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Philip Glass e Le streghe di Venezia. La rubiconda radice del sogno
Su libretto di Beni Montresor e testi di Vincenzo Cerami, Le streghe di Venezia su musiche di Philip Glass si presentano al Parco della Musica in prima assoluta con la regia di Giorgio Barberio Corsetti dal 5 al 7 dicembre 2009.
In un allestimento in cui il video insieme al Chroma Key (la proiezione in diretta su uno sfondo di un colore particolare che viene riproiettato sui personaggi in movimento in modo da creare un piano solo su due proiezioni simultanee – effetto del movimento e dell’assemblaggio tra le immagini) la fanno da padrone, grazie a Angelo Longo alle creazioni video e Gianluca Cappelletti alle luci. La scenografia e la regia di Corsetti si trovano di colpo trasferite su un piano immaginativo che divide il palcoscenico in tre luoghi diversi. Il primo del Chroma key sulla destra, il secondo il centro del palco, il terzo è l’altro spazio per la proiezione dove si lavora sul piano di immagini da assemblare. Per questo spettacolo i bambini erano particolarmente stupiti nonostante l’introduzione del Chroma key risalga agli anni ’80 in film come Star Wars, qui viene usato lo sfondo blu ma esiste anche il green/verde come quello di Matrix per tutte le sequenze d’azione a 360°.
La musica di Philip Glass venne ispirata dal libro di Montresor omonimo e la prima dell’opera ebbe luogo alla Scala di Milano nel 1995. Quello a cui abbiamo assistito è un arrangiamento completo per la Parco della Musica Contemporanea Ensemble che si compone di otto colti e coinvolgenti musicisti che conoscono Glass e la sua musica in profondità. Tra questi Manuel Zurria ai flauti e Oscar Pizzo ai sintetizzatori ed agli effetti sonori (Giuseppe Burgarella pianista accompagnatore), di cui si fa ampio uso nell’opera. Il direttore è Tonino Battista che ha ben diretto e cadenzato uscite e passaggi della parte canora, notevole soprattutto per il mezzosoprano Anna Goryacheva (la domestica ed una strega), la soprano Carmen Romeu (la fata e la strega madre) e ultimo solo per galanteria il re di Gianluca Bocchino.
La triste storia di questo bambino-pianta in cerca della bambina-fiore, mesta e sola come lui, fa sorridere i grandi e commuovere i bimbi. Si respira un clima fatato ma moderno, come il trans che appare fra il pubblico e con gli stivaloni si fa gioco del re e delle altre streghe nella festa simil-orgiastica al castello delle streghe. Forse è la domestica che canta con la bottiglia di vino in mano e dice: “La vita è difficile ma che si può far? Ma un po’ di vino rosso fa cantar!” che riassume e chiude l’opera in modo subliminale, a gridare cantando che la leggerezza – prodotta da un po’ di vino senza consumi eccessivi di questo o di altro – è ciò che fa sognar, e come recita una diafana poesia di Poe: “la vita è un sogno dentro un sogno” ("Life is but a Dream within a Dream", da A Dream within a Dream, 1849). Ed è augurabile, come suggerisce il poeta americano di cui ricorre quest’anno il bicentenario, sognarla da desti.