Ludovico Einaudi all'Auditorium. Un Nightbook postmoderno

Articolo di: 
Teo Orlando
Ludovico Einaudi Nightbook

Nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, il 6 dicembre 2009 Ludovico Einaudi ha presentato per la seconda volta, dopo la prima mondiale del 20 settembre nella stessa venue, il suo ultimo lavoro, Nightbook (che verrà eseguito anche in una tournée internazionale fino a marzo 2010).

La principale differenza tra le due performance, oltre a un ordine dei brani più in linea con la tracklist del disco nel primo concerto, è consistita nel fatto che lo spettacolo di dicembre ha presentato gli esecutori senza effetti visivi e multimediali, abbondanti invece nel concerto settembrino e incentrati soprattutto sullo schermo nero trapunto di stelle che cambiava colore nel corso dell’esecuzione. In realtà, è la stessa evocatività della musica che in questo concerto deve suggerire le variazioni cromatiche nell’interiorità dell’ascoltatore.

Lo stesso Einaudi, ricordando la lunga e travagliata gestazione del disco, ha osservato come la prima ispirazione sia nata da una sorta di epifania joyciana: “Un paesaggio notturno. Un giardino rischiarato dalla luce della notte. Nel cielo scuro qualche stella, le ombre degli alberi intorno. Alle mie spalle una finestra illuminata. Quello che vedo è familiare e al tempo stesso sconosciuto. È come in un sogno, tutto può succedere.”

Il pianista/compositore, vestito di nero con costruita semplicità, fa il suo ingresso alle 21,10 e attacca con The Planets: si tratta di un brano per pianoforte e archi che da un lato ricorda certi moduli à la Bach (le Variazioni Goldberg con la loro “irregolarità regolata”), e dall’altro il contrappunto astratto della polifonia del Cinquecento, con quattro parti indipendenti che alludono al movimento dei pianeti, alla ricerca di un equilibrio tra astrazione e spirito.

Progressivamente, tutti i componenti del piccolo ensemble entrano e si dispongono sul palco, cosicché può partire il brano successivo, Lady Labyrinth: le chitarre di Federico Mecozzi e il violoncello di Marco Decimo, supportati dai live electronics di Robert Lippok, conferiscono al pezzo un inconsueto andamento ritmico, a metà tra gli Alan Parsons Project e certe composizioni di Philip Glass. Segue poi la traccia eponima del disco, Nightbook: all’inizio la melodia viene intonata dal pianoforte, a cui si aggiungono in crescendo gli altri strumenti, fino a creare un effetto quasi di pieno orchestrale.

Con In principio si cambia atmosfera: il brano vuole probabilmente evocare in modo introspettivo una meditazione sull’origine dell’universo. Il rimando spontaneo è ai testi biblici (l’incipit della Genesi e del Vangelo di San Giovanni: “In principio era il Verbo”, poi trasformato da Goethe nel Faust con il verso “In principio era l’azione”, Im Anfang war die Tat). Il tocco pianistico, simil-impressionista, ricorda un po’ il Debussy dei Notturni e di Children's Corner. Indaco vede un dialogo tra il pianoforte e gli archi, che cominciano con un lieve vibrato, evocando poi certe atmosfere boeme à la Dvorák.

Dall’Europa orientale classica si passa ad atmosfere più esotiche con The Crane Dance, influenzata dalle collaborazioni con musicisti africani, come Ballaké Sissoko, e con altri esponenti della musica extraeuropea: l’atmosfera rarefatta si coniuga con un tappeto ritmico sommesso e armonioso, che ci fa realmente pensare a un corteo di gru danzanti. The Tower ci riporta alla centralità del pianoforte, con un tocco tardo-romantico che fa pensare a Rachmaninov e a Eric Satie (ma con una struttura armonica volutamente semplice e un incedere ossessivo suggerito all’autore dall’installazione I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer nell’hangar Bicocca a Milano), mentre la successiva Bye Bye mon amour ritorna a un pianismo più meditativo e quasi “sussurrato”, con atmosfere jazz à la Jarrett, che poi vengono riprese in Rêverie, con un impasto di nuovo intarsiato da rimandi esotici.

