioni Goldberg, nel quale, alla composta serenità bachiana venivano contrapposti tre intermezzi di Schoemberg, così vicino concettualmente nella costruzione formale ma così distante musicalmente, con un risultato sorprendente per l'orecchio dell'ascoltatore. Finale da pelle d'oca: dopo un breve tappeto sonoro che non lasciava intuire in cosa sfociasse, la diffusione del tema delle variazioni Goldberg, che tanto amiamo, rasserenante e mistico, nell'esecuzione di Glenn Gould, sul quale prima Kremer e poi tutti gli archi hanno sovrapposto essenziali armonie, in una sorta di devoto e rispettoso dialogo con il grande pianista in un omaggio collettivo al genio di Bach. D'accordo, la musica di Bach è assoluta e può essere eseguita in qualsiasi formazione, ma sentirla interpretata in questo modo, con quell'apparente facilità e disinvoltura, è privilegio solo dei grandi interpreti, e suscita entusiasmo prima e puro godimento intellettuale subito dopo.
Ha concluso il concerto la trascrizione del Quartetto op 131 di Beethoven nell'arrangiamento per orchestra d’archi di G.Kremer e V.Kissine. Come noto, gli ultimi quartetti beethoveniani furono accolti con molta perplessità e scarsa comprensione, bollati anzi da giudizi poco lusinghieri e quasi ironici riferiti all'impossibilità dell'autore di ascoltare quanto scritto e quindi non conformi ad uno stile adeguato all'epoca ed incapace di correzioni. In realtà Beethoven era semplicemente andato molto avanti con l'orologio della storia della musica, proprio in virtù del fatto di essere, suo malgrado, costretto ad ascoltare solo la musica che scaturiva dal suo cervello senza nessuna influenza del modo esterno, raggiungendo risultati straordinari e fuori dal tempo. Anche in questo caso la trascrizione eseguita dalla Kremerata, con i solisti Kremer e Bidva-violini, Grishin-viola e Dirvanauskaite- violoncello ha evidenziato quanto la scrittura originale, slegata dalla pur perfetta forma del quartetto, potesse ancor di più esprimersi musicalmente, paradossalmente dimostrando, come se da un lato sarebbe impossibile trascrivere una sinfonia di Beethoven per quartetto, il processo inverso sveli quanto fosse in qualche modo “compresso” e pensato dall'autore un intero universo di idee musicali. Affascinante pertanto nella trascrizione il passaggio dalle sezioni con la scrittura originale per quartetto a quelle per archi, in una specie di “liberazione” da catene troppo strette delle geniali intuizioni musicali dell'autore, che si amplificavano e si manifestavano prepotentemente nella loro bellezza.
Grande entusiasmo ed approvazione del pubblico, come del resto accade ad ogni concerto di Kremer, che ha concesso due bis concludendo con una sognante trascrizione di Liebesleid di Kreisler, spargendo nel teatro come fosse un dolce profumo la malinconia e la magia della musica della mitteleuropa...in attesa di essere nuovamente spettatori di chissà quale nuovo intrigante programma.