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Le Baccanti. Il divino nell'Ombra
Al Teatro Orologio di Roma in Sala Orfeo fino al 30 gennaio 2011, Le Baccanti di Euripide (in greco antico Βάκχαι / Bàkchaiper scritto tra il 407 ed il 406 a.C.) la regia di Erika Manni e la coreografia di Francesca Baragli, sono presentate in un’avveniristica scenografia à trois couleurs di Giulia Ciucciovino, coadiuvata dai costumi rosso-neri-bianchi di Mariella D’Amico e Verunska Nanni.
Cerchi rossi da hula-hop che stazionano appesi sulle teste dei protagonisti di una tragedia annunciata ma mai creduta fino in fondo: i tre quarti dello spettacolo sono un napoletaneggiante coacervo di battute al vetriolo, ciniche, che intessono il canovaccio tebano di lazzi grotteschi aprendo sul carpe diem dionisiaco: “Beato è l’uomo che vive la sua felicità giorno per giorno”.
Dalla parte di Penteo, interpretato da Edoardo Ciufoletti, non sembra stare nessuno dei protagonisti, tantomeno la madre Agave, impersonata da Vania Lai, e che avrà il tragico epilogo del gioco colla testa del figlio.
Nel boudoir rosso di un Dioniso en travesti del guappo Alessandro Epifani, si prepara mestamente la vendetta di un dio non riconosciuto nella sua entità divina e per questo offeso ed oltraggiato dalla popolazione tebana, non come figlio di Zeus e Semele, ma come uomo qualunque, un trasformista che non aspetterà altro che far divinare la sua identità attraverso un immane spargimento di uno dei due liquidi rossi a lui associati. In vino veritas si direbbe di lui, che ha trascinato le donne tebane alla lussuria, sul monte Citerone, in folli baccanali insieme alle sue dimenanti ed isteriche menadi, sue devote nei Misteri.
Le tre ragazze delle coreografia della Baragli, vestite di una tunichetta bianca tra Chanel e Xanadu (o qualsiasi altro film di fantascienza anni ’60-’70) sono simpatiche ma danno l’idea della ferocia delle Baccanti solo alla fine, durante e dopo il sacrificio di Penteo che sbranano insieme alla madre. Dopo, come le tre streghe del Macbeth, difendono Dioniso nell’ombra, a cerchio, mentre Agave, con l’aiuto compassionevole di Cadmo – il bravissimo Giancarlo Porcari -, dispiega il suo dolore alla scoperta testé rimossa insieme alle sue sorelle.
Il divino nell’ombra, in continua trasformazione, che costringerà Penteo a travestirsi da donna e quindi a ridicolizzarsi, unico nella tragedia greca, è più che pericoloso: è uno straniero in terra straniera, come lo vogliono far sentire all’inizio, ovvero “estraneo” (cfr. radice etimologica comune delle due parole) che si ribella e si vendica, inebriando fino a render dimentichi di tutto, finanche dei propri cari.