Dopo una ripresa della title-track, Eros ci trasporta in una sorta di rito pagano che, in un crescendo a loop, descrive come si possa raggiungere l’estasi. A questo punto, Einaudi abbandona Nightbook per attingere ad altri brani del suo repertorio, proponendoci Divenire, dall’album omonimo, dove l’ariosa melodia per piano, tipica di composizioni come Le onde, si coniuga con un delicato accompagnamento di archi, qui sullo sfondo, e invece in dialogo più serrato con il piano, come in un trio classico, in Due tramonti e in Andare. Il concerto si conclude con Eden Roc e con la ripresa di Lady Labyrinth: nel primo brano si avverte un più pronunciato influsso fusion e un’eco di moduli musicali provenienti dall’Armenia (in un’altra versione il brano è stato suonato in collaborazione con Djivan Gasparijan con un organico comprendente un duduk, particolare strumento armeno a metà tra il flauto e l’oboe).

Il concerto ha visto la Sala Santa Cecilia con il tutto esaurito, a testimonianza della popolarità ormai raggiunta dal musicista torinese. Certo, Einaudi appare più un artigiano di grande talento che un genio della composizione. Gli si deve riconoscere senz’altro in ogni caso, una buona versatilità compositiva e un notevole virtuosismo esecutivo (niente di più erroneo che accostarlo a Giovanni Allevi, il quale è più che altro un astuto mestierante del pentagramma). Einaudi combina con molto gusto e con una certa vena eclettica influssi disparati: le strutture ripetitive di Bach, il pianismo romantico, da Beethoven a Chopin, da Debussy a Satie, il minimalismo di Philip Glass e Michael Nyman, le sperimentazioni di Luciano Berio, il jazz-fusion di Keith Jarrett e Paolo Fresu, la world music dell’armeno Djivan Gasparijan, dell'africano Ballaké Sissoko, del turco Mercan Dede o dei portoghesi Madredeus, il neoromanticismo del polacco Henryk Mikołaj Górecki, la psichedelia progressive dei Pink Floyd, l’elettronica di Alan Parsons e dei Tangerine Dream.

Questa tendenza sincretistica e citazionale ne fa il perfetto modello dell’artista postmoderno: la sua musica suscita serenità e stimola alla meditazione, e, pur contenendo qua e là momenti dissonanti, li sottomette a una disciplina melodica che ne neutralizza la carica eversiva. Come ha scritto Umberto Eco, è tipico dell’arte postmoderna (ma già di Stravinskij e, aggiungiamo noi, del Richard Strauss di Metamorphosen rispetto a Beethoven o dei King Crimson di Larks’ Tongues in Aspic rispetto ai quartetti di Bartók) “il citare tra virgolette, in modo che il lettore non faccia attenzione alla citazione, bensì al modo in cui la citazione viene introdotta nel tessuto di un testo diverso, e per dar luogo a un testo diverso”. Si potrebbe quasi dire che i brani di Einaudi attingano a diverse fonti facendole coesistere senza eccessivi attriti, come il catalogo della casa editrice del celebre genitore ha fatto coesistere Derrida e Wittgenstein, Adorno e Popper, in una linea culturale tutto sommato coerente e innovativa.

Pubblicato in: 
GN4 Anno II 18 dicembre 2009
Scheda
Autore: 
Ludovico Einaudi
Titolo completo: 

Noghtbook

Ludovico Einaudi - pianoforte
Federico Mecozzi – Violino/chitarra
Mauro Durante – Violino/percussioni
Antonello Leofreddi - viola
Marco Decimo - violoncello
Robert Lippok - live electronics
Matteo Ferroni - Live visuals

Domenica 6 dicembre 2009 - Sala Santa Cecilia, ore 21,00
Auditorium Parco della Musica

Scaletta:

1. The Planets (Nightbook)
2. Lady Labyrinth (Nightbook)
3. Nightbook (Nightbook)
4. In Principio (Nightbook)
5. Indaco (Nightbook)
6. The Crane Dance (Nightbook)
7. The Tower (Nightbook)
8. Bye Bye mon amour (Nightbook)
9. Rêverie (Nightbook)
10. Nightbook [II versione] (Nightbook)
11. Eros (Nightbook)
12. Divenire (Divenire)
13. Due Tramonti (Eden Roc)
14. Andare (Divenire)
15. Eden Roc (Eden Roc)
16. Lady Labyrinth [RMX](Nightbook)

Anno: 
2009
Voto: 
8.5
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