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Yann Tiersen. Un menestrello bretone a Villa Ada
L’11 luglio 2011 lo scenario del laghetto di Villa Ada, con la sua inconfondibile atmosfera notturna, tra una gradevole frescura e un’illuminazione dim light (penombra), ha visto il ritorno a Roma di Yann Tiersen, nell’ambito della manifestazione Roma incontra il mondo.
Il compositore bretone, la cui popolarità in Francia e in Italia è dovuta soprattutto alla colonna sonora di film come Il favoloso mondo di Amélie (2001) e Good Bye Lenin (2003), aveva già attratto numerosi fans l’anno passato nella stessa venue, dando luogo ad un imprevisto sold-out. E anche quest’anno il pubblico è accorso in massa, riempiendo ben presto Villa Ada per assistere a un concerto che non ha deluso le aspettative, nonostante la durata non abbia superato l’ora e un quarto, bis compresi.
Tiersen ha sfoderato gran parte del suo repertorio, fatto non solo di soundtracks per film. Del resto, cominciò la sua carriera suonando in un gruppo post-punk, per poi abbandonare gradualmente le canzoni di pochi minuti, arrivando a diventare un raffinato polistrumentista ed evolvendosi verso un’attività compositiva vera e propria, senza però abbandonare del tutto la scrittura di pop songs, ma con un taglio diverso, fondendo la tradizione della chanson francese, intrisa di sottile malinconia, con moduli compositivi di tipo classicheggiante, quasi sinfonici e innervati dalle strutture della musica minimalista à la Michael Nyman: particolare, quest'ultimo, che risalta dall'uso di sequenze ripetive con leggere variazioni.
Il quarantunenne musicista francese non è comunque immune da altre influenze, che vanno da Erik Satie a Nino Rota, dai King Crimson alla Penguin Cafe Orchestra, dai Joy Division agli Stooges, da Pascal Comelade a Philip Glass. Né vanno trascurate collaborazioni come quelle con Stuart A. Staples, Tindersticks ed Elizabeth Fraser, già membro dei Cocteau Twins, che hanno partecipato alle sessions dell’album Les Retrouvailles, del 2005.
Tutti influssi che anche in questo concerto ha saputo mettere a frutto, al di là delle consuete e routiniere abitudini esecutive, trasformando la performance in un’esperienza in cui anche gli altri componenti del gruppo hanno contribuito efficacemente al quadro d’insieme. In qualche modo Tiersen ha rinunciato parzialmente al suo individualismo che ha fatto sì che in altri casi si sia presentato come una sorta di one-man orchestra (arrivando a servirsi anche delle onde Martenot).
Qui ha suonato la chitarra, il violino, il mandolino e alcuni strumenti elettronici, oltre a cantare in alcuni brani, mentre Robin Alexander si è efficacemente disimpegnato con la chitarra e i cori; gli altri musicisti, ossia Lionel Laquerrière alle tastiere, ukulele, mellotron, Glockenspiel (il metallofono) e voce, Steph Bouvier al basso, clarinetto e cori, e Dave Collingwood alla batteria, hanno completato l’ensemble esibendo una notevole perizia strumentale.
Tra i brani eseguiti, “Sur le fil” ha impressionato per l’assolo di violino quasi tzigano e frenetico, ma con chiare reminiscenze classiche, in cui sembrava di sentire una eco degli ultimi quartetti di Beethoven intrecciati con le sonorità di Michael Nyman.
Molti dei brani provenivano dal suo ultimo disco, Dust Lane (del 2010, con un’incantevole copertina, dove campeggia la mitica Alfa Romeo Giulia 1300 degli anni ’60 in un bosco dai rosseggianti colori autunnali): di spicco l’omonimo brano, tenebroso e romantico, e “Chapter 19” (forse idealmente connessa con la leggendaria “Chapter 24” dei Pink Floyd di Syd Barrett, con i suoi riferimenti a I Ching). “Another Shore” è invece più tendente al post rock, con improvvise e controllate esplosioni strumentali dominate dalle chitarre e scandite dalle tastiere di Laquerrière (mentre Tiersen, pur aduso al piano e ai sintetizzatori, questa volta si è tenuto lontano dai tasti di ebano ed avorio). Simile è anche “Ashes”, dove però violino e tastiere fanno la parte del leone, con un coro finale un po’ stucchevole.
Con “Dark Stuff” si è andati verso suoni più dissonanti, come anche con “Palestine”. Si è virato più in atmosfere da colonna sonora con “Amy” e con “Fuck You”, brano di chiusura di Dust Lane, dal titolo evidentemente provocatorio. Anche “Le Quartier”, cominciato con una serie di distorsioni, termina poi con un’atmosfera più calma, quasi stemperandosi verso la fine.
Il finale, con un solo bis, ha visto l’esecuzione che tutto il pubblico attendeva trepidante, ossia “La valse d’Amélie”, riarrangiata per violino e sintetizzatore, con accenti rock e tonalità darkeggianti ed elettroniche.
In definitiva un concerto che ha soddisfatto senza dubbio le aspettative dei fans, ma si è anche caratterizzato per una certa uniformità, senza raggiungere grandi vertici emotivi.