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Cannes 2011. La Melancholia di Lars Von Trier. Il pianeta della fragilità
Melancholia, il nuovo bellissimo film di Lars von Trier, è stato ingiustamente limitato dalle polemiche per le infelici dichiarazioni dell’orso scandinavo. Del resto chi lo conosce bene, ed ha visto The Big Boss oppure meglio ancora The Kingdom, si sarà sicuramente fatto un'idea dello stile del suo umorismo e della delicatezza che lo ha sempre contraddistinto specie nelle conferenze stampa. Lo scorso anno sempre a Cannes aveva detto ad un giornalista: "se ne faccia una ragione, dopo la scomparsa di Ingmar Bergman sono il più grande regista vivente".
Quest’anno, non pago del suo splendido rapporto con la stampa internazionale, ha dichiarato: "Capisco Hitler, come uomo…Certo, ha fatto un sacco di cose sbagliate ma ho simpatia per lui, lo immagino nel suo bunker quando è giunto alla fine. Certamente sono contrario alla Seconda guerra mondiale e non sono contro gli ebrei, ma in realtà non troppo perché Israele è un problema per il mondo, come un dito nel culo…Da quando ho scoperto di essere tedesco e non ebreo come avevo sempre creduto, in qualità di regista nazista sto anche pensando ad un film sulla soluzione finale ma per i giornalisti!".
La sala stampa era incandescente…Charlotte Gaisbourg, la sua nuova musa, non sapeva più dove guardare e Kirsten Dunst si è sentita in dovere di dissociarsi dalle dichiarazioni del regista.
I giornalisti ci vanno a nozze con queste cose e Lars, che dovrebbe fare a meno di fare le conferenze stampa perché è un misantropo, fa una gaffe dietro l’altra…Alle domande successive si attorciglia sempre di più in questa storia del nazismo e non riesce più ad uscirne: ”Aiuto, come ne esco fuori… “. Un assist per la stampa da tabloid e un autogol per le sue tasche: infatti le majors stanno boicottando il film negli Stati Uniti. Una vera decisione scandalo, quali che siano state le dichiarazioni del regista e per quanto appaiano volgari ed offensive se non lette nel contesto delle sue vicende personali.
L’ansia, la depressione, sono patologie con cui il regista convive da molto tempo e il fatto che poco tempo fa la madre sul letto di morte gli abbia confidato che il suo vero padre non era l’uomo che lui ha sempre ritenuto tale, cioè un danese di origini ebraiche, ma un compositore tedesco accusato anche di aver collaborato con i nazisti durante la seconda guerra mondiale, sicuramente non ha giovato alla sua salute mentale o quantomeno al suo equilibrio psicologico.
Credere per cinquant’anni di essere ebreo e ritrovarsi figlio di un ex nazista non credo si metabolizzi rapidamente. Se i giornalisti avessero letto in quest’ottica le dichiarazioni di Lars von Trier avrebbero capito il gioco di autoflagellazione e di esorcizzazione dei propri problemi che stava cercando di mettere in atto: ma a quanto pare ha prevalso lo sdegno.
Il film ha un incipit meraviglioso composto da veri e propri tableaux vivants, dei quadri cinematografici che hanno lo scopo di anticipare quello che succederà nel film e che sono di una bellezza struggente; una sposa adagiata su un fiume che ricorda l’Ophelia di John Everett Millais accompagnata dalla musica di Tristano e Isotta di Richard Wagner, una madre che sprofonda in un campo da golf nel tentativo di fuggire con il bambino in braccio, il volto illuminato di Justine che apre lentamente gli occhi, immagini di collisioni di pianeti. In due parole il limite estremo della bellezza e della tecnica di ripresa cinematografica.
Il seguito è diviso in due parti distinte. Nella prima c’è la storia di una delle due sorelle, Justine, interpretata da Kirsten Dunst, la bravissima eterna fidanzata di Spiderman che interpreta una donna depressa, infelice, insoddisfatta della propria vita e che tenta la strada del matrimonio per uscire dalla distruzione e autocommiserazione.
Ma il suo matrimonio, a cui è dedicata tutta la prima parte del film, è un vero disastro.
La limousine degli sposi a stento riesce a raggiungere la lussuosa tenuta del cognato, dove si terrà la cerimonia e dove li attende una famiglia ultraborghese con Charlotte Rampling nei panni di una madre fredda e cinica e John Hurt nei panni di un padre infantile e sopra le righe.
Justine, pur nella sua profonda depressione, pare essere l’unico vero essere umano nella sala e gioca all’automassacro mandando all’aria le proprie nozze facendo l’amore in un prato con uno sconosciuto e rifiutando la promozione sul lavoro licenziandosi.
Metaforicamente il regista è Justine: è un genio, tutti lo sanno, e fa di tutto per farsi odiare; Justine lascia il marito appena sposato e perde il lavoro appena ricevuta la promozione. Lars von Trier appena presentato il suo capolavoro ai giornalisti decide di autodistruggersi facendo le dichiarazioni folli che ha fatto.
La sorella Claire (che ha il volto di Charlotte Gainsbourg) fa di tutto perché la cerimonia sia perfetta così come vuole che tutta la sua vita sia perfetta ed è trattata dal marito come una bambina a cui celare la catastrofe incombente.
Melancholia, infatti, il pianeta blu, si sta avvicinando pericolosamente alla terra e gli scienziati hanno calcolato che farà un orbita definita “la danza della morte” per poi allontanarsi senza danni per il nostro pianeta.
In realtà gli scienziati si sono sbagliati e Melancholia in rotta di collisione con la terra metterà tutti di fronte a sé stessi, alle proprie paure e al proprio modo di reagire ad una catastrofe; John il marito di Claire sceglie il suicidio, Claire cerca freneticamente di fare qualcosa e Justine è l’unica nella propria depressione che riesce accettare le cose come stanno, anzi è quasi liberata affermando che l’umanità non mancherà a nessuno a causa dei grandissimi errori compiuti. «L’ho imparato dal mio analista - ha spiegato cioè che, di fronte a una grande catastrofe, una persona infelice reagisce con molta più calma di una normale che, invece,tende a precipitare inevitabilmente nel panico».
Melancholia non e’ un film sulla fine del mondo, non è un disaster movie, ma è un film su uno stato mentale, sull’autodistruzione dove la fine del mondo coincide sia a livello intimo, personale, che a livello globale.
"La depressione è la condizione della mia vita adesso”, ha detto il geniale regista danese; “il pianeta blu rappresenta la depressione che si schianta come un pianeta in rotta di collisione su una persona”. Un film terapeutico? ”È stato un piacere girare Melancholia. Mi ha aiutato molto Forse sto un po’ meglio, o forse no”.
È superfluo dire quanto il film rappresenti una pietra miliare nella cinematografia del regista danese ed in generale il grande valore artistico del film; è sicuro che non abbia preso la palma d’oro solo per evitare di attrarre nuove polemiche intorno al festival ed infatti la palma è arrivata solo per la migliore attrice femminile.
Una palma meritatissima a Kirsten Dunst che alla domanda di come avesse fatto a rendere così bene lo stato mentale della depressione ha risposto: “Lars è riuscito a creare sul set un'atmosfera di intimità che automaticamente mi ha fatto capire quello che dovevo fare. Abbiamo girato scene molto lunghe senza che lui desse mai lo stop, abbiamo provato cose molto diverse. Spero che lui sia contento del risultato. La depressione è qualcosa che avvolge sempre il mio personaggio mentre si prepara al matrimonio e durante la cerimonia. La catastrofe che si sta avvicinando, però, la aiuterà a tirar fuori la sua forza interiore. Lars mi ha aiutato a esprimere tutti questi sentimenti, la forza, la follia, la vulnerabilità del personaggio. Tutta questa libertà fa paura, ma mi aiuterà anche nei prossimi progetti in cui reciterò”.