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Edipo Re. Vantini ed il rituale della rimozione
Con il metodo Lee Strasberg dell’Actor’s Studio di New York alle spalle e membro a vita del Duse Studio, Alessandro Vantini ci conduce nei meandri della “tragedia” per antonomasia, l’Edipo Re di Sofocle (in lingua originale Οιδίπoυς τύραννoς, Oidípus týrannos, 430-420 a. C.). Al Teatro Sala Uno dall’8 al 29 gennaio 2011 con doppie repliche giornaliere – ed in scena anche con Antigone nello stesso teatro dal 10 al 30 gennaio -, Vantini come Edipo, ed alla regia, ha scelto di presentarci per la rassegna Donne e violenza, un vero tour de force teatrale.
Assomiglia molto a Franco Nero, Vantini, la stessa barba ed i capelli biondi che scorrono liberi ad incorniciare un viso d’attore tutto circonfuso della sua essenza recitativa: lo stesso impegno sicuramente, ed una voce che sarebbe perfetta per il doppiaggio (non abbiamo notizie in merito). Gli occhi, protagonisti della tragedia in quanto proposizione stessa della rimozione, dell’ellissi edipica, azzurri o quasi ghiaccio, trasparenti come il riflesso che non ha saputo riconoscere: quello della verità degli specchi di Tiresia (Franco Heera Carola), l’Oracolo cieco con appesi agli occhi due lastre riproducenti l’immagine che vede, la cosa in sé senza il velo di Maya, che Edipo nasconde a sé stesso.
Harold Bloom scrisse, - in seno ad una delle sue massime e conglobanti opere di strutturazione della letteratura, il Canone occidentale (trad. mia, pp. 345 e 349, tit. orig.: The Western Canon, Riverhead Books, New York, 1994, pubblicato in Italia da Bompiani con il titolo omonimo di Il canone occidentale), ovvero tutte le opere che lo formano, antesignane od odierne rappresentanti della letteratura tout court,- a proposito della psicoanalisi cui si fa risalire l’esplicitazione del complesso di Edipo da parte di Sigmund Freud:
“Per molti anni insegnai che Freud essenzialmente tradusse Shakespeare in prosa: la concezione freudiana di psicologia umana derivò, non del tutto inconsciamente, dalla sua lettura dei drammi (di Shakespeare, N.d.C.). Il fondatore della psicoanalisi lesse Shakespeare in inglese durante tutta la sua vita e riconobbe che Shakespeare era il più grande degli scrittori. Shakespeare perseguita Freud come perseguita la maggior parte di noi. (…) Shakespeare è l’inventore della psicoanalisi, Freud il suo codificatore.”
Il riferimento diretto è ad Amleto (The Tragical History of Hamlet, Prince of Denmark, scritto da Shakespeare tra 1600 e 1602, qui il testo completo in trad.ita), che però Bloom afferma, meno vicino di quanto non sia alla concezione di complesso edipico (identificazione col padre e desiderio per la madre) elaborata da Sigmund Freud. Difatti Amleto, e su questo non v’è dubbio, non mise in atto il complesso di Edipo, se ne salvò colla paralisi dovuta – secondo le parole di Bloom -: “ad un uso eccessivo dell’intelletto” (trad. mia, p. 355, op. cit.).
Jung diede il nome di “complesso” all’avversione per il padre (nell’Edipo di Sofocle è Laio) e la brama per la madre (qui Giocasta) da parte di Edipo, che Freud formulò completamente nell’Interpretazione dei sogni (Die Traumdeutung,1899 nella prima edizione tedesca, riportato erroneamente da Bloom come 1900) e di cui ognuno, a partire dalla tragedia greca, riconosce le tracce entro di sé. La tragedia greca proprio in sé raccoglie i semi, questa è parola numinosa in accezione negativa e positiva qui, di quanto poi tradotto analiticamente da Freud, verticizzandone i significati attraverso il rito. Sulla scena di questo Edipo di Vantini compaiono i filologicamente corretti coro e musicisti curati da Tito Reinesi e dal vivo da Carlo Cossu: sono essi a proporre il ritmo del rito e a trasformare il campo di battaglia scenico curato da Pino Genovese, nell’effluvio di letture oracolari in “campo”, o acclamate dal coro e riesumate dai personaggi, dalla Sfinge a Tiresia, per la via di Delfi.
Oltre all’eccezionale e citata all’inizio, possenza attoriale di Vantini, dobbiamo dare merito alla parte di Creonte recitata da Mirko Soldano, in particolare la calda voce che ha esposto alla fine, dopo il climax dello svelamento; di Corifeo, pastore di Laio, drammaturgicamente struggente Achille D’Aniello, ed infine agli attori tutti, meno convincente e poco drammatica la Giocasta di Patrizia Bettini come anche il Tiresia di Franco Heera Carola, troppo impostato. Lode invece a tutti per le parti di coro in greco e le ritmiche battute ai tamburi, che hanno rinfocolato il rituale proprio come nel disegno generale del dramma antico e largamente evocativo.