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Torino Teatro Regio. Inaugura in religio con La Juive di Halévy
Il pubblico ha decretato un trionfale successo a La Juive, opera in cinque atti di Fromental Halévy (1799 – 1862) su libretto di Eugène Scribe (1791 - 1861), rappresentata il 21 settembre scorso, per l’inaugurazione della stagione, che voleva anche celebrare i cinquant'anni dalla ricostruzione del Regio, dopo la distruzione avvenuta nel 1936 a causa di un incendio.
La Juive è stata rappresentata in lingua originale e nell’edizione critica di Karl Leich - Galland, unico precedente in Italia, a Venezia nel 2005, una scelta coraggiosa, ma premiata dal pubblico, del sovrintendente Mathieu Jouvin e del direttore artistico Cristiano Sandri per l’oneroso impegno nella messa in scena di questo grand-opera, raramente in cartellone nelle stagioni operistiche. La Juive è un grand – opéra, una evoluzione della tragédie lyrique creata da Lully, di cui aveva mantenuto la grandiosità scenografica e i balletti e a cui si aggiunse l’ambientazione storica. Dal suo debutto il 22 febbraio 1835 all’Académie Royale de Musique (Opéra) di Parigi fu stabilmente in cartellone per decenni, poi dopo gli anni trenta del secolo scorso non fu più rappresentata e solo sul finire del ‘900 si cominciò a riproporla.
La Juive merita di essere riproposta per la sua notevole qualità musicale che emerge fin dall'Ouverture in cui si notano le influenze di Luigi Cherubini (1760 – 1842), di cui Halevy fu l’allievo prediletto e di Gioacchino Rossini (1792 – 1868). Nella conferenza di presentazione il direttore, Daniel Oren, ha affermato che l’influenza della musica e della scrittura vocale italiana è palese, del resto Halevy le conosceva bene anche per l’incarico di maestro al cembalo ricoperto al Théâtre des Italiens. È notevole la sua originale eleganza della scrittura musicale nel delineare le situazioni, per fare alcuni esempi, dall’apertura del primo atto con l’organo e il coro a cappella, alla scena della preghiera di Pesach (pasqua ebraica), in cui, come ha fatto notare Oren, il compositore non usa i temi ebraici ma riesce a ricrearne la profondità e l’intensità.
Halévy usò magistralmente la grande e ottima orchestra stabile dell’Opéra, con soluzioni originali armoniche e nell'uso della strumentazione, come i due corni e pizzicati di violini nella romance di Rachel “Il va venir!” (Egli deve venire!) o i due corni inglesi nell’aria celeberrima di Éléazar “Rachel, quand du Seigneur la grâce tutélaire” (Rachele quando la grazia tutelare di Dio). Per questo fu ammirato da Wagner e Berlioz. Il maestro Oren ha diretto più volte questa partitura e ne ha dato una esecuzione di straordinaria intensità, calibrando attentamente l’orchestra per non coprire le voci quando ci sono i fortissimi, esaltando le sfumature timbriche che pennellano i variegati stati d’animo dei personaggi e le diverse atmosfere, attento ai ritmi e alle dinamiche complesse della partitura. Daniel Oren ha guidato con grande autorevolezza i bravi musicisti dell’Orchestra del Regio, il Coro, che ha una parte importante, ben preparato da Ulisse Trabacchin, e i cantanti, gli applausi a inizio delle parti dell’opera e l’ovazione che lo ha accolto alla fine sono stati più che meritati.
Il libretto de La Juive è ambientato da Scribe all’apertura del Concilio di Costanza (1414-1418), Éléazar e sua figlia Rachel sono arrestati perché l’ebreo, che è un gioielliere, lavora in un giorno di festa, l’intervento del cardinale Brogni li salva. A Roma Brogni, ancora laico aveva perduto in un incendio moglie e figlia, in seguito a questa tragedia aveva preso i voti, però aveva anche esiliato Éléazar, che nutre un odio profondo per i Cristiani e in particolare per il cardinale, di cui si vuole vendicare per cui non accetta di perdonare Brogni quando glielo chiede. Poi Rachel si incontra con l’amato Samuel, che altri non è che il principe Léopold, vincitore degli Hussiti e promesso sposo di Eudoxie, nipote dell’imperatore Sigismondo, sarà lui a salvare padre e figlia nuovamente arrestati perché trovati sulla soglia della chiesa.
Il secondo atto si apre con la celebrazione di Pesach a casa di Éléazar a cui partecipano anche altri ebrei e il falso Samuel, a interromperla è l’arrivo di Eudoxie che commissiona una collana preziosa per il suo promesso sposo all’ebreo. Il falso Samuel, che si è nascosto, chiede un appuntamento notturno a Rachel, che accetta ma è anche insospettita dal suo comportamento. In questa occasione Léopold le dice di essere cristiano e chiede a Rachel di fuggire con lui, perché l’unione di un cristiano e un’ebrea ha come pena la morte. Vengono scoperti da Éléazar che vuole uccidere Léopold quando apprende che è cristiano, ma poi si commuove perché Rachel è innamorata e dà il suo consenso al matrimonio, ma Léopold rifiuta e dice fuggendo che è l’ultimo addio.
Rachel lo segue al palazzo imperiale e con uno stratagemma si fa accogliere da Eudoxie fra le serventi, quando il padre consegna la collana e la principessa la dona a Léopold lo smaschera causando l’arresto di tutti e tre. In carcere Eudoxie prega Rachel di mentire per salvare Léopold e lei alla fine accetta perché lo ama, arriva poi Brogni che sente per lei un’intensa pietà. Brogni poi incontra Éléazar per indurlo ad abiurare e a convincere in questo senso la figlia, ma l’ebreo rifiuta e rivela al cardinale che un ebreo salvò sua figlia dalle fiamme. Brogni, inginocchiandosi, lo prega di dirgli dove è, ma ottiene solo uno sdegnoso rifiuto. Éléazar rimasto solo è combattuto, alla fine prevale l’amore paterno e decide di salvare Rachel, ma le grida di odio verso gli ebrei gli fanno cambiare proposito. Davanti all’orribile supplizio di essere bolliti vivi, Éléazar, ancora combattuto, chiede a Rachel se vuole abiurare, ma lei rifiuta e va al supplizio, a Brogni che lo implora di rivelare dove è sua figlia, nel momento in cui la giovane viene gettata nel pentolone dice:”La voilà”(È là).
In questo libretto emerge prepotentemente il tema dell’antisemitismo, è singolare che Scribe contemporaneamente avesse scritto anche quello de Les Huguenots (Gli Ugonotti) per Meyerbeer, che ha come sfondo storico l’uso politico della ,religione nella contrapposizione tra cattolici e ugonotti e termina con l’inizio del massacro della notte di san Bartolomeo (23 e il 24 agosto 1572). Potrebbe sembrare strano ma va contestualizzato; nella storia francese l’uso politico della religione si è ripetuto in modo inquietante e quindi è un tema molto sentito e divisivo in Francia. I massacri più terribili furono quelli contro gli Albigesi, gli Ugonotti e quelli avvenuti in Vandea nel 1793. In questo contesto lo scontro tra il laicismo e la destra conservatrice “vandeana” era attuale allora come oggi.
Nella stesura del libretto ci furono interventi di Halévy e di Adolphe Nourrit, allora primo tenore dell’Opéra che volle per sé la parte di Éléazar, intuendo che il conflitto tra l’intenso amore paterno e la fedeltà alla sua fede, che lo porta a odiare i cristiani che lo hanno perseguitato, lo rende il protagonista dell’opera. Le parole di Lucrezio dal De rerum natura “Tantum religio potuit suadere malorum” che dominano sul fondo della scena non rendono giustizia a questo umanissimo personaggio perché si riferiscono ad Agamennone, che non esitò a sacrificare la figlia Ifigenia alla sua ambizione di essere il comandante dell’esercito greco nella guerre contro Troia.
Nulla di tutto ciò c’è nelle motivazioni di Éléazar, dobbiamo ricordare che erano già passati più di mille anni da quando l’editto (392 d.C.) dell’imperatore Teodosio proclamò il cristianesimo l’unica religione ammessa nell’impero. Cominciarono così le persecuzioni degli ebrei, iniziando a precludere loro le varie professioni, che li ridussero infine a praticare solo il commercio e a prestare denaro, per questo furono usati troppo spesso come “capro espiatorio” nei momenti di crisi. Bisogna ricordare che Halévy, pur sentendosi profondamente francese e laico, era ebreo e suo padre era stato costretto dalla legge napoleonica, che proibiva qualunque riferimento alle tribù di Israele, a cambiare il cognome da Levi in Halévy.
Il lacerante conflitto interiore ben realizzato dal compositore fa di Éléazar una grande figura tragica, è difficile non pensare allo Shylock scespiriano, il ruolo necessita un eccelso interprete e Gregory Kunde, al suo debutto come Éléazar, lo è stato. Nourrit, che collaborò anche al libretto, tra cui anche ai versi dell’aria più famosa “Rachel, quand du Seigneur la grâce tutélaire” era un tenore contraltino, che aveva interpretato le parti di primo tenore nei rifacimenti francesi delle opere italiane di Rossini, ne Le comte Ory e nel Guillame Tell, composte in Francia dal Pesarese.
Kunde nella sua sorprendente evoluzione vocale da tenore contraltino rossiniano a tenore drammatico, padroneggia perfettamente l’ardua tecnica belcantistica e, nonostante sia prossimo ai settant’anni, conserva una stupefacente bellezza timbrica e freschezza vocale nell’emissione limpida del suono, nei pianissimo come nella luminosità degli acuti richiesti nell’aria citata e nella successiva cabaletta che arriva al Do. Possiede inoltre un elegante fraseggio e riesce a scolpire ogni sillaba in senso teatrale perché è anche uno straordinario e intelligente attore. Si nota subito già dai recitativi, come negli ariosi e nel canto, dalla intensità della preghiera, allo strazio paterno col pianto nella voce in “Rachel, quand du Seigneur la grâce tutélaire”, al gelo nell’espressione della vendetta, fino al violenza del rancore, gestito porgendo il canto con raffinata eleganza. Kunde giganteggia come attore per la sua profonda umanità, che infonde in questo personaggio, inquietante, ma profondamente umano, sì da suscitare un’intensa commozione che si è manifestata nell’incandescente esplosione del pubblico protrattasi a lungo alla fine dell’aria citata.
Mariangela Sicilia, anche lei al debutto, è stata una straordinaria Rachel, questa parte fu scritta per Marie-Cornélie Falcon che aveva una voce particolare, di notevole estensione che ha dato il nome a questa tipologia vocale di soprano drammatico, soprano Falcon. La Sicilia ha una splendida e limpida voce di soprano lirico, unita a una ottima padronanza tecnica, che ha sfruttato a meraviglia nel delineare il ruolo, ricordiam l’intensa romanza “Il va venir!” acclamata a scena aperta. Abile nell’usare la voce in senso espressivo dagli eterei pianissimo agli accenti appassionati, ha manifestato ancora una volta le sue doti attoriali dando vita all’intenso amore per Leopold e a quello non meno profondo per il padre adottivo, dando senso alla disperazione, alla paura e alla dignità con cui Rachel affronta il suo destino. Nel duetto con Eudoxie, soprano di agilità, la somiglianza timbrica non differenzia i due soprani come era nelle intenzioni di Halévy ma comunque Mariangela Sicilia esce vincitrice in questa ardua prova vocale e drammatica.
Martina Russomanno, al debutto nel ruolo, è dotata di una emissione vocale limpida e sicura, unita a una buona tecnica per gestire le insidie della coloratura che caratterizza il personaggio, è stata a suo agio anche teatralmente nella parte di Eudoxie, dando prova di un buon temperamento nel drammatico duetto con Rachel. Al suo debutto come Léopold, superficiale, mentitore e vigliacco, Ioan Hotea, ha mostrato un bel timbro di tenore contraltino e una discreta tecnica, che sfrutta con spavalda sicurezza, ha inoltre reso bene il personaggio con una buona presenza scenica.
Riccardo Zanellato, invece, è un veterano nel ruolo di Brogni, con la sua bronzea voce di basso profondo padroneggia con grande intelligenza e autorevolezza tutta la varietà emotiva del personaggio, cosa che gli permette di essere un notevole antagonista negli scontri con Éléazar, la parte è breve ma fondamentale, è stato applaudito a scena aperta per la sua interpretazione di "Si la rigeur et la vengeance" (Se il rigore e la vendetta). Hanno fornito una buona prova teatrale e vocale Gordon Bintner, come Ruggiero, e Daniele Terenzi, come Albert, bene un araldo di Rocco Lia, un uomo del popolo di Lorenzo Battagion e un altro uomo del popolo di Roberto Calamo.
Stefano Poda è stato autore di regia, scene, costumi, coreografie e luci, ha esteso lo spazio scenico al massimo utilizzando fino in fondo il palcoscenico, creando uno spazio che evocava una cattedrale cupa, uno spazio oppressivo, nonostante la grandezza. Sul fondo oltre alla scritta, precedentemente citata, sono state proiettate immagini di corpi crocifissi con una grande croce luminosa che dominava lo spazio. Per evidenziare l’allontanamento della Chiesa dal messaggio evangelico, Poda ha sovrapposto in parallelo la vicenda della parabola terrena di Gesù. Ha così voluto citare il ritorno di Cristo da I fratelli Karamazov di Dostoewskij, argomento affrontato già in precedenza nella messa in scena di Leggenda di Alessandro Solbiati, come ha dichiarato nell’intervista presente nel programma e nella conferenza di presentazione. La sua creazione dello spettacolo ha puntato dunque su una narrazione simbolica, in cui l’affastellarsi di simboli, usando i ponti mobili indeboliva la forza di ogni simbolo, alcuni erano anche poco visibili. Anche i costumi sono stati coerentemente simbolici, anche sfarzosi e belli, anche se non abbiamo capito il simbolismo del costume dark e sexy di Eudoxie, certo stava molto bene addosso a Martina Russomanno, che ha il fisico adatto. Non sempre convincenti le luci e le coreografie ben eseguite dai bravi mimi tersicorei.
Lo spettacolo ha riscosso un grande successo con ripetute, lunghe e incandescenti acclamazioni a tutti gli interpreti e qualche isolata contestazione a Stefano Poda.