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Vivaldi e i misteri di Venezia. Un noir nel Settecento
Un’atmosfera carica di mistero avvolge la Venezia degli anni ’30 del Settecento, una città in cui tutto sembra ammantato da una coltre di nebbia difficile da squarciare, ma dalla quale, allo stesso tempo, dalle pietre stesse e dai marmi prorompono suoni penetranti che s’impongono all’ascolto. Sono queste le sensazioni che si avvertono addentrandosi nella lettura del testo Vivaldi e l’angelo d’avorio del musicologo Mario Marcarini, edito recentemente dalla casa editrice Skira.
Sin dalle prime pagine si percepisce la peculiarità di un progetto editoriale fuori dal comune, che fonde la scrittura con la musica, la parola con l’immagine, creando un connubio fortemente inestricabile. Il libro, infatti, nasce come corollario all’iniziativa musicale dell’oboista Simone Toni, che ha voluto riproporre le musiche di Vivaldi con l’oboe, recuperando, in tal modo, le sonorità degli strumenti musicali utilizzati dal compositore veneziano. E dalla particolarità dell’oboe di Vivaldi, che era d’avorio e recava l’incisione di un angelo, si snoda la scrittura di Marcarini, il quale carica quest’immagine di significati esoterici e la connette con presunte accuse di stregoneria mosse al Prete Rosso. A dare maggiore spessore a tutto ciò, a sostanziare la parola stessa, facendola risaltare nella sua evidenza icastica, ci sono le illustrazioni in bianco e in nero di Barnaba Fornasetti, curatore di tutto il corredo grafico dell’edizione.
Intanto si sviluppa una trama narrativa sospesa tra una verità labile e sfuggente e una finzione che prova a far luce su quei misteri lasciati insoluti dalla musicologia sulla misteriosa vita del musicista. Ed ecco che si prova a rincorrere il Prete Rosso fuggito misteriosamente a Vienna, nel vano tentativo di cogliere i nessi e le cause più profonde dell’abbandono immotivato della sua città. La verità, tuttavia, rimane ammantata quasi come fosse costretta a ri-velarsi nel momento stesso in cui si svela, secondo lo stile tipico di Venezia come dimostra anche l’antica leggenda delle Dodici Vergini, legata al suo passato più remoto, quando si vuole assolutamente oscurare un’onta
E questo accade perché in Laguna la Verità tende a divenire miope, o quantomeno a distrarsi, forse per l’effetto del rifrangersi del sole nelle acque e nell’abbacinante candore dei marmi. Questi, infatti, sono appunto considerati metafora di inganno e di intimi segreti, che confondono anziché rassicurare. Ma la verità non si offusca mai del tutto, supinamente o passivamente; tenta piuttosto di reclamare la sua stessa esistenza, come dimostra ancora una volta la leggenda delle Dodici Vergini, dove l’onta insabbiata ritorna a rivendicare se stessa.
Il filo conduttore della scrittura di Marcarini rimane, pertanto, Venezia e il suo particolare rapporto con la musica, in evoluzione proprio in quegli anni del Settecento, quando cominciavano a farsi sentire le influenze dei musicisti campani. Quella descritta è una città dove si agitava una fitta trama di piccole invidie, dove si rincorrevano denunce anonime vergate con simboli misteriosi, segno tangibile degli inspiegabili intrighi e delle malvagie congiure che incombevano sulla Serenissima.
Vivaldi, nel frattempo, rimane un’entità astratta, impalpabile che non si materializza mai, ma che contemporaneamente aleggia su tutto come personalità profondamente oscura e malinconica, con tratti noir. E anche senza palesarsi mai in maniera evidente, la sua immanenza si percepisce attraverso la sua stessa musica che continua a vibrare negli angoli della città, consentendo, in tal modo, alla Verità di non celarsi ineluttabilmente.