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Torino MITO 2012. Il vibrante cordone orientale
A Torino ogni anno la stagione autunnale apre alla musica e al teatro con MITO settembre in musica: quest'anno uno dei percorsi più suggestivi era quello legato all'Est del mondo ed in tre tappe: "Adesso Odessa" al Conservatorio G.Verdi; "Una notte balinese - Omaggio ad Artaud" al Teatro Regio ed al MAO – Museo d’Arte Orientale la musica dell'Opera Kunqu. Suoni antichi dalla Cina hanno finito per comporre questo straordinario excursus culturale.
Adesso Odessa
La prima tappa è stato lo spettacolo "Adesso Odessa" al Conservatorio G.Verdi. Mi sono idealmente imbarcata verso il porto di Odessa, per scoprire le nostalgiche e vibranti note del violino del Maestro Pavel Vernikov. A farmi da cicerone, attraverso le strade polverose di questa città portuale ucraina, popolata dai fantasmi dei compagni stalinisti, di ebrei erranti e di briganti, l'istrionico Moni Ovadia. L'intero spettacolo è stato un incalzante susseguirsi di storielle yiddish e di splendide sonate di Shostakovich eseguite più che magistralmente da Vernikov, da sua moglie Svetlana Makarova, anch'essa violinista e dalo straordinario Pavel Kachnov al pianoforte.
Ovadia ha preso per mano la platea e ci ha portato, col suo fare sarcastico e disarmante, attraverso i fumosi vicoli del porto odessita, presentandoci i temibili briganti ebrei che terrorizzavano la città ai tempi di Stalin. Attraverso le canzoni della mala ebraica ci ha narrato le gesta del "Re" Benja Krik, temibile brigante, e dei suoi scagnozzi.
In tutto lo spettacolo si avvertiva il profodo amore per questa città di mare, celebrata e cantata da molti suoi "figli", come ad esempio il grande Isaak Babel, di cui Ovadia ha letto alcuni pezzi descrittivi di Mamma Odessa tratti da "I racconti di Odessa". Con il suo umorismo, i suoi occhi brillanti, la sua incontenibile voglia di ridere di tutto e di tutti, Ovadia riesce a far dimenticare quanto il suo popolo abbia sofferto nell'ultimo secolo appena trascorso. Non parla mai del periodo buio, ma sempre del forte animo ebraico, della tendenza a dissacrare tutto e della onnipresente voglia di ridere e non prendersi mai sul serio.
Lo spettacolo è terminato con un interminabile applauso e ben due bis. Per una sola notte, il serio e austero palco del Conservatorio è stato verosimilmente trasformato in una fumosa osteria ucraina di dubbia fama, similmente ai ritrovi veri nel porto della città sul Mar Nero.
"Una notte balinese - Omaggio ad Artaud"
La seconda tappa del mio viaggio verso l'Est, inteso come archetipo e non come mero punto geografico, mi ha portato a Bali. Il Teatro Regio ha fatto omaggio al visionario e futurista Antonin Artaud, regalando al pubblico torinese una serata balinese. Sul palco è stato allestito uno splendido Gamelan, ovvero l'orchestra tradizionale balinese - giavanese, composta da diversi tipi di strumenti a percussione, accordati con minime differenze di semitoni, per creare un effetto acustico eccezionale.
La prima parte dello spettacolo era incentrato sui concetti cari ad Artaud, come al sacralità del gesto cerimoniale. I ballerini balinesi ritengono che la danza sia l'unico modo per entrare in comunione con gli dei e quindi, essendo una forma di preghiera prima che uno spettacolo, eseguono ogni singolo gesto con precisione infinita. Ogni gesto deve essere infatti studiato e ripetuto per migliaia di volte prima che sia degno degli dei. Davanti alla bravura di questi interpreti, l'attenzione si perde, gli occhi vagano dai costumi elaborati, alle espressioni intense degli attori, il tutto alla ricerca di un significato. E qui entra in gioco il pensiero artaudiano. Non sono più attori, ma archetipi, allegorie di qualcosa di nettamente superiore. Il Gesto prende vita, non è più solo movimento, ma ascesa alla divinità.
La seconda parte dello spettacolo è stata decisamente meno evocativa, dal momento che era per lo più recitata in balinese. L'organizzazione non aveva previsto un foglio che illustrasse quanto accadeva sul palco, quindi gli spettatori hanno potuto solo godere dei costumi eccezionali, antropomorfi e zoomorfi, senza fruire intellegibilmente della rappresentazione. Probabilmente abbiamo assistito all'eterna lotta tra Hanuman, con il suo esercito di scimmie colorate, contro il demone Rāvaṇa, ma lo ipotizzo solo perché al termine della serata ho cercato su internet i nomi delle maschere balinesi. Insomma, sarebbe stato proprio necessario aiutare gli astanti a capire quello che stavano vedendo.
Musica dell' Opera Kunqu
La terza e ultima tappa del mio viaggio è stata la Cina antica, quella del XVI secolo, popolata da grandi pensatori e scrittori. L'Opera Kunqu rappresenta la più alta forma di musica operistica mai avuta in Cina ed è tutt'ora quasi del tutto perduta. In Cina è raro ascoltarla, soprattutto in chiave solo strumentale com'è stata presentata presso il Museo d'Arte Orientale.
Lingling Yu, suonatrice di Pi'pa (liuto cinese) e Ming Zeng flautista di eccellente bravura, ci hanno donato una serata splendida e ricca di suggestioni, riproponendo frammenti di opere tradizionali. Lingling ci ha deliziosamente introdotto ad ogni brano, non solo raccontando la trama della storia descritta dalle note, ma anche guidandoci alle suggestioni che ogni nota particolare doveva donarci. Vista la diversità sostanziale della musica orientale rispetto all'opera occidentale, il nostro femmineo Virgilio ci ha preso per mano, sottolineando come i vibrati fossero più adatti a descrivere le nuvole e i pizzicati invece dessero l'idea della gioia. Ci ha fatto osservare le diverse profondità di suono che un flauto in bambù può produrre e quanto il suo suono si avvicini alla voce umana.
Durante l'esecuzione, chiudendo gli occhi, era possibile avvertire l'odore della rugiada sui verdi germogli di the, il frusciare del bambù sfiorato dal vento o sentire le risate argentine delle onde del Fiume Giallo. Insomma, è stata una serata evocativa che ci ha lasciato nel cuore la tipica sensazione di pace data da una profonda meditazione.
Al termine del mio viaggio, come Marco Polo, ho sentito la necessità di descrivere i suoni e i sapori che ho assaporato, con la certezza che il prossimo anno potrò partire per altre località, per altri paesi, per altre esperienze, senza mai abbandonare realmente Torino.