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Non lasciarmi. Il presente distopico della clonazione
Adattato dallo sceneggiatore Alex Garland (28 giorni dopo, 2001; Sunshine e 28 settimane dopo 2007) dall’omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro che nel 2005 ha vinto il Premio Alex, Non lasciarmi è diretto da Mark Romanek (Static, 1985 e One Hour Photo, 2002); soprattutto è celebre per aver diretto video di molte star del rock, da Madonna a Bowie, compreso Closer dei Nine Inch Nails che fece scalpore per la crudezza. I protagonisti sono Carey Mulligan, Keira Knightley e Andrew Garfield.
Kathy H. (Carey Mulligan) abita con altri bambini nel college di Halisham e fa amicizia soprattutto con Ruth (Keira Knightley) e Tommy (Andrew Garfield). Tommy ha delle reazioni violente di tanto in tanto finchè non diventa amico di Kathy, e poi di Ruth, con cui stabilisce una relazione anche dopo la fine del College, quando vengono trasferiti ai Cottages, ed hanno ben chiara la natura della loro vita: fare da donatori di organi per altri umani non clonati come sono invece loro.
Ciò che rende agghiacciante questo film è l’insano valore dato alla vita come scambio di parti (gli organi) fra esseri umani clonati, quindi di serie B; ed esseri umani “veri e propri” (sic!), non clonati, che hanno il diritto di vivere e di sacrificare gli altri per loro. Un allevamento di umani “donatori” che al terzo organo prelevato muoiono inesorabilmente.
Il film è inoltre ambientato in un tempo reale tra 1978, inizio dell’allevamento nel college, ed il 1994, quando, appena usciti dall’adolescenza, vengono portati ai Cottages, delle case in campagna. Questo presente distopico (l’utopia negativa con le sue caratteristiche fondanti di rappresentazione gerarchica e di annullamento del dissenso è una condizione prestabilita in questo caso) conduce nondimeno Kathy e Tom ad amarsi, sebbene senza realizzare il loro amore. A distanza, gli sguardi appena percepiti, la timidezza di entrambi, li condurrà ad una separazione che provoca un disorientamento anche rispetto al loro crudele destino cui non cercheranno di sottrarsi che in ordine di tempo.
Il rapporto fra Tom e Kathy vine inaugurato dalla canzone di una cassetta – regalata a Kathy da Tom - di una certa Judy Bridgewater (sulla copertina il titolo dell’album è “Songs after Dark”), intitolata Never let me go (titolo originale del film, in realtà è una canzone di Luther Dixon degli anni ‘60) che tempra l’affetto di Kathy per lui nelle parole della canzone, riascoltata semiossessivamente: “Darling, Hold me, hold and never let me go” (“Caro abbracciami, abbracciami e non lasciarmi mai andar via”, trad. mia).
Insieme alla cassetta vi è un altro legame speciale con l’arte che conduce i bambini a disegnare per far parte di una Galleria di una certa Madame che sceglie i disegni migliori: questa Galleria, verrà rivelato da Charlotte Rampling gelidamente: “Non serviva a ad indagare la vostra anima, ma a dimostrare che ne avete una”.
Ciò che ci si chiede durante tutto il film virante su toni grigi e colori spenti, - le scenografie sono di Marc Digby e la fotografia di Adam Kimmel-, è l’assenza totale di qualsiasi stimolo alla ribellione. Il nichilismo, la cieca accettazione di una realtà votata alla morte e al controllo di esseri umani usati come parti intercambiabili, - riverberata dai braccialetti elettronici a timbrare entrate ed uscite,- per evitare di “tornare a tumori, sclerosi multipla” ed altre malattie invalidanti e apici di un dolore inaccettabile (questo sostiene la sceneggiatura del film), ha reso possibile questa “coltura o clonazione menegeliana.
L’unica, struggente consolazione, è la colonna sonora di Rachel Portman (1960), che conosciamo già attraverso quella di Emma che vinse l’Oscar nel 1996, ma altresì Smoke, Chocolat, Le regole della casa del Sidro, The Manchurian Candidate, Oliver Twist, il recente La Duchessa con Keira Knightley e tanti altri. Il dissimulato spaziare tra le memorie della modalità compositiva della Portman, la conduce a costruire una colonna sonora di notevole pregio e sotterraneamente emaciata, come la pellicola dispone, tra archi fluttuanti nelle tonalità acute e guizzanti nelle melanconia di qualcosa di perduto, e mai più raggiungibile, come il grido nella foresta di Tommy testimonia.