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Palazzo Barberini. Preti ed il suo trionfo
Si è aperta una nuova mostra a Palazzo Barberini focalizzata sui primi anni di Mattia Preti a Roma col nome Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti, a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa. L'occasione nasce dal restauro di una tela su cui lavorarono entrambi i fratelli rimasta per anni in deposito presso il Circolo Ufficiali delle Forze Armate.
Il restauro è stato eseguito, insieme a Sante Guido, da Giuseppe Mantella, che conosce a fondo Mattia Preti perché da anni si occupa del restauro delle sue opere a Malta e in Calabria. Si è potuto procedere al restauro grazie al finanziamento dallo Studio Legale Tributario Dentons Europe, il più grande studio legale internazionale al mondo, che ha sponsorizzato l'intervento e l'approfondita serie di indagini diagnostiche che hanno permesso di comprendere meglio la pratica esecutiva dei due fratelli, che insieme hanno dipinto la tela. Flaminia Gennari Sartori, attuale direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini e Palazzo Corsini, ha sottolineato il suo impegno nella valorizzazione delle collezioni ponendo quindi attenzione anche alle opere tratte dai depositi. Le analisi di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa sono infatti basate sulle indagini diagnostiche e sulla comparazione di questa opera con altri dipinti delle collezioni e alcuni importanti prestiti. La mostra, inoltre, si collega a quella, in occasione delle celebrazioni promosse dal Comitato per il IV centenario della nascita di Mattia Preti (1613-1699), svoltasi tra il 2015 e 2016 a Palazzo Corsini a cura di Giorgio Leone: Mattia Preti: un giovane nella Roma dopo Caravaggio. L'argomento di indagine era connesso al periodo giovanile del Preti nei fatti e nei tempi che rigurdano l'arrivo a Roma, il suo apprendistato, le diverse influenze, l'attività con il fratello, se sia possibile e in quale caso distinguere dove intervenne Gregorio (1603-1672) e dove Mattia, fino alla definitiva affermazione di quest'ultimo, oscurando poi con la sua bravura il fratello. A Roma in quel periodo erano presenti diversi pittori che in modo diverso si ricollegavano a Caravaggio, francesi, Simon Vouet, Valentin de Boulogne e Nicolas Tournier e italiani, tra tutti Bartolomeo Manfredi, a cui è associata l'espressione "Manfrediana methodus". La "Manfrediana methodus", traduzione latina dal tedesco "Manfredi Manier" è un termine coniato dal traduttore di Sandrart (1683), Christian Rhodius, per descrivere le composizioni in cui i soggetti, a mezza figura, sono a grandezza naturale e appartengono alla "gente bassa", poveri, prostitute, giocatori, zingare che predicono la sorte, rappresentati nel modo più realistico; questa era la maniera attribuita ai seguaci di Caravaggio. Il giovane Mattia, inoltre, insieme al fratello maggiore è ricordato nella bottega del Lanfranco e inoltre sicuramente conobbe le opere di Giovanni Barbieri detto il Guercino.
Veniamo al dipinto da cui prende le mosse la mostra, fu dipinto dai due fratelli negli anni Quaranta del Seicento, è menzionato nell' inventario dei quadri in parte ereditati dal cardinale Antonio Barberini fratello maggiore del principe Maffeo, suo erede, risalente a poco dopo il 1672. Il dipinto è descritto come “un quadro per longo con diversi ritratti: chi sona, chi canta, chi gioca, chi beve e chi gabba il compagno", è un quadro complesso la cui descrizione allude all'allegoria dei cinque sensi, secondo un modello usuale nel '600. Dalle indagine si è visto che la tela su cui è il dipinto e un unico telo, un particolare da cui si evince che la commissione era importante. Il dipinto aveva avuto precedenti interventi di restauro, che avevano abraso la pittura in più punti rendendo difficile la lettura. Le analisi a luce infrarossa e ultravioletta hanno inoltre evidenziato una serie di ripensamenti, soprattutto nella parte di sinistra dove c'è il gruppo dei musicisti, che alludono all'udito. Nel gruppo centrale l'uomo che fuma la pipa è ricorda l'olfatto, il vino versato per i giocatori di morra il gusto, mentre la vista è rappresentata nell'uomo che si gira verso lo spettatore, in cui Gregorio Preti ha raffigurato sé stesso. Nella parte di destra il gruppo della “buona ventura” allude al tatto, mentre l'aspetto moraleggiante, che ricorda come possano essere ingannatori i sensi, è rappresentato nella parte destra in alto da una scimmietta. Nella parte bassa a sinistra sono due filosofi che ammoniscono lo spettatore a non lasciarsi fuorviare dai sensi, nella figura nascosta che pare piangere è effigiato secondo la tradizione Eraclito, mentre in quella ridente, rivolta verso lo spettatore, Democrito, che si fa beffe dei cinque sensi ricordati dalla sua mano aperta. Lo sfondo è scuro e solo la posizione dei personaggi a grandezza naturale è in prospettiva; un simile impianto così complesso rafforza l'opinione di una commissione importante.
Di fronte è stato collocato un altro quadro opera dei due fratelli il Concerto con scena di buona ventura (1630-1635) proveniente dall'Accademia Albertina di Torino, che sottenderebbe il medesimo soggetto. Nella figura maschile in primo piano a destra coronato di alloro, secondo Yuri Primarosa, sono riconoscibili i lineamenti del poeta Giovanni Battista Marino (1569-1625), che probabilmente erano stati ispirati da stampe in cui era raffigurato il poeta. Marino nell'Adone aveva trattato dei cinque sensi nella descrizione dei cinque giardini che Venere aveva mostrato ad Adone, la sua effige dunque alluderebbe al soggetto del dipinto. Comparandoli si comprende come la fattura del dipinto barberini sia più raffinata e in molti particolari rivela la differente abilità del fratello minore, Mattia, rispetto a Gregorio. Un esempio sono le due mani vicine sul bicchiere in cui viene versato il vino, il bicchiere e la mano della cameriera sono dipinti con tratti rapidi sono attribuibili a Gregorio, mentre l'altra mano per la fattura dei volumi e la lumeggiatura nell'esecuzione più accurati a Mattia, perché confermati da altre prove del giovane pittore.
Tra i dipinti esposti, eseguiti in collaborazione dai due fratelli Cristo davanti a Pilato di Palazzo Pallavicini Rospigliosi, realizzato per Giulio Rospigliosi, futuro papa Clemente IX, con Gregorio autore della parte centrale e Mattia del gruppo di destra, raffigurante Cristo trascinato al calvario, in cui si nota l'influenza di Guercino. ll Cristo che guarisce l'idropico,proveniente da una collezione privata milanese, sempre realizzato a due mani, invece rientra nei quadri di derivazione caravaggesca. Tra i quadri di Mattia è in esposizione la grande tela Cristo e la Cananea, in origine nella collezione dei Principi Colonna, e ora appartenente ad una collezione privata. Uno studio ha pemesso di datarlo su base documentaria al 1646-1647, infatti il principe Marcantonio V (1606-1659) pagò il dipinto direttamente al pittore nel 1647; una scoperta importante nel determinare una data certa nella difficile ricostruzione della cronologia della prima produzione romana di Mattia Preti, un argomento molto discusso tra gli studiosi. Non è il solo aspetto di grande interesse, perché nonostante sia auspicabile un restauro che sveli pienamente in tutta la loro bellezza i dettagli del dipinto, è palese l'influenza della scuola veneta, in particolare di Paolo Caliari detto il Veronese. Dallo sfondo monumentale con il dettaglio dei panni stesi, all'impianto delle figure e finanche il cagnolino in primo piano, tutto rivela l'nfluenza del grande pittore veneto in questo splendido dipinto in cui la scioltezza della pennellata e la maestria della composizione rivelano la mano di Mattia.
C'è anche un dipinto attribuibile al solo Gregorio messo in ombra dal più talentuoso fratello,un Cristo mostrato al popolo (1645-1655) che rivela come seguisse diligentemente i modelli consolidati e non avesse quella creatività che caratterizza invece Mattia. Di quest'ultimo sono esposti anche l'Archimede, oggi a Varese, e un Apostolo, da una collezione privata torinese, questi due sono per la prima volta in esposizione al pubblico, in entrambi è tangibile l'attenzione del giovane Mattia verso Caravaggio e Jusepe de Ribera. Al Mattia è stata attribuito da Yuri Primarosa anche un quadro appartenente ai depositi della Galleria Corsini, Testa di bambina con collana di corallo, in base anche alla comparazione della fattura della testa con quella della violinista dell'Allegoria dei cinque sensi e con la testa di San Luca, in un bozzetto per il pennacchio della cupola di San Biagio a Modena. In questo dipinto come nel San Bonaventura, proveniente da una collezione inglese e in deposito a Palazzo Chigi di Ariccia, si vede come la lezione carvaggesca sia filtrata attraverso il Lanfranco e il Guercino. Dalle collezioni del Museo di Palzzo Barberini provengono altre due opere la Negazione di Pietro e la Fuga da Troia, qui ricondotta al 1640-1645, che segnano tappe importanti nell'evoluzione dello stile di Mattia Preti. Con l'affermazione di Mattia le strade dei due fratelli si divisero, ma nel 1652 dipinsero insieme per l'ultima volta la controfacciata di San Carlo ai Catinari. Per chi volesse approfondire il catalogo edito da De Luca Editori d'Arte è uno strumento prezioso per i saggi in esso contenuti